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Vaccini e autismo: le risposte ai dubbi di una mamma

di Valentina Murelli - 10.10.2016 - Scrivici

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Fonte: Alamy.com
I vaccini non causano l'autismo: decine e decine di studi scientifici sono ormai giunti definitivamente a questa conclusione. Ma una mamma ci chiede: e se i vaccini non causassero la malattia, ma in bambini già predisposti contribuissero a farla emergere? Esistono test in grado di individuare i bambini più a rischio? Facciamo chiarezza.

In questo articolo

Manuel ha due anni e un disturbo dello spettro autistico. La sua è una storia di conquiste e passi indietro che si inseguono come su un'altalena tra una vaccinazione e l'altra e che lascia la sua mamma con tante domande, alle quali abbiamo cercato di rispondere con alcuni tra i massimi esperti italiani di autismo e vaccinazioni. (Leggi tutta la storia di Manuel)

All'inizio Manuel, nato dopo una gravidanza difficile tra minacce d'aborto, diabete gestazionale e contrazioni premature, è un bimbo "perfetto, sempre sorridente, gioioso con tutti". Poi, intorno ai due mesi ha una brutta reazione dopo la prima vaccinazione: per un mese "non vuole più mangiare, perde peso, è sempre nervoso". Il responsabile del centro vaccinale consiglia di sospendere le vaccinazioni successive per vedere come vanno le cose. Manuel si riprende, tutto sembra tornare nella norma e a 14 mesi si ripresenta all'appuntamento con i vaccini. All'inizio nessun problema, ma nel giro di poche settimane ricompaiono vari sintomi: febbre, mancanza di appetito, perdita di peso, nervosismo. Soprattutto, smette di parlare, non sorride più, non vuole più abbracciare la mamma. Passano varie settimane tra alti e bassi e infine arriva la diagnosi: "alterazione dello sviluppo psicologico con tratti compatibili con lo spettro autistico".

Per i genitori è un grande dolore, e la mamma comincia a farsi domande. Si chiede - e ci chiede - se tutto questo non poteva essere evitato. Non mette in dubbio l'utilità delle vaccinazioni, è consapevole che gli studi scientifici assicurano che non sono causa di autismo, ma si chiede se non potrebbero essere un fattore scatenante di una condizione "addormentata", che magari senza quel "colpetto" non si sarebbe mai svegliata. E vorrebbe sapere se non esistano esami in grado di evidenziare problemi del sistema immunitario, tali da rendere un bambino già vulnerabile a maggior rischio di manifestare il disturbo. Tutti dubbi importanti, sui quali abbiamo cercato di fare chiarezza.

Autismo, cosa sappiamo sulle cause: gli aspetti genetici


Il punto da cui partire è lo stato attuale delle conoscenze sulle cause dell'autismo. "Il dato di fatto è che in molti casi non possiamo dire da che cosa dipenda, e questo lascia spazio a dubbi e suggestioni, magari privi di fondamento scientifico" afferma Marzia Duse, presidentessa della Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica.

Qualche certezza, però, c'è. "Circa il 20% dei casi - ma le ricerche più innovative, basate sul sequenziamento del genoma umano, dicono che potrebbero essere fino al 40% - dipende da cause genetiche dirette" spiega Antonio Persico, professore ordinario di neuropsichiatria infantile all'Università di Messina. Significa che c'è qualche alterazione di un gene o di un cromosoma che provoca il disturbo, a volte nell'ambito di altre sindromi, come quella di Down, a volte come disturbo isolato. "Il primo punto da chiarire è che non c'è un gene dell'autismo: finora ne abbiamo identificati più di 200 coinvolti con il disturbo, e ciascuno riguarda solo una piccolissima fetta dei casi di origine genetica" precisa Maria Luisa Scattoni, ricercatrice del Dipartimento di biologia cellulare e neuroscienze dell'Istituto superiore di sanità.

In genere, queste alterazioni genetiche o cromosomiche riguardano esclusivamente il genoma del bambino colpito dal disturbo. "A volte, però - sottolinea Scattoni - possono anche essere ereditate dai genitori. In loro magari non avevano dato effetti - anche se, a guardar bene, spesso in questi casi qualche sintomo sfumato di autismo o di altro disturbo del neurosviluppo c'è - mentre nei figli danno manifestazioni più gravi". A dimostrazione di quanto può essere complicata la genetica dell'autismo anche nelle situazioni più semplici.

Età dei genitori e rischio di autismo


Uno dei fattori di rischio meglio conosciuti per l'autismo è l'età avanzata dei genitori: non solo della mamma, ma anche del papà. "Con l'età, infatti, anche le cellule uovo e gli spermatozoi invecchiano, e questo aumenta il rischio che il loro materiale genetico subisca alterazioni che potrebbero portare al disturbo" spiega il neuropsichiatra Antonio Persico. Secondo il quale questo fattore potrebbe contribuire a spiegare l'aumento dei casi di autismo che si è registrato negli ultimi anni: il fatto che si tenda a fare figli più tardi potrebbe avere un suo ruolo nel fenomeno.

Ancora sulle cause: interazioni tra fattori genetici e ambientali


E nei casi nei quali non c'è un legame diretto con qualche difetto di geni o cromosomi? "In realtà anche qui c'entra la genetica, nel senso che alcuni fattori genetici possono contribuire a predisporre al disturbo" afferma Persico. "Ma attenzione: in questi casi da soli non bastano a provocarla. Occorre che entrino in campo anche altre fattori, che indichiamo genericamente come ambientali e che spesso agiscono in epoca prenatale".

In questo senso l'autismo è un disturbo complesso, causato da una varietà di fattori che, combinandosi insieme, provocano il danno. Come in una tempesta perfetta.

Dunque, può darsi che durante la gravidanza succeda qualcosa che, agendo su un feto già vulnerabile e predisposto al disturbo, contribuisca a farla "esplodere" quando sarà il momento, cioè in genere intorno ai due anni, anche se già prima si possono cogliere dei segnali di qualcosa che non va. "In gioco ci sono i fattori più diversi" afferma Persico. "Per esempio alcune infezioni virali, come la rosolia o il citomegalovirus, specialmente se contratte nel secondo o terzo trimestre. Oppure l'esposizione a certi farmaci come l'antiepilettico acido valproico o la talidomide, di cui oggi si conoscono bene gli effetti per cui vengono accuratamente evitati in gravidanza. O, ancora, quella a particolari inquinanti ambientali, come certi pesticidi, se presenti a concentrazioni altissime: non a caso, il problema, studiato soprattutto in California, riguarda in particolare contadine di origine ispanica che subiscono esposizioni a livelli molto elevati di pesticidi, senza alcuna tutela della maternità".

Altri fattori hanno a che fare in senso più stretto con l'ambiente uterino nel quale si sta sviluppando il bambino. "Molti dati per esempio suggeriscono che possa essere coinvolta una particolare attivazione del sistema immunitario della mamma" spiega Scattoni. "Sottoposto a particolari stimoli, per esempio infezioni, forti allergie oppure in presenza di malattie autoimmuni, il sistema immunitario materno potrebbe reagire producendo molecole in grado di attaccare il sistema nervoso in via di sviluppo del feto. Con conseguenze a lungo termine". Ovviamente, non significa che basta prendersi un raffreddore mentre si aspetta un bimbo per metterlo a rischio di sviluppare l'autismo. Bisogna che convergano vari fattori: la vulnerabilità genetica del piccolo, la predisposizione della mamma a reazioni immunitarie anomale (che ha a sua volta una base genetica), la presenza di uno stimolo che "accenda" il sistema immunitario della mamma e così via.

Una gravidanza difficile come quella di Manuel potrebbe averlo messo a rischio?


"In effetti, spesso chi soffre di autismo viene da una gravidanza difficile, e non a caso una delle prime domande che fa il neuropsichiatra ai genitori di un bambino che mostra qualche sintomo anomalo riguarda l'andamento della gravidanza" dice Scattoni. Però questo non significa che la gravidanza difficile, di per sé, aumenti il rischio di autismo. "Può darsi che le due cose vadano di pari passo e cioè che il fattore o i fattori che porteranno all'autismo agiscano anche sulla gravidanza, rendendola più complicata" spiega Persico. "Per esempio, potrebbe trattarsi di fattori immunitari materni che interferiscono da un lato con lo sviluppo nervoso del feto e dall'altro con il corretto impianto della placenta nell'utero". Anche in questo caso, niente allarmismi: se è vero che spesso chi soffre di autismo viene da una gravidanza difficile, non è altrettanto vero il contrario: il fatto di vivere una gravidanza con qualche complicazione non significa che il proprio bambino avrà questo problema!

Sui vaccini i dati parlano chiaro: non causano l'autismo


Per quanto tutte le cause precise dell'autismo non siano ancora note, finora non abbiamo mai chiamato in causa i vaccini, e per una ragione ben precisa: sono stati condotti tantissimi studi su un eventuale rapporto tra vaccini e autismo, raccogliendo una montagna di dati su una popolazione grandissima di bambini e non è mai emerso alcun rapporto di causa-effetto tra i due fenomeni.

Non c'è uno straccio di prova seria che le vaccinazioni possano causare autismo e ci sono tonnellate di prove molto solide che non c'entrino proprio niente.

La mamma di Manuel, però, pone un dubbio più sottile: posto che i vaccini non provocano l'autismo, non potrebbero dare una spinta a un disturbo "dormiente", al quale magari un bambino è già predisposto, contribuendo a farlo saltar fuori? E se questo è vero, evitare il vaccino non proteggerebbe il bambino dall'autismo stesso? "In linea teorica è un'ipotesi che non possiamo escludere del tutto, ma per varie ragioni è un'ipotesi molto, molto debole" afferma Persico.

Primo: se così fosse, basterebbe cambiare lo schema delle vaccinazioni, magari facendole più tardi o separandole con intervalli temporali più lunghi, per ridurre la frequenza del disturbo. "Invece, gli studi condotti in questo senso ci dicono che ciò non accade" chiarisce l'epidemiologo Pierluigi Lopalco, già coordinatore delle strategie vaccinali per il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, oggi professore di igiene all'Università di Pisa. "In pratica, la percentuale di bambini che sviluppa disturbi dello spettro autistico in gruppi diversi di bimbi - non vaccinati, vaccinati secondo i calendari tradizionali e vaccinati secondo un calendario modificato - rimane sempre la stessa".

Secondo, non c'è al momento alcuna prova scientifica che possa sostenere l'ipotesi del vaccino come agente capace di dare una spinta in più al disturbo. E se in linea teorica l'ipotesi regge, ci sono altri aspetti teorici che comunque la fanno vacillare. "Se a far emergere una malattia latente bastasse la 'spintarella' di un vaccino - che, ricordiamolo, contiene solo uno o pochi antigeni, cioè sostanze di origine batterica o virale in grado di stimolare la risposta immunitaria - a maggior ragione questo effetto lo provocherebbero le infezioni vere e proprie" dichiara Persico.

"E allora, se non si fosse fatto il vaccino, il disturbo sarebbe esploso dopo una bronchite, un'influenza o chissà che altro".

E aggiunge Marzia Duse: "Non dimentichiamo che dalla nascita in poi ogni bambino è immerso in un mondo di antigeni, cioè di stimoli immunitari. Ne incontra a migliaia ogni giorno, ogni volta che tocca qualcosa e si porta le mani alla bocca, ogni volta che prende una minima infezione, ogni volta che entra in un asilo nido o in una scuola materna".

"Pensare che tutti i virus e i batteri con i quali i bambini entrano ogni giorno in contatto siano innocui, mentre i pochi antigeni di un vaccino possano scatenare l'autismo è quantomeno azzardato", dice Marzia Duse

Sulla stessa linea anche Guido Castelli Gattinara, responsabile del Centro vaccinazioni dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che aggiunge un ulteriore spunto di riflessione: "Ammettiamo che ci sia un piccolissimo rischio teorico - per ora tutto da dimostrare - che un vaccino possa dare una spinta alla manifestazione dell'autismo. Ebbene questo piccolissimo rischio teorico va comunque confrontato con quelli, concreti e ben noti, che corre un bambino non vaccinato: il rischio di ammalarsi di pertosse, per esempio, o di morbillo. Malattie che consideriamo innocue, ma sono invece molto gravi e possono lasciare conseguenze importanti, se non addirittura provocare la morte".

Gli esami prevaccinali? Non servono (a parte rarissime eccezioni)


Ricapitolando: i dati ci dicono che i vaccini non causano l'autismo. In via teorica, si potrebbe anche ipotizzare che possano contribuire a "svegliare" una malattia latente, ma anche di questo non ci sono prove. Se però volessimo proprio stare tranquilli, non ci sarebbe qualche test per vedere come sta il sistema immunitario di un bambino, prima di sottoporlo a una vaccinazione? Tutti gli esperti sentiti concordano: no, non c'è. "E chi promette il contrario sta solo cercando di spillare soldi alle persone" tuona Lopalco.

"Questo non significa che non si stia lavorando per mettere a punto test in grado di predire il rischio di autismo o di fare diagnosi precocissime di questa condizione" sottolinea Persico.

"Ma parliamo di test non sul sistema immunitario ma a tappeto sull'intero genoma, al momento oggetto di vari progetti di ricerca, come l'europeo EU-AIMS, e che niente hanno a che vedere con il rapporto tra i vaccini e il disturbo" precisa Persico.

Detto questo, qualche esame specifico relativo all'efficienza del sistema immunitario esiste, ma viene utilizzato solo in condizioni particolari che, di nuovo, non hanno niente a che fare con il rischio di autismo. "Il punto è questo", spiega Duse. "Ci sono bambini con gravi deficienze nel sistema immunitario per i quali non sono indicati i vaccini come quello del morbillo, che contengono virus attenuati, ma vivi. In questi bambini, infatti, il vaccino potrebbe indurre la malattia, anziché proteggere dalla stessa. Quindi, se si sospetta un'immunodeficienza - per esempio perché un bambino fin da piccolissimo va incontro a infezioni gravi e ricorrenti - si fanno delle indagini per valutare come stanno davvero le cose. E se la diagnosi è confermata si evitano i vaccini con agenti vivi. Punto, l'autismo non c'entra nulla".

E se dopo un vaccino c'è una reazione grave? Cosa bisogna fare?


Tanto per cominciare, dipende dal tipo di reazione. "Le reazioni gravi sono rarissime, e si tratta in genere di shock anafilattico, cioè di una reazione allergica" afferma Lopalco. In questo caso, le vaccinazioni successive vengono sospese, oppure effettuate in una situazione protetta: in ospedale, a piccole dosi crescenti, pronti a intervenire al minimo segno di qualcosa che non va.

Reazioni come quelle che ha avuto il piccolo Manuel alla prima vaccinazione - forte inappetenza con perdita di peso, nervosismo per un periodo molto lungo di tempo - sono rare e del tutto aspecifiche, ed è molto difficile stabilire se dipendano o meno dal vaccino. In questo caso non ci sono norme precise da seguire, ogni centro può scegliere cosa fare: ritardare la vaccinazione, proseguire normalmente con il calendario vaccinale, effettuare i vaccini successivi in ambiente protetto.

"Però casi di questo tipo, che appunto non sono immediatamente riconducibili al vaccino, andrebbero anche considerati in un'ottica più globale. Un bambino molto piccolo che per diverse settimane mostra alterazioni marcate del comportamento andrebbe tenuto sotto controllo in generale, non solo da parte di chi effettua le vaccinazioni" afferma Duse. "La mamma di Manuel giustamente ha colto che qualcosa non andava. E quando le mamme segnalano che c'è qualche problema è sempre meglio ascoltarle".

I segnali precoci dell'autismo


La diagnosi formale viene in genere posta intorno ai 2/3 anni di età. "Tuttavia, sono sempre più numerosi gli studi che dicono che anche prima, tra la nascita e i 14/18 mesi, possono comparire dei segnali d'allarme" afferma Maria Luisa Scattoni, tra i coordinatori di Nida, il primo network italiano dedicato proprio al riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico. "Tra questi segnali, la mancata risposta quando si chiama un bambino per nome, l'assenza del sorriso sociale, cioè in risposta ad altri che gli sorridono, la tendenza a compiere comportamenti ripetitivi con le braccia e le mani, il ritardo nella lallazione".

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Aggiornato il 11.08.2017

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