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Il bambino non vuole fare sport: 10 strategie che funzionano

di Angela Bisceglia - 08.06.2016 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Comincia uno sport e dopo un po’ non ha più voglia di andarci; se però a lezione l’istruttrice la prende con sé o la mamma ignora le lamentele della bambina, lei sembra divertirsi. E se fosse una difficoltà a staccarsi dal genitore? Una lettera sul forum racconta l’esperienza di una mamma con la figlia: la psicologa Rosanna Schiralli ci aiuta a capire che cosa si può nascondere dietro il comportamento della bambina. 

In questo articolo

Sembra tirarsi indietro e non vuole fare sport. Quando lo fa invece si diverte. Una lettera arrivata a nostrofiglio racconta l’esperienza di una mamma con la figlia, la psicologa Rosanna Schiralli ci aiuta a capire che cosa si può nascondere dietro il comportamento della bambina.

"Buongiorno a tutti. Ho un problema con la mia bambina di 6 anni: mi sembra abbia timore ad iniziare qualunque cosa. Alla materna, ad esempio, piangeva ogni giorno mentre la portavamo a scuola e poi smetteva subito dopo l'inizio delle lezioni. Da un po' l'ho iscritta in palestra, a ginnastica ritmica. E' piuttosto brava, ma appena ha capito che stavano preparando il saggio di fine anno ha detto di non voler andare più inventandosi terribili mal di pancia. Se però la porto senza badare troppo alle sue lamentele, partecipa alle lezioni e si diverte. L'altro giorno, alla festa di un amichetto, c’era la possibilità di fare un giro sul pony: dopo aver fatto la fila, è corsa da me dicendo di non volerci salire più, ma quando l'animatrice è venuta a prenderla, ci è andata senza problemi e si è divertita. Non voglio che lo sport diventi un obbligo per lei, ma mi sembra che stia diventando un vizio quello di "tirarsi indietro"!

Non vuole fare sport? Forse è la mamma che ha paura di “lasciarla andare”

Spesso dietro un comportamento del genere si nasconde non una paura da parte della figlia a staccarsi dalla mamma, ma esattamente il contrario: è come se la bambina percepisse che la mamma non è ancora pronta a "mollarla" e volesse in un certo senso tranquillizzarla che lei è sempre lì, bisognosa di rassicurazioni proprio come, inconsciamente, la madre le comunica di desiderare.

I bambini con le loro super-antennine - chiamate dagli psicologi neuroni specchio – captano anche quello che noi genitori non vogliamo lasciare trasparire o che non riusciamo ad ammettere neanche a noi stessi, perché è qualcosa di inconscio di cui non ci rendiamo conto.

Anche rispetto allo sport.

"Se un bambino ha problemi a staccarsi, non è perché 'è nato timido', ma perché sta segnalando una difficoltà nella relazione con la mamma" dice la psicologa. "E lo dimostra nella lettera il fatto che, quando la mamma accompagna la bimba a fare sport (o, in precedenza, alla scuola materna), lei fa capricci, ma se la lascia senza badare troppo alle sue lagne, ci sta volentieri: come se qualcuno d'ufficio la sottraesse dal senso di colpa e quindi si sentisse libera di divertirsi. Poi quando torna la mamma ricomincia a fare storie, come a volerle dire: 'non preoccuparti, sono sempre dipendente da te'".

Piccole strategie per dare sicurezza alla bambina

Come aiutare la bambina a ‘staccarsi’ dalla mamma?

  1. farla accompagnare da qualcun altro
  2. organizzare attività solo con papà
  3. portate amichetti in casa
  4. farla dormire nel suo letto
  5. stimolare l'autonomia

“Innanzitutto la mamma deve prendere consapevolezza di come stanno realmente le cose e a quel punto cercare di modificare i propri comportamenti, in modo da veicolare alla figlia i messaggi corretti” specifica la Schiralli. “Inutile dire a parole alla bambina: ‘non ti preoccupare, la mamma è tranquilla, è contenta se vai a lezione’: i bambini a quell’età recepiscono molto i più dal nostro atteggiamento che dalle nostre parole”.

Ecco allora qualche dritta:

1. Far accompagnare la bambina a lezione dal papà o da altre figure di riferimento.

Almeno per un po’, sarebbe bene che la bambina venisse portata a lezione dal papà, dalla nonna o dalla baby sitter, in modo da farle sentire meno il ‘peso’ del distacco.

2. Organizzare attività piacevoli solo con il papà.

Per allentare il rapporto ‘uno a uno’ con la mamma, ogni tanto il papà può programmare qualche attività piacevole tutta per loro: andare a mangiare una pizza, a vedere un film, a giocare al parco, in modo da creare una complicità padre-figlia che la traghetti a staccarsi dalla madre.

Basta che non se la porti solo a sbrigare le sue commissioni, se no è tutto inutile!

3. Favorire la presenza di amichetti a casa.

Anche invitare più spesso coetanei in casa favorisce il processo di differenziazione dalla mamma.

4. Farla dormire nel suo letto.

Ci sono bambini che a sei anni dormono ancora nel lettone con la mamma. Dov’è il problema? “Se mamma e papà dormono in letti diversi, il messaggio che arriva al figlio è che non c’è una coppia che sta bene insieme e il bambino è come un piccolo imperatore che dà l’ossigeno alla mamma, lo scopo della sua vita” dice Rosanna Schiralli. “E invece lo scopo della vita di un figlio non è quello di rimanere appiccicato al genitore: ogni tanto bisogna ricordarsi che i figli vanno partoriti più volte nella vita. E la prima volta è la meno dolorosa”.

5. Stimolare l’autonomia nella vita quotidiana.

Ovviamente su gesti quotidiani adeguati alla sua età: sbrigare qualche faccenda di casa, eseguire i compiti per conto suo (basta una supervisione finale), tenere in ordine i suoi giochi, lavarsi da sola e scegliersi i vestiti: sono piccole autonomie che aiutano il bambino a sentirsi più sicuro.

6. Anche la mamma, ogni tanto, deve muoversi in autonomia.

Vedersi con un’amica per prendere un caffè, frequentare la palestra, uscire una sera col compagno, lasciando la bimba dalla nonna o con la baby sitter: ancora una volta sono comportamenti utili per il messaggio che veicolano, cioè che la madre sta bene anche senza di lei, che è disponibile ma non al totale servizio della figlia. “E che la figlia può finalmente sentirsi scaricata dalla responsabilità di essere l’ago della bilancia della felicità o dell’infelicità della sua mamma” aggiunge la psicologa.

7. Se uno sport proprio non le piace, si finisce l’abbonamento e poi si vede!

Se la bambina dice di non voler praticare più quello sport, inutile farle l’interrogatorio: ‘perché non ci vuoi andare, perché non ti piace il saggio…’ Intanto ci cerca di adottare le strategie suggerite e si termina la parte che è già stata pagata, poi si valuta se smettere e quale altra attività intraprendere. L’importante è mostrare che il timone in mano ce l’hanno sempre mamma e papà, che decidono la rotta da seguire, pur tenendo conto dei desideri del figlio.

8. Se non vuol fare il saggio, pazienza!

Se un bambino frequenta volentieri uno sport, ma non ha voglia di partecipare al saggio, non deve sentirsi obbligato a farlo. A volte i bambini soffrono di ansia da prestazione, temono il confronto con gli altri o sentono il fiato addosso da parte dei genitori, che magari riversano sul figlio troppe aspettative. E poi c’è chi è più estroverso e portato per la teatralità, chi non ama esibirsi in pubblico: pazienza, se non partecipa al saggio non è la fine del mondo!

9. Non coltiviamo l’orto del troppo e subito, ma l’orto dell’attesa.

C’è un altro fattore importante da tenere in considerazione: lo sport comporta impegno, attesa prima di vedere i frutti della propria fatica, rispetto delle regole, frustrazione per una possibile sconfitta: tanti aspetti che purtroppo molti bambini e ragazzi non sono più preparati a sostenere, abituati come sono ad ottenere tutto senza sacrificio e ad averla sempre vinta dai genitori. “Cominciamo a porre dei no, a coltivare l’orto non del troppo e subito ma dell’attesa, ad abituare i bambini a sopportare la frustrazione che deriva da un rifiuto o dalla necessità di rimandare al futuro il soddisfacimento di un desiderio” consiglia la psicologa. “Solo in questo modo la pulsione, che è fisiologica nei neonati, si trasforma in qualcosa di più gestibile e controllabile che si chiama emozione.

Ma siamo noi genitori che dobbiamo educare anno dopo anno il suo cervello a coltivare emozioni, a non essere vittima delle pulsioni, che li rendono fragili e facile preda di ogni tipo di dipendenza”.

10. Se la situazione non cambia, meglio chiedere consiglio ad un esperto.

Se, pur cambiando i propri comportamenti, l’atteggiamento del figlio non si modifica, forse è meglio rivolgersi ad uno specialista, che, inquadrando la situazione individuale, può dare indicazioni mirate per quella famiglia.

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Aggiornato il 19.09.2018

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