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Test del DNA fetale: le Linee guida del Ministero della Salute

di Nostrofiglio Redazione - 14.07.2015 - Scrivici

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Il test del dna fetale è più accurato dei test di screening tradizionali, come il duotest, e riduce il rischio di ricorsi inutili a tecniche invasive. Per questo, il Consiglio superiore di sanità chiede che il test del DNA fetale sia introdotto anche in ambito pubblico.

In questo articolo

Oggi, in Italia, circa 50mila donne in gravidanza richiedono ogni anni il test del DNA fetale o NIPT (abbreviazione dell'espressione inglese che sta per test di screening prenatale non invasivo). Si tratta di un test eseguito a partire da un semplice prelievo di sangue della mamma, per valutare il rischio che il feto sia affetto da alcune anomalie cromosomiche, in particolare le trisomie 21 (sindrome di Down), 13 e 18.

Al momento, il test viene proposto presso laboratori privati o ambulatori collegati con aziende commerciali americane. Il prelievo viene inviato presso queste aziende, che eseguono materialmente l'analisi, con un costo per gli utenti che varia da 350 a 900 euro.

Ora, però, il Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute ha approvato le Linee guida che fanno il punto della situazione sul test, nella prospettiva di poterlo offrire anche nel nostro Paese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale.

Le caratteristiche del NIPT


Per prima cosa, il documento del Consiglio superiore di sanità chiarisce le caratteristiche e le potenzialità di questo test, sulla base dei risultati degli studi clinici condotti finora. In particolare sottolinea che:

1. Si tratta di un test non invasivo,

basato sull'analisi del DNA totale presente nel sangue materno, che è in parte DNA della mamma stessa e in parte DNA fetale. La sua esecuzione non comporta quindi alcun rischio né per la mamma né per il bambino.

2. Può essere eseguito con tecniche differenti:

alcune prevedono il sequenziamento del DNA, altre l'analisi di particolari regioni estremamente variabili da individuo a individuo.

3. Si tratta di un test di screening e non di un test diagnostico.

In altre parole non stabilisce definitivamente se il feto sia affetto o meno da una particolare malattia, ma indica la probabilità che questo accada. Ricordiamo che gli unici test per la diagnosi di malattie genetiche e cromosomiche sono quelli basati su metodiche invasive, come amniocentesi e villocentesi.

4. Il test è al momento validato dal punto di vista scientifico per le principali anomalie cromosomiche

, che sono la trisomia 21 (reponsabile della sindrome di Down), la trisomia 13 e la trisomia 18. Nel complesso, queste anomalie rendono conto del 50-70% delle aberrazioni cromosomiche che potrebbero essere presenti in un feto.

 

Rispetto a queste anomalie, il NIPT è più accurato dei test di screening tradizionali, in particolare i duotest, che combina la misurazione per ecografia della translucenza nucale con i valori di alcuni parametri biochimici della mamma.

 

La sensibilità (cioè la capacità di individuare la malattia in feti che sono effettivamente malati) è del 99,2% per la trisomia 21, del 96,3% per la trisomia 18 e del 91% per la trisomia 13. I falsi positivi (cioè i campioni che risultano positivi anche se il feto è sano) sono molto rari. A questo proposito, però, le nuove Linee guida precisano che ogni risultato positivo di un NIPT deve essere confermato da una tecnica invasiva tradizionale.

 

5. Poiché è più accurato del test di screening tradizionale e dà meno falsi positivi, riduce il rischio di un ricorso inutile alla diagnosi invasiva.

Questo è un elemento importante, perché per sua natura la diagnosi invasiva comporta un rischio minimo di aborto legato alla procedura (le Linee guida parlano di un rischio pari allo 0,5% per l'amniocentesi e al 2-3% per la villocentesi, anche se questi rischi potrebbero essere ancora più bassi).

In ogni caso, meno falsi positivi significa minor rischio di sottoporsi a una procedura invasiva e dunque minor rischio di perdere un feto sano a causa della procedura stessa.

6. Un risultato negativo, cioè che indica una bassa probabilità di trisomia, deve essere in generale considerato rassicurante.

7. Indicazioni per l'offerta del servizio in Italia Proprio sulla base di queste caratteristiche, il Consiglio superiore di sanità invita il Ministero della salute, il Servizio sanitario nazionale e i vari servizi sanitari regionali a prendere in considerazione l'introduzione del test del DNA fetale come test di prima o di seconda scelta. In pratica, si tratterebbe di proporlo alle donne che vogliono essere informate sui rischi di anomalie cromosomiche del proprio bambino in alternativa al test di screening tradizionale.

Perché questo accada, però, occorre prevedere una particolare organizzazione delle strutture in grado di offrire il servizio. In particolare, i laboratori che eseguono il test dovrebbero essere centralizzati a livello sovraregionale (quindi pochi laboratori per tutta Italia), in modo da abbattere i costi dell'analisi.

Inoltre, dovrebbero essere certificati e partecipare a programmi periodici di controllo della qualità.

I centri che offrono il servizio, infine, non devono limitarsi a proporre ed eseguire il prelievo, ma essere attivi in una vera consulenza genetica, sia prima del test, sia dopo, in modo che le donne che vi accedono abbiano ben chiaro che tipo di informazioni otterranno con questa analisi. E, in caso di risultato positivo, possano essere accompagnate nel percorso medico successivo.

8. Prima bisogna fare un'ecografia

Secondo quanto previsto dalle Linee guida, infine, il test dovrebbe essere sempre preceduto da un'ecografia e non deve essere considerato sostitutivo di altre indagini (come ecografie ed esami del sangue) che fanno parte integrante del monitoraggio della gravidanza.

 

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