Gli insegnanti pensano di poter aiutare i bambini con difficoltà di lettura, mentre credono di non poter essere utili ai piccoli certificati come dislessici. Questo è il risultato della ricerca di Simon Gibbs, psicologo e docente alla Newcastle University (Gran Bretagna).
Gibbs ha mostrato a un campione di insegnanti della scuola primaria due questionari.
Un questionario aveva il compito di stabilire quanto gli insegnanti credono di poter mettere in atto strategie utili per aiutare i bambini in difficoltà con la lettura. E uno per capire fino a che punto gli insegnanti considerino le difficoltà degli alunni come biologiche e quindi immodificabili.
I due questionari sono stati presentati in due versioni diverse: in una si parlava esplicitamente di "dislessia", nel secondo di "difficoltà di lettura", per il resto erano identici.
Un totale di 146 insegnanti ha risposto ai due questionari con la parola "dislessia" e 121 a quelli in cui si parlava di "difficoltà di lettura".
Quando Gibbs ha analizzato il risultato ha scoperto che due visioni diverse degli insegnanti sulla loro capacità di aiutare i bambini.
Nei questionari con scritto "dislessia", le risposte suggerivano l'idea che fosse un handicap fisso e che gli insegnanti non potevano fare niente per aiutare questi bambini.
Al contrario gli insegnanti con i questionari con scritto "difficoltà di lettura" non vedevano nei bambini problemi permanenti e quindi erano più propensi a considerare il loro intervento in grado di aiutarli. E che l'abilità dei bambini si sarebbe sviluppata con il tempo.
"Questi risultati mettono in discussione l'etichetta 'dislessia' perché riducono la fede degli insegnanti nella loro capacità di aiutare i bambini". Di conseguenza, bollare un bambino come dislessico potrebbe essere in ultima analisi inutile per il suo benesseree sviluppo, ha concluso Gibbs
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