Chi sono gli adolescenti oggi?
«Sono ragazzi che vivono in un’epoca difficile, ma hanno tutti gli anticorpi per farcela, se sappiamo infondere in loro la giusta fiducia», dice Pietro Vaghi, 33 anni, copywriter, già educatore e coach per adolescenti.
Nel suo ultimo libro, «Scritto sulla mia pelle» (editore Salani) narra la storia di un ragazzino “di buona volontà” che si fa carico delle fragilità familiari e trova la sua strada. Un’opera di finzione, certo, ma ispirata ai tanti ragazzi che Vaghi ha incontrato, per lavoro, sulla sua strada.
Ecco secondo l’autore l’identikit dei ragazzi della “Generazione Dieci”, i ragazzi che oggi hanno tra i 15 e i 25 anni:
SONO DIVERSI DA NOI.
Vietato fare i confronti con la propria giovinezza o con le passate generazioni. Gli adolescenti di oggi vivono in una società completamente diversa da quelle precedenti: sono diverse le condizioni economiche (la crisi ha molto colpito la struttura e la solidità familiare) ma anche il modo di rapportarsi (la rivoluzione digitale ha trasformato i rapporti interpersonali).
INSIDE/OUT.
Sono in crisi perché provano una gran voglia di costruire ma vedono attorno a loro un panorama devastato. Ciò che li mina di più la loro sicurezza è la crisi della famiglia e quella del lavoro. La metà dei ragazzi non crede nella possibilità di legami duraturi per sempre.
IL GRUPPO E’ LA FAMIGLIA.
Sono ragazzi molto abili a trovare un minimo appiglio a cui aggrapparsi: generalmente trovano nei gruppi di coetanei il supporto e la comprensione che non riescono a sentire a casa.
TEMPO.
Molti genitori dedicano tempo e organizzano il loro lavoro in funzione degli impegni dei figli piccoli: dai 14 anni in avanti invece allentano la presa, ma spesso questo processo non è graduale e coglie i ragazzi di sorpresa. Molti preadolescenti dichiarano che i genitori dedicano troppo poco tempo ad ascoltarli.
ACCUDIMENTO.
Dai 14 ai 25 anni i ragazzi hanno ancora bisogno di sentirsi accuditi. Hanno bisogno di tempo di qualità passato con i genitori: buona regola sarebbe quella di cenare tutti insieme, a telefoni staccati. Vale per i ragazzi, ma anche per i genitori.
ASCOLTO.
I ragazzi chiedono spazio e non tollerano costrizioni (sugli orari, il tipo di compagnie o nell’uso di smartphone o tablet) ma in realtà il ruolo “da vigile” dei genitori li rassicura molto. Adorano uscire da soli, la sera, e magari sgarrare anche sull’orario di rientro ma se al ritorno vedono che li avete aspettati e che vi dimostrate interessati a ciò che fanno, capiscono di essere amati.
VITA SOCIAL.
I ragazzi sono immersi nei social: in media ricevono uno stimolo digitale (messaggio di Whatsapp, contatto su Facebook, instagram a altro) ogni minuto. Questo rende la loro concentrazione più difficile, ma non impossibile: va loro insegnato a staccare, a spegnere (magari soffrendo il distacco) i vari dispositivi, quando si studia, quando si cena. Ciò che funziona meglio è il buon esempio.
TUTTI PAZZI PER HUNGER GAMES
Perché i ragazzi apprezzano così tanto i romanzi distopici, quelli che descrivono un futuro apocalittico con il peggiore dei mondi possibili, una realtà tutta alla Hunger Games? Perché si sentono in pericolo, perché sostengono che i grandi non danno loro fiducia né speranza. Per mantenere la comunicazione aperta, bisogna impegnarsi a conoscere il loro mondo, ciò che guardano al cinema o sugli schermi, ciò che leggono, i siti che visitano, i social su cui interagiscono. Per sorprenderli, bisogna usare una comunicazione più schietta e diretta, tornando alle vecchie pacche sulle spalle: che stima possono avere di un genitore che comunica quasi solo via messaggio o di un Mister che ti incoraggia per la partita via WhatsApp?
NEET
(dall’acronimo inglese “not in education, employment or trading”) non dobbiamo dimenticarci di loro, i tanti giovani che non studiano e non lavorano e che vivono in casa, sulle spalle dei genitori. In Italia sono 2,4 milioni, secondo i dati appena pubblicati dal sociologo Alessandro Rosina, docente all’Università Cattolica di Milano. Sono ragazzi che hanno abbandonato precocemente la scuola o lasciato l’università, in molti casi hanno anche smesso (o mai iniziato) una seria ricerca di lavoro perché sfiduciati dalla società. Una parte di generazione purtroppo perduta.