«Ovunque si trovano informazioni pratiche su come fare la mamma: come mettere a letto il bambino, quando dargli da mangiare, a che età deve dire la prima parola, camminare e così via. Quello che manca totalmente è un approccio che affronti la maternità da un punto di vista del pensiero» esordisce così la mamma e insegnante di filosofia torinese, Vittoria Baruffaldi.
Ecco perché le è venuto in mente di scrivere Esercizi di Meraviglia (Einaudi), un libro che si differenzia dagli altri «perché non vuole insegnare a nessuno come fare la madre». Nel volume, invece, si affronta da un punto di vista filosofico questa condizione, dalla gravidanza fino a quando il bambino è grande. «Alla fine rimangono più domande che risposte, ma sono tutti gli interrogativi e i dubbi che ogni madre ha e su cui ha bisogno di riflettere».
Vi presentiamo tre punti che tocca il libro e da prendere in considerazione.
1 - Maternità senza competizione
L'assunto di partenza è che bambini e filosofi siano molto simili: li accomuna il fatto di essere in grado di guardare il mondo con stupore e meraviglia.
«Per noi adulti è impossibile fare come loro, perché siamo carichi di sovrastrutture – continua la scrittrice –. Ma è importante tentare di farlo, perché ci può aiutare a vivere la maternità non come una competizione o una gara, ma come un bellissimo fatto dell'esistenza».
Bisogna dunque smettere di pensare che fare la mamma sia raggiungere degli obiettivi, «piuttosto è un cammino che si fa insieme e che porta da qualche parte, che non è lo stesso punto di arrivo per tutti. Ogni madre e bambino, infatti, devono trovare una loro strada, non quella che qualcuno dice che sia quella giusta».
2 - Vedere il mondo come i bimbi: senza paura o vergogna
Non dobbiamo avere paura di seguire i nostri figli nella loro scoperta del mondo
Uno dei più grandi esercizi che i piccoli fanno è quello di rendere quotidiani e concreti grandi temi filosofici come la libertà, la felicità e l'amore. «
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3 - Le qualità di una (buona) madre
Per essere una buona madre «serve una notevole apertura del pensiero, che porti ad accogliere l'altro. Perché il proprio figlio è altro da noi, ma anche questo è un percorso di crescita. All'inizio, si accoglie l'altro nel gioco delle somiglianze, ma poi lo si accetta sempre di più per ciò che è nella sua essenza e diversità».
Ciò che è più difficile è trovare la giusta distanza. «Di essere mamma non si finisce mai, ma poi bisogna lasciar andare i figli. E la distanza in questo senso non è lontananza, bensì una misura d'amore, perché da lontano ci si comprende meglio».
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