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Aspirinetta in gravidanza (cardioaspirina) : a cosa serve, quando prenderla, quando smettere

di Valentina Murelli - 06.07.2023 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Aspirinetta in gravidanza: a cosa serve la cardioaspirina in gravidanza, quali sono i rischi pe rilf eto, qual è il dosaggio che viene solitamente prescritto

In questo articolo

Aspirinetta in gravidanza

Ad alcune donne, in gravidanza viene prescritta l'aspirinetta (o cardioaspirina). Ma a che cosa serve esattamente questo farmaco, e quando va preso? Lo vediamo con l'aiuto di Paola Pileri, esperta di patologia della gravidanza all'ospedale Sacco di Milano.

Cardioaspirina in gravidnaza, a cosa serve

L'aspirinetta - a proposito, il nome preciso sarebbe cardioaspirina - è una formulazione a basso dosaggio di acido acetilsalicilico, il principio attivo dell'aspirina. Ha due effetti fondamentali:

  1. anticoagulante, perché inibisce l'aggregazione delle piastrine,
  2. antinfiammatorio, perché riduce i livelli di alcune molecole coinvolte proprio nell'infiammazione.

Nell'ambito della gravidanza, è utilizzata da tempo in alcune categorie di donne a rischio, per la prevenzione di patologie placentari come preeclampsia, ritardo di crescita, distacco di placenta, e per ridurre la possibilità di nuovi aborti in donne che ne abbiano già avuti (si parla in questi casi di poliabortività o di aborti spontanei ripetuti). "In effetti si ritiene che all'origine di queste condizioni siano implicati anche problemi della coagulazione o fattori che spingono verso l'infiammazione" spiega Pileri. "Da qui, l'idea che un farmaco antiaggregante e antinfiammatorio possa dare una mano a ridurre i rischi".

In realtà, l'utilizzo dell'aspirinetta in gravidanza è un tema di ricerca ancora caldo e negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha discusso molto sull'efficacia di questo farmaco in varie situazioni. La conclusione è che a fronte di situazioni in cui l'aspirinetta è sicuramente indicata, ce ne sono altre in cui non è ancora chiaro se e quanto serva davvero. "Purtroppo è difficile giungere a conclusioni definitive, perché le condizioni in gioco sono tante, con esiti simili che possono dipendere da cause molto diverse tra loro", commenta la ginecologa.

Quando l'aspirinetta serve davvero

Esperienza clinica e letteratura scientifica dicono chiaramente che l'aspirinetta serve per ridurre il rischio di patologie placentari - preeclampsia, ritardo di crescita fetale, morte in utero, distacco di placenta - e di aborto in donne che hanno una condizione chiamata sindrome da anticorpi antifosfolipidi o che, pur non avendo la sindrome, hanno comunque questi anticorpi.

In generale, sia una revisione critica dell'associazione Cochrane, sia le Linee guida sull'ipertensione in gravidanza del Nice, istituto nazionale inglese per la salute e l'eccellenza clinica, dicono che l'aspirinetta è indicata per tutte le donne a elevato rischio di preeclampsia, anche per cause diverse dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi. "Questi documenti sottolineano che in questi casi il farmaco riduce in modo significativo il rischio di forme gravi di preeclampsia, mentre è meno efficace rispetto a forme più lievi, che però preoccupano meno" spiega Pileri.

Per essere davvero efficace, l'aspirinetta andrebbe presa prima delle 12 settimane di gravidanza, o almeno entro le 16 settimane

Perché funzioni davvero, però, l'aspirinetta va presa il prima possibile: l'ideale è prima delle 12 settimane di gravidanza, e comunque al massimo entro le 16 settimane. "Questo perché le fasi più importanti della formazione della placenta avvengono proprio nelle prime settimane di vita dell'embrione, ed è su queste che si pensa che intervenga il farmaco", specifica Pileri.

Cardioaspirina in gravidanza rischi per il feto

L'aspirina può esseere assunta a basso dosaggio, quello prescritto dal medico, solo per il periodo di tempo indicato. A queste condizioni non ci sono rischi per il feto. Un dosaggio più alto può essere, invece, collegato a malformazioni congenite, problemi cardiaci, anomalie nel liquido amniotico.

Preclampsia: ecco chi è a rischio

Il vero problema, però, è capire esattamente chi è a rischio di preeclampsia, perché al momento i fattori di rischio riconosciuti sono pochi. Ecco quelli elencati dalle Linee guida del Nice:

  • aver avuto preeclampsia in una gravidanza precedente;
  • pressione alta cronica;
  • malattie renali;
  • alcune malattie autoimmuni come il lupus sistemico o la sindrome da antifosfolipidi;
  • diabete.

Le Linee guida, inoltre, suggeriscono di prestare attenzione ad alcuni fattori che, presi da soli, non sembrano rappresentare un rischio particolare, ma che diventano preoccupanti se sono presenti contemporaneamente. Per esempio l'obesità, la gravidanza gemellare, il fatto di avere più di 40 anni, il fatto di avere una storia famigliare di preeclampsia.

In altre parole: non è che tutte le donne incinte con più di 40 anni debbano prendere aspirinetta, ma se sono anche obese oppure aspettano due gemelli, molto probabilmente il medico gliela prescriverà.

"In pratica, quello che le Linee guida inglesi suggeriscono è di assegnare una sorta di punteggio a ogni fattore critico, e sulla base del conteggio finale decidere se somministrare il farmaco o meno" precisa Pileri. È un nuovo modo di affrontare il rischio, molto personalizzato".

Prevedere la preeclampsia

I veri fattori di rischio per la preeclampsia sono pochi: nella maggior parte dei casi, questa temibile condizione si manifesta alla prima gravidanza, senza che niente nella storia personale o famigliare della donna possa farlo sospettare. Proprio per questo, la ricerca scientifica sta facendo un grosso sforzo per cercare di individuare elementi utili per la diagnosi precoce del rischio di preeclampsia, con l'obiettivo di identificare con un test di semplice esecuzione le donne davvero a rischio di sviluppare la malattia tra tutte quelle in gravidanza. E di farlo il prima possibile perché, come abbiamo visto, i farmaci utili per la prevenzione servono solo se presi prima delle 12-16 settimane.

I filoni di ricerca principali in questo ambito sono due: uno riguarda lo sviluppo di test basati su proteine della placenta, che possono essere misurate attraverso un semplice esame del sangue. In alcuni ospedali questi test, che per il momento sono sperimentali, vengono proposti durante il bi-test. "Però è importante spiegare alle donne che, per quanto possano dare un'indicazione, non sono ancora completamente affidabili" spiega Valentina Pontello, esperta di gravidanze a rischio e consulente dell'associazione Ciaolapo Onlus per la tutela della gravidanza e della salute perinatale. "Quindi, se il test segnala un aumento di rischio non bisogna preoccuparsi troppo: non è detto che ci si ammalerà davvero, ma per precauzione la gravidanza sarà seguita con qualche controllo in più".
Un'altra linea di ricerca riguarda l'utilizzo della flussimetria Doppler delle arterie uterine e ombelicali. Si tratta di una particolare ecografia che analizza proprio la quantità e la velocità del sangue che circola in questi vasi per valutare il funzionamento della placenta. La sfida è ottenere da questo esame informazioni utili già nel primo trimestre di gravidanza.

Poliabortività: non sempre l'aspirinetta risolve il problema

Per molto tempo è stata abitudine comune prescrivere l'aspirinetta in modo automatico a tutte le donne che avessero avuto tre o più aborti, magari senza indagare in modo dettagliato le possibili cause di questa situazione. In realtà, non è detto che in questi casi il farmaco serva davvero, e aiuti a portare avanti una nuova gravidanza.

Come abbiamo visto, l'aspirinetta è efficace se gli aborti ripetuti sono associati alla presenza di anticorpi antifosfolipidi. "Invece, al momento non ci sono prove che serva davvero nei casi in cui, nonostante indagini approfondite, non si riesca a individuare una possibile causa degli aborti ripetuti" spiega Pileri, citando in proposito le conclusioni di un'altra revisione dell'associazione Cochrane. "Il che non vuol dire che non la si possa usare in questi casi, ma solo che non andrebbe prescritta a tappeto, in modo automatico".

Non ci sono prove che l'aspirinetta serva davvero nei casi di aborti ripetuti per i quali non è stata identificata una causa

"Il punto è che stiamo pur sempre parlando di un farmaco, che dunque può avere effetti collaterali: per esempio il rischio di reazioni allergiche, di sanguinamenti, di distacchi di placenta, di emorragie del feto se bisogna procedere d'urgenza a un parto operativo e l'aspirinetta non è stata sospesa per tempo. Certo, si può anche decidere di somministrarla in casi "dubbi", per i quali non c'è il pieno sostegno di conclusioni scientifiche solide, ma bisogna farlo solo dopo un'attenta valutazione, e mai con leggerezza".

Un discorso analogo vale per l'assunzione da parte di donne che seguono percorsi di fecondazione assistita. "Anche in questo caso a volte è prescritta in modo automatico, partendo del presupposto che queste donne abbiano di fondo qualche problema infiammatorio, ma in realtà anche in questo caso andrebbe fatta una valutazione più personalizzata" sostiene la ginecologa. "Non tutte le donne che affrontano un PMA ne hanno bisogno".

Aspirinetta in gravidanza: quando smettere

Bisogna subito interrompere l'assunzione di aspirinetta se si verificano reazioni allergiche (come orticaria), sanguinamenti vaginali ripetuti o perdita di sangue dal naso e nel caso in cui ci sia placenta previa, cioè una placenta inserita nella parte bassa dell'utero, a coprire l'apertura dell'utero stesso.

Inoltre, il farmaco va sospeso se si dovesse rendere necessario un intervento chirurgico, anche per motivi diversi dalla gravidanza: per esempio per appendicite.

Se tutto va bene, l'aspirinetta va comunque sospesa un po' prima del parto: almeno una settimana prima, ma per stare tranquilli alcuni preferiscono interrompere qualche settimana prima della data prevista per il parto spontaneo o programmato.

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Revisionato da Francesca Capriati

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