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Teoria gender, di che cosa si discute

di Simona Regina - 17.09.2015 - Scrivici

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Le scuole sono iniziate da qualche giorno e l'avvio del nuovo anno scolastico è stato segnato dalle polemiche lanciate da coloro che temono che la fantomatica “ideologia gender ” possa sovvertire i valori tradizionali della società. Ecco una panoramica sulla discussione relativa alla diffusione delle teorie "gender" nella scuola e alle posizioni del governo sul tema.

In questo articolo

Ormai in tutta Italia bambine e bambini sono tornati sui banchi di scuola. Mai come quest'anno, l'inizio del nuovo anno scolastico è stato segnato dalle polemiche e dagli allarmismi lanciati da coloro che temono che la cosiddetta “ideologia gender” possa sovvertire i valori tradizionali della società e colonizzare le menti dei più piccoli, inculcando strane idee sull'essere maschio o femmina, con l'effetto di creare una gran confusione su quella che è la loro identità sessuale.

Sotto accusa l'articolo 1 della Buona Scuola (legge 107/2015) che al comma 16 recita: “Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”. Articolo che, in estrema sintesi, stabilisce di promuovere nel mondo della scuola azioni positive di prevenzione alle discriminazioni e alla violenza sessuale e di genere. (Ti potrebbe interessare: A proposito dell'ideologia gender)

Una circolare del Ministero dell'istruzione tenta di fare chiarezza e placare gli animi, spiegando che inserire percorsi educativi sulla parità di genere è in fondo un modo “per dare puntuale attuazione ai princìpi costituzionali di pari dignità e non discriminazione”, oltre al fatto che anche il diritto europeo “proibisce la discriminazione per ragioni connesse al genere, alla religione, alle convinzione personali, handicap, età, orientamento sessuale o politico”. Da qui, quindi, l'importanza dell'educazione all'affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità e al superamento degli stereotipi di genere.

La ministra dell'Istruzione Stefania Giannini lo ha ribadito con chiarezza intervenendo ai microfoni di Radio24. Riguardo a una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’offerta formativa della cosiddetta “teoria del gender”, ha affermato che “chi ha parlato e continua a parlare di teoria di genere in relazione al progetto educativo del Governo Renzi sulla scuola fa una truffa culturale ai danni delle famiglie e degli studenti.

È un caso di mistificazione inaccettabile”.

Il riferimento è inevitabilmente rivolto ai messaggi che circolano in rete (ma non solo) e alle manifestazioni di piazza che invitano i genitori a prendere una posizione netta al fine di difendere i propri figli. Come? Per esempio raccogliendo firme al fine di indire il referendum per abrogare la legge 107 di riforma della scuola che favorisce l'inserimento del gender nelle scuole. (Leggi anche: Circolare del ministro Giannini, nessuna teoria gender nelle scuole)

Una sorta di crociata che alcune frange del mondo cattolico e politico portano avanti, ormai da mesi, perché dietro la facciata della “lotta alla discriminazione nelle scuole” si nasconderebbe una “colonizzazione ideologica” . “Uno studio più attento della legge – sentenzia per esempio il movimento Cristiani per la Nazione – fa sorgere la necessità di lanciare un vero e proprio allarme così come è stato già fatto dalle associazioni ProVita e dalle famiglie che ancora oggi continuano a battersi contro questo indottrinamento”.

“Uno degli obiettivi della legge – si legge sul loro sito – è infatti quello di negare le differenze esistenti tra uomo e donna, una perfetta copertura di quella che è un’ideologia che va ben oltre ciò e che mira invece a un indottrinamento, fin dalla tenera età, secondo il quale si può decidere di non essere ciò che si nasce. La legge, infatti, contiene un esplicito riferimento alla Convenzione di Istanbul nella quale si afferma che «con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». In poche parole, la società non può imporre a chi nasce biologicamente maschio o femmina di comportarsi da tale poiché risulterebbe solo una costrizione, bisogna invece permettere all’individuo nato maschio o femmina la scelta del proprio genere di appartenenza (maschile o femminile)”.

Ma proviamo a fare chiarezza su questa “teoria del gender”.

Innanzitutto è bene ribadire che non esiste.

È un'etichetta per strumentalizzare gli studi di genere e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe. Non esiste dunque un'ideologia gender ma esistono i gender studies, che si interrogano sul modo in cui la società interpreta (e ha interpretato) le differenze tra l'essere uomo e l'essere donna. Analizzano, cioè, come le le varie culture, nel tempo, hanno costruito il ruolo sociale della donna e dell’uomo e alimentato disparità di genere.

Non negano assolutamente l’esistenza di un sesso biologico (assegnato alla nascita in base ai genitali), ma evidenziano che da solo non basta a definire quello che siamo perché la nostra identità è una sorta di mosaico che si compone di diversi tasselli. Alla categoria sesso, si affianca infatti quella di genere che ha a che fare con le differenze socialmente costruite fra i due sessi. In altre parole, nasciamo maschi o femmine (tralasciamo il discorso sui genitali ambigui che rendono difficile etichettare un neonato come maschio o femmina), e diventiamo uomini e donne influenzati dalla cultura e dall'epoca in cui viviamo. Sono cioè i modelli socioculturali ad accompagnare il nostro sviluppo e la nostra crescita, incoraggiando o reprimendo atteggiamenti, comportamenti, ruoli sociali ritenuti appropriati o meno al sesso di appartenenza (quante volte, ancora oggi, si sente dire da alcune mamme o da alcuni papà al proprio figlio “smettila di piangere, è da femminucce”).

In questo senso il genere si acquisisce: è un costrutto socio-culturale. Da qui (forse) il grosso equivoco e il grido d'allarme.

Ma affermare che i condizionamenti culturali che subiamo fin da piccoli finiscono con l'influenzare il nostro modo di essere, donne e uomini, non significa negare le differenze sessuali, anzi. Significa valorizzare le differenze individuali e provare a scardinare quegli stereotipi (di genere), ancora duri a morire, che finiscono col creare una sorta di steccato tra i ruoli e i comportamenti che uomini e donne dovrebbero assumere in qualità del loro essere biologicamente maschi e femmine.

Ancora oggi, infatti, dominano le immagini stereotipate dell'uomo coraggioso, intraprendente, adatto al comando e della donna sensibile, remissiva e per natura dedita agli altri o seduttiva. “Basti pensare all'appellativo effeminato che viene usato utilizzato per descrivere quegli uomini che non si comportano “da maschi” o che danno libero sfogo alle loro emozioni “tradendo” l'universo simbolico della maschilità dominante; oppure a come vengano considerate “maschili” le donne che investono molte delle loro energie in un percorso professionale e di carriera piuttosto che in un progetto di coppia e di maternità”, si legge per esempio nel saggio “Educare al genere” (Carocci). (Ti potrebbero interessare gli approfondimenti del magazine sulla scuola primaria)

La scuola allora può fare la sua parte. Perché insieme alla famiglia, alla pubblicità, ai libri per l'infanzia, alla televisione, gioca inevitabilmente un ruolo importante nell'innescare, o meno, una catena di condizionamenti proponendo a bambini e bambine giochi, modelli di comportamento, spazi di azione diversi a seconda del sesso di appartenenza.

Basta, per esempio, sfogliare i libri di testo: un'indagine realizzata nell'ambito del progetto Polite, per la pari opportunità nei libri per la scuola primaria, ha sottolineato per esempio come le figure femminili siano per lo più mamme che accudiscono la casa o i figli.

O guardare con occhio critico la pubblicità dei giocattoli, per cogliere quanto e come enfatizzi una netta separazione tra le attività e gli interessi tipicamente femminili (cura delle bambole, dell'aspetto estetico, faccende domestiche) e quelli maschili (avventura, manipolazione degli oggetti, ecc.), contribuendo così a veicolare quegli stereotipi che ingabbiano maschi e femmine, fin da piccoli, in ruoli diversi.

E non si può negare che ciò che i bambini e le bambine guardano, leggono e ascoltano condiziona il loro sviluppo: il vedersi rappresentati fin da piccoli adatti o predisposti solo per alcuni ruoli e alcune attività rischia di incidere inevitabilmente sulle loro aspettative, sulle loro ambizioni, e sul modo di gestire le relazioni sociali.

Allora ben vengano percorsi educativi impegnati a inculcare il valore delle pari opportunità, che vogliono contrastare quegli stereotipi e quei luoghi comuni, ancora così radicati, che finiscono col determinare prospettive e destini diversi a seconda del fiocco, rosa o azzurro, che annuncia al mondo la nostra nascita, e continuano a essere alla base di molte discriminazioni.

L'educazione, del resto, come ribadisce Patrizia Romito, docente di psicologia all'Università di Trieste, anche nel libro”Madri (femministe) e figli (maschi)”(XL edizioni, 2013), è una molla fondamentale per il cambiamento: per creare una società che garantisca giustizia, rispetto, diritti e libertà a tutti, in cui la parità sia effettivamente reale e le donne, per esempio, non debbano fronteggiare maggiori difficoltà per fare carriera e non siano più le vittime sacrificali di quella violenza che, spesso, si consuma tra le mura domestiche.

Educare in un'ottica di genere, in fondo, significa formare cittadini e cittadine consapevoli del valore della diversità, nella convinzione che non esiste “il vero uomo” e la “vera donna”, ma persone che, a prescindere dal sesso, possono sognare di diventare astronauti, ingegneri, insegnanti d'asilo, possono manifestare le proprie emozioni e le proprie debolezze, far leva sul proprio coraggio e la propria determinazione. Affinché, insomma, maschile e femminile non siano più, rispettivamente, sinonimi di forza e debolezza, di coraggio e paura, di determinazione e remissività.

E in definitiva, significa prevenire forme di bullismo e discriminazione e favorire la piena realizzazione di tutti, uomini e donne, attraverso una cultura del rispetto, di pari diritti e opportunità.

Lo ribadisce anche la risoluzione non legislativa sulla “Emancipazione delle ragazze attraverso l’istruzione nell’Ue”, approvata alcuni giorni fa a Strasburgo dal Parlamento europeo. Per dire basta a discriminazione, violenza, diverse opportunità lavorative e di salario tra uomini e donne, i deputati ritengono che l'educazione di genere dovrebbe far parte di tutti i programmi scolastici.

Gli stereotipi (e il sessismo) rimangono infatti gli ostacoli maggiori al raggiungimento della parità, possono influenzare la fiducia in se stessi e le scelte che intraprendono ragazze e ragazzi. Allora vanno combattuti, attraverso la formazione degli insegnanti e opportuni programmi e materiali didattici.

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