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Super amniocentesi, una promessa irrealistica e potenzialmente pericolosa

di Faustina Lalatta
Responsabile UOD Genetica Medica
- 11.12.2014 - Scrivici

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Le tecniche di villocentesi e amniocentesi di nuova generazione (NGS) sono state annunciate con molto clamore nei giorni scorsi come una grande scoperta. Si è parlato infatti di super amniocentesi. A oggi però queste tecniche di diagnosi prenatale rappresentano una proposta assai controversa, di cui anche gli specialisti ostetrici e soprattutto i futuri genitori non hanno gli strumenti per comprenderne la valenza e la pericolosità

In queste ultime settimane la stampa divulgativa e un certo tipo di stampa scientifica, oltre ad altre fonti meno controllate, hanno presentato in modo trionfalistico l’ingresso di una nuova metodica di indagine genetica in ambito prenatale. E’ stata definita “super-amniocentesi” o alternativamente villocentesi o amniocentesi di nuova generazione”, NGS.

La tecnica “sequenziamento di nuova generazione” o NGS è entrata da alcuni anni nell’ambito della diagnostica delle malattie genetiche. E’ potente e promettente ma richiede estrema prudenza anche nelle mani più competenti, anche quando venga utilizzata in fase diagnostica dopo la nascita, per la valutazione di un soggetto sintomatico di cui si sospetti una condizione genetica non facilmente identificabile. In ambito prenatale, viceversa, è ad oggi una proposta assai controversa, di cui anche gli specialisti ostetrici, ma soprattutto il pubblico non hanno gli strumenti per comprenderne la valenza e la pericolosità.

Questo editoriale intende proporre alcune argomentazioni che rendano evidente l’opportunità di modificare sostanzialmente il livello della comunicazione (toni, linguaggio, finalità) e permetta di definire gli aspetti critici di cui bisogna essere consapevoli come medici professionisti, quindi di riferimento per la donna in gravidanza che si accosta alla diagnosi prenatale.

Il rischio riproduttivo è una realtà che riguarda tutte le coppie della popolazione. Nei casi in cui l’anamnesi familiare sia negativa, non vi siano patologie materne croniche, assunzione di farmaci o sostante tossiche e non vi sia consanguineità tra i coniugi, la probabilità di difetti congeniti fetali è del 3-4% circa. Questo dato è stato definito dalla rilevazione epidemiologica delle anomalie congenite alla nascita e, in modo un po’ approssimativo ma realistico, può essere scomposto nei seguenti valori : circa l’1-2% dei neonati ha una o più malformazioni congenite ad esempio una cardiopatia, una malformazione renale o urinaria, malformazioni dello scheletro.

Circa l’1% dei feti ha un’anomalia cromosomica come la trisomia 21, oppure anomalie strutturali o numeriche dei diversi cromosomi.

Circa l’1% infine presenta una delle 6.500 malattie genetiche dovute a difetti del DNA tra le quali le più frequenti sono la fibrosi cistica, la distrofia muscolare, la talassemia o l’X-fragile.

Durante la gravidanza, attraverso le indagini prenatali, è possibile, con ragionevole precisione identificare la maggior parte delle malformazioni, soprattutto se l’ecografista è competente e l’apparecchiatura che può utilizzare è di elevata qualità.

E’ altresì possibile identificare la maggior parte delle anomalie cromosomiche, mediante l’analisi citogenetica tradizionale o attraverso l’analisi Array che individua alterazioni di piccole dimensioni che sfuggirebbero all’esame tradizionale e che spiegano circa il 6-8% delle disabilità intellettive.

E’ quindi realistico affermare che la probabilità di avere alla nascita una diagnosi inaspettata di un difetto congenito cromosomico o malformativo viene dimezzata nel caso in cui l’esame ecografico e l’esame cromosomico-molecolare risultino normali. Naturalmente parliamo di utilizzo delle tecniche invasive, che consentono di avere a disposizione cellule e DNA per queste indagini.

Come è noto le tecniche di prelievo invasive comportano un rischio di aborto che è compreso tra lo 0.5% per l’amniocentesi e l’1% per il prelievo dei villi coriali. Le tecniche di indagine del DNA fetale circolante nella madre (non invasive) con le quali è oggi possibile ottenere alcune informazioni, molto accurate, ma limitate alle principali trisomie non sono oggetto di questo testo.

Anche gli accertamenti tradizionali non sono comunque privi di difficoltà interpretativa e spesso, ancora oggi, nonostante un’immensa esperienza accumulata in 40 anni di analisi cellulare fetale e 30 anni di indagine morfologica, gli esperti si interrogano sul significato clinico, la prognosi, la modificazione della qualità di vita del nascituro che non appare normale durante la gravidanza.

Questo prezzo è considerato accettabile se si pensa che la probabilità a priori di un difetto congenito malformativo o cromosomico alla nascita viene dimezzata, quando si ottiene un esito normale dagli esami.

Cosa si può fare invece per ridurre ragionevolmente la probabilità di una malattia genetica, determinata da mutazioni del DNA? Si tratta del gruppo più complesso e articolato di difetti congeniti in quanto le mutazioni geniche si esprimono in forma di malattie secondo regole e modalità che solo in parte sono conosciute e, paradossalmente i meccanismi di relazione tra il genotipo ed il quadro clinico sono oggi infinitamente più complessi da definire rispetto a 10-15 anni fa.

In linea di principio se fosse possibile identificare tutti i portatori sani di malattie genetiche gravi, potremmo informare preventivamente le coppie a rischio di avere un figlio affetto e, secondo la loro volontà, assisterle durante la gravidanza nel desiderio di conoscere la presenza o l’assenza di una determinata malattia.

Attualmente però, in Italia ma anche nella maggior parte dei Paesi occidentali, non esiste una politica chiara riguardo l’esecuzione di test preconcezionali per identificare i portatori sani di malattie genetiche, ad esclusione della talassemia che viene sospettata mediante un esame ematologico (emocromo ed elettroforesi dell’emoglobina) e successivamente molecolare. Per le altre condizioni ci si orienta in base all’anamnesi familiare o sull’indicazione clinica della coppia. Un numero crescente di coppie chiede oggi di poter estendere questi accertamenti e viene orientata, al di fuori del sistema sanitario, sull’opportunità, limiti e caratteristiche di alcuni altri test, specificamente la ricerca di mutazioni della fibrosi Cistica (portatore sano 1/27), l’Atrofia Muscolare Spinale (portatore sano 1/50) e l’X-fragile (portatrici sane 1/200).

Bisogna però considerare che, se anche tutte le coppie si sottoponessero volontariamente o mediante una copertura economica dello stato a questi test, il rischio riproduttivo per malattie genetiche ereditarie non si allontanerebbe dall’1% previsto. Questo è legato al fatto che l’incidenza di queste condizioni, che sono le più frequenti tra le rare, oscilla tra 1/3000 e 1/5000 e che il valore di 1% di rischio di malattia genetica ereditaria nel neonato, è la somma dell’incidenza delle diverse migliaia di malattie, tutte rare o rarissime.

Perché allora tanto clamore per presentare un esame che riduce in modo irrisorio il rischio riproduttivo naturale, già contenuto?

In effetti è stato pubblicato su una rivista scientifica e comunicato attraverso i media che questo test è oggi disponibile, che può essere chiesto volontariamente dalla donna in gravidanza, e ne ha illustrato incredibili vantaggi senza precisarne i numerosissimi limiti. Limiti che la comunità scientifica ha sottolineato fortemente in tutte le occasioni di confronto scientifico.

Per comprendere quale possa essere l’impatto delle così dette tecniche di “sequenziamento di nuova generazione” applicate alla diagnosi prenatale è necessario una breve premessa tecnica ed è sufficiente utilizzare tre esempi che sono già stati oggetto di consulenza genetica presso la Clinica Mangiagalli a seguito del disorientamento e incomprensione di alcune coppie che hanno aderito a questa offerta commerciale nelle ultime settimane.

La tecnologia NGS nasce dall’esigenza e dalla prospettiva di ottimizzare la diagnosi molecolare di condizioni genetiche rare ed eterogenee per la quali l’inquadramento clinico e l’applicazione dei test genetici “step-by step” è poco efficiente, dispendiosa economicamente e in termini di tempo con costi che, per le famiglie con soggetti affetti, sono difficili da sostenere. In estrema sintesi questa tecnica, resa possibile dallo sviluppo di piattaforme bioinformatiche e di potentissimi software, consente di selezionare un pannello di geni di cui si vuole conoscere la sequenza e verificarne la normalità, rispetto a un riferimento di controllo. Le aziende si sono attivate per offrire tutte le possibili combinazioni: dall’analisi dell’intero genoma, all’esoma (circa 19.000 geni), a piattaforme mirate su specifici geni che possono essere da alcune decine a diverse centinaia o migliaia. In sé la tecnica è accessibile per un laboratorio di biologia molecolare con apparecchiatura idonea, sistemi informatici che devono essere interpretati da personale formato.

Il campione biologico necessario è semplice DNA estratto da cellule del sangue (post-natale) di villi coriali o amniociti (prenatale).

L’uso della tecnologia NGS è molto promettente, potente, ma ancora di estrema difficoltà applicativa alla clinica, anche in un soggetto già nato, di cui possiamo vedere il quadro clinico e di cui possiamo studiare, con il tempo necessario che può essere di settimane o mesi gli esiti dubbi, incerti o addirittura contradditori.

Come è pensabile trasferire questa tecnica nella fase prenatale? Nello stesso tempo : cosa di più allettante che offrire questa tecnologia in diagnosi prenatale? Poter dire alla donna che, invece di correre un rischio della procedura invasiva per testare solo alcune decine di condizioni, con la stessa procedura, può ottenere la conoscenza di diverse centinaia di malattie genetiche gravi? Come resistere a questa offerta?

Questa offerta è in realtà frutto di una speculazione molto grave e lesiva della libertà ed autonomia di scelta della donna in quanto promette un risultato che non è raggiungibile. Innanzi tutto la scelta delle malattie incluse nel pannello presentato da una Società privata è del tutto arbitraria e non segue un criterio epidemiologico o di gravità. Include infatti un elevato numero di condizioni a impatto clinico modesto, con eterogeneità genetica che ne condiziona e limita la diagnosi completa e soprattutto include anche condizioni per le quali il rapporto genotipo-fenotipo è del tutto impossibile da stabilire. Caratteristiche che renderebbero qualsiasi test prenatale non proponibile.

Sono sufficienti alcuni esempi per chiarire questa affermazione.

Immaginiamo che, attraverso il pannello della “Diagnosi prenatale di Nuova Generazione”, in un feto di una coppia senza rischio a priori si abbia:

  1. Individuazione di una mutazione allo stato eterozigote (singola dose) di un gene che si comporta secondo la modalità recessiva. Questa modalità prevede che la malattia si manifesterà in presenza di una seconda mutazione. Ma, se anche non la si trova, la malattia non è esclusa perché potrebbe manifestarsi anche in presenza di un particolare polimorfismo, cioè semplice variazione del gene omologo, oppure per l’alterazione di un fattore di regolazione del gene stesso, che non verrebbe individuata. Ecco lo scenario: viene individuata una mutazione di una rara malattia. Non è possibile offrire una chiara definizione di probabilità che il nascituro sia solo portatore sano oppure affetto. La malattia non è conosciuta dalla coppia di genitori e spesso nemmeno dal ginecologo. Il genetista interpellato non potrà comunque dare una risposta certa alla famiglia. Si scatena uno stato d’ansia che non è facilmente controllabile. L’esame tanto atteso e tanto ben presentato si trasforma in un’arma letale.
  2. Individuazione di una mutazione allo stato eterozigote (singola dose) di un gene che si comporta come dominante, cioè produce la malattia anche quando l’altro allele è normale. In questo caso sembrerebbe semplice porre una diagnosi certa di patologia. Invece non è detto. Potrebbe essere certa in forme come l’Acondroplasia, ma assolutamente incerta in forme come la sindrome di Marfan, Le Cardiomiopatie, il Rene Policistico o la Neurofibromatosi. Tutte condizioni dominanti che si esprimono con estrema variabilità tanto che una percentuale di soggetti che ha la mutazione ha sintomi così sfumati che è difficile definirli malati. Ecco lo scenario. viene individuata una di queste mutazioni e lo specialista interpellato non è in grado di definire in nessun modo la gravità del quadro clinico. Come sarebbe possibile orientarsi sulla gravidanza? Come stare tranquilli? Oppure perché angosciarsi? Domande equivalenti, applicate ad una condizione fetale!
  3. Eterogeneità genetica: l’esame NGS che viene reclamizzato ha, nella sua lunghissima lista di geni, condizioni che sono eterogenee dal punto di vista genetico e clinico e che non possono per definizione essere intercettate o identificate totalmente. Alcune condizioni elencate non sono nemmeno caratterizzate dal punto di vista genetico, eppure sono inserite tra le condizioni di cui è possibile la diagnosi! L’aspettativa quindi di un bambino senza distrofia, senza ritardo mentale, senza autismo, senza nanismo è irrealistica, anche quando l’esame dovesse risultare perfettamente normale! Nella lista infatti non sono contenuti tutti i geni che sono alla base di queste condizioni e soprattutto l’analisi non rivela tutte le diverse modalità di mutazione che potrebbero determinarle. Quindi la gioia, il sollievo, il senso di trionfo percepito dalla donna al ritiro di un esame normale si tradurrà, in un senso di tradimento, di sconfitta, di errore subito proprio perché l’esame, potentissimo, era normale ma non è diagnostico come si lascia credere. Il calcolo è che questo, come anche gli inevitabili errori diagnostici siano sufficientemente rari per garantire comunque un profitto con gli esami normali, ma soprattutto con la nascita di bambini normali che lo sarebbero stati comunque, perché parte del 96-97% della popolazione non affetta!
  4. Esistono infine condizioni geneticamente determinate che non modificano la qualità della vita. E’ giusto che siano inserite in un pannello di geni che viene testato in diagnosi prenatale? La comunità scientifica, ma soprattutto la comunità sociale non dovrebbe essere interpellata su questo punto?

Ma allora perché portare sul mercato questo esame? Chi eseguirà le interruzioni di gravidanza di fronte a casi incerti e dubbi o addirittura con conseguenze lievi e rimediabili? Chi sosterrà la donna e la coppia di fronte all’angoscia dell’incertezza? Chi rimedierà alla difficoltà psicologica di accogliere un bambino vissuto come malato già prima della nascita e magari destinato a far parte del 97% dei bambini sani? Chi pagherà per tutto questo?

I ginecologi per primi hanno il dovere di informarsi e ricevere da uno specialista una spiegazione completa e neutrale del significato di questa analisi. Devono integrare la loro attività professionale con quella del medico genetista che, al di fuori dei canali commerciali, è in grado di guidare la donna e la coppia nella giungla dei test genetici proposti nella sanità privata.

Non devono temere azioni legali, invocate come possibile minaccia, per il fatto che non propongono questo accertamento, viceversa, mostrandosi informati, spiegando con precisione le caratteristiche e i limiti dell’esame potranno costruire con la propria paziente un’alleanza, una solida relazione di fiducia all’interno della quale la coppia potrà esprimere il proprio punto di vista, conoscere esattamente le probabilità, sapere cosa è realisticamente diagnosticabile e cosa no, decidere fin dove spingersi, prendendo in mano la propria responsabilità.

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