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Lo sport fa bene ai bambini

di Angela Bisceglia - 29.09.2008 - Scrivici

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Praticare sport fin da bambini assicura un adeguato sviluppo delle ossa e dei muscoli, regola il metabolismo e favorisce la socializzazione. Ma quali sono gli sport giusti? E a che età bisogna cominciare? Leggi i consigli.

“Praticare sport in età pediatrica presenta tanti aspetti positivi: assicura un adeguato sviluppo dell’apparato scheletrico e muscolare, regola il metabolismo, favorisce la socializzazione e, se praticato nel modo corretto, è un’attività molto piacevole e divertente per i bambini e per i ragazzi”: parola di Armando Calzolari, Responsabile Unità operativa complessa di Medicina Cardiorespiratoria e dello Sport - Dipartimento di Medicina Pediatrica - dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, uno degli ospedali di riferimento a livello internazionale per l’assistenza e la ricerca in campo pediatrico.

Una vita troppo sedentaria “Sin da piccoli, i nostri figli conducono una vita sedentaria - osserva il medico - trascorrono tante ore a letto, poi vanno all’asilo o a scuola – il più delle volte in macchina o con i mezzi pubblici – dove restano per sette-otto ore, se non di più. Tornati a casa, fanno i compiti, guardano la tv e poi si cena. Insomma, per tutta la giornata praticamente non si muovono mai”.

 

Bimbi a rischio sovrappeso Quali sono i rischi di tanta sedentarietà? “Innanzitutto il soprappeso - dice Calzolari - se poi alla sedentarietà si associa anche un’alimentazione non corretta (davanti alla tv è facile eccedere in merendine e fuori pasto non proprio ‘light’), si aggiunge il rischio che, andando avanti con gli anni, aumentino i valori di colesterolo e si innalzi la pressione arteriosa, predisponendo in età adulta a problemi cardiovascolari”.

 

Un bagaglio prezioso “Fare sport sin da piccoli permette di acquisire un bagaglio di esperienze motorie che sarà prezioso per tutta la vita,” sottolinea inoltre Giuseppe Gangemi, Coordinatore Scuola Nuoto F.I.N. (Federazione Italiana Nuoto) del ‘Villaggio dello Sport Parco Caserta’ di Reggio Calabria. E continua: “Un bambino che ha fatto sport, infatti, da grande sarà molto più avvantaggiato rispetto a chi non ha mai praticato attività fisica, perché ha strutturato una muscolatura migliore e ha ‘sperimentato’ e formato il proprio corpo in un’età in cui si sviluppano le cosiddette capacità coordinative, come l’equilibrio e l’orientamento, e le capacità condizionali, ossia la forza, la resistenza e la velocità".

Il risultato? "Se anche interromperà per alcuni anni la pratica sportiva, il suo corpo conserverà memoria dei benefici acquisiti da piccolo e quando, da adulto, vorrà riprendere a fare sport o vorrà intraprende uno sport nuovo, avrà già le basi giuste per ripartire alla grande”.

 

Gli sport giusti Di solito i genitori cominciano a far praticare sport ai propri figli intorno ai tre-sei anni. Quali sono le discipline migliori? “All’inizio è meglio optare per un’attività il più possibile generica, come per esempio il nuoto o la ginnastica - consiglia Calzolari - in modo da favorire uno sviluppo armonico di tutto il fisico. Sono controindicate le attività troppo specifiche, come il calcio o il tennis, perché il bambino non ha ancora acquisito né destrezza né sviluppo fisico adeguati”.

 

L'istruttore Fin Gangemi aggiunge: “E’ anche vero però che in questa fascia d’età non c’è molta differenza tra i vari sport, perché in tutti i casi l’approccio è ludico e non si entra nello specifico della disciplina sportiva. Fino ai sei anni infatti non si può parlare di sport vero e proprio, ma più di esperienza del proprio corpo, in un’età in cui l’individuo è assai ricettivo ad imparare cose nuove".

 

Solo col passare degli anni il bambino attraverso la pratica sportiva avrà la possibilità di sviluppare gradualmente le varie capacità fino all'adolescenza, "quando certe potenzialità potranno essere perfezionate con l’allenamento e in base al proprio talento individuale (ci sarà chi è più portato verso l’equilibrio, chi verso l’orientamento, chi verso la velocità ecc.)".

 

Dopo i sei anni si assiste a un progressivo sviluppo sia del fisico che della capacità di coordinazione dei movimenti, che consente l’approccio a nuove discipline sportive, come per esempio l’atletica leggera o il basket. Regola di base tuttavia deve continuare ad essere la stessa: l’attività deve consentire lo sviluppo armonico di tutto il corpo.

 

Quante volte alla settimana Con quale frequenza fare sport? Indicativamente due-tre volte alla settimana. Se però a scuola i bambini fanno già un’attività fisica condotta seriamente (non solo corsa e partitella a calcio), la frequenza di un’attività extrascolastica potrà essere anche inferiore.

 

Genitori sempre allerta “Ai genitori spetta il compito di controllare che l’attività sia condotta in modo corretto dalla scuola - avverte Calzolari -. Non ha senso accompagnare i figli al corso e poi lasciarli lì come a un parcheggio per approfittarne a sbrigare le proprie faccende. Verifichiamo invece che la lezione preveda una preparazione fisica di base (sempre indispensabile, qualunque attività si pratichi), che non sia ripetitiva e noiosa, che il bambino abbia la possibilità di divertirsi e di fare davvero sport. Altrimenti parliamone liberamente con l’istruttore e, se l’impostazione della scuola non ci convince, cambiamo”.

 

Controindicazioni, mai “Lo sport non è mai controindicato e chiunque può beneficiare dell’attività sportiva, anche se soffre di patologie particolari - prosegue il medico - L’importante è chiedere sempre consiglio al pediatra, ed eventualmente allo specialista, che saprà indicare l’attività più adatta caso per caso. Chi è affetto da cardiopatie ad esempio può trarre molto vantaggio da un’attività motoria riabilitativa, ed anche per gli asmatici l’attività fisica può essere di grande giovamento. Insomma, mai vietare lo sport, ma affidarsi in mani competenti”.

 

L’istruttore: una figura importante A qualunque età si incominci a fare sport, la figura dell’istruttore è un punto di riferimento importante per il bambino. “Fino ai sei anni il piccolo atleta non ha bisogno di un semplice insegnante, che impartisca delle nozioni tecniche, ma di una sorta di ‘baby-sitter tecnico’ che sappia entrare in empatia con lui, sappia ascoltarlo e riesca a farsi ascoltare” mette in evidenza Giuseppe Gangemi.

 

“Ma anche dopo i sei anni, l’istruttore continua a ricoprire un ruolo determinante - continua l'istruttore - a lui spetta il compito di motivare il suo allievo, sostenerlo durante l’allenamento, ma anche interrompere, se è il caso, la lezione per fermarsi a parlare con lui e capire quali difficoltà si possono nascondere dietro eventuali insuccessi.

In questo modo si instaura una relazione che va al di là del semplice rapporto tecnico-utente e che alla fine dà i risultati migliori, perché il ragazzo va a fare sport con più piacere e un po’ per volta riesce a tirar fuori il meglio di sé. Non solo: se si stabilisce un rapporto di fiducia diventa anche più facile far affrontare all’allievo i sacrifici che l’allenamento e l’apprendimento del gesto tecnico comportano”.

 

Per saperne di più: Carta dei diritti del ragazzo nello sport

 

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