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Il gioco? Un alleato per dominare il reale

di Marzia Rubega - 31.07.2012 - Scrivici

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Una carrellata storica del pensiero dei principali studiosi dell'infanzia che si sono soffermati a riflettere sul gioco e i bambini, secondo prospettive diverse. Oggi approfondiremo Jean Piaget. Lo psicologo ha indagato a fondo il rapporto tra gioco, un grande alleato per dominare il reale, e sviluppo cognitivo e affettivo del bimbo.

Sul versante psicologico, un contributo importante alla riflessione sul significato del gioco proviene dalla corrente del cognitivismo. Sotto questa definizione, rientra il lavoro di studiosi diversi che focalizzano, però, l'attenzione sui processi di pensiero e l'ambiente.

Lo psicologo Jean Piaget (1896-1980), punto di riferimento indiscusso per gli studi sull'infanzia, indaga a fondo il rapporto tra gioco, un grande alleato per dominare il reale, e sviluppo cognitivo e affettivo del bimbo.

“I bambini si servono del gioco per trasformare la realtà esterna adattandola alla propria motivazione e al proprio mondo interiore. In questo modo, i fanciulli sviluppano e acquisiscono fiducia nel proprio senso di efficacia, poiché riescono, attraverso le attività ludiche, ad agire e ad adattare la realtà alle proprie esigenze” (Rosa Cera, Pedagogia del gioco e dell'apprendimento, Franco Angeli).

Nelle prime tappe della crescita infantile - suddivisa da Piaget in 4 stadi (o fasi) cognitivi – in cui maturano nuove competenze, si manifesta anche un diverso modo di giocare che gratifica il piccolo senza costrizioni o sanzioni (Piaget, La psicologia del bambino, Einaudi).

  • Durante lo stadio senso-motorio, che abbraccia il periodo dalla nascita a circa 2 anni, il bimbo usa i sensi per esplorare quello che lo circonda e si cimenta con il gioco d'esercizio che consiste nella ripetizione gratificante di attività che va via via acquisendo.

  • Con lo stadio pre-operatorio, dai 2 ai 6-7 anni, il bimbo comincia a padroneggiare il concetto di simbolo (una cosa ne rappresenta un'altra) e si tuffa nel gioco simbolico, quello che più comunemente chiamiamo il 'gioco del far finta'. Un bicchierino di carta con un filo diventa un telefono, una pila di cubi è una torre e una scatola si trasforma in una barchetta. Ogni oggetto si presta al gioco creativo ma il bimbo si rappresenta le cose solo dal suo punto di vista (questa fase si chiama egocentrismo intellettuale).

    Non a caso, come può ben testimoniare ogni genitore, quando racconta una storia, chi non la conosce, difficilmente capirà qualcosa

  • Nello stadio operatorio-concreto, che va da 6-7 anni a 11 anni, impara a effettuare operazioni logiche per risolvere problemi, classifica e raggruppa categorie di oggetti. In questo periodo, entra in scena il gioco con regole che porta nell'ambito delle relazioni, supera l'egocentrismo infantile e comporta l'accettazione di una norma condivisa.

  • L'ultima fase è quella delle operazioni formali, dagli 11 anni in poi, che segna il livello più alto dell'intelligenza e del ragionamento, la capacità di afferrare concetti astratti, svincolati dall'esperienza o da una schema di azione. Prima di questo momento, per un bambino è molto difficile capire una situazione astratta. Un esempio? “Non dire a tua sorella 4 occhi! Se lei lo dicesse a te?”, e la sua risposta, molto probabilmente, potrebbe essere: “Ma io non ho gli occhiali!”.

Da qui, in poi, invece, il pensiero è quello adulto, si fa largo la capacità di fare ipotesi.

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