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Alberto Pellai: "I figli non hanno bisogno della 'scorta' per diventare grandi"

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Fonte: Pixabay
"Come adulti l’unica preoccupazione che dovremmo avere è quella di interrogarci su quali sono le competenze intorno alle quali educare i nostri figli affinché in preadolescenza siano in grado di gestirsi in autonomia e sicurezza un percorso scuola-casa riducendo il proprio rischio di trovarsi coinvolti in pericoli prevenibili". E' un estratto della risposta di Alberto Pellai alla sentenza della Cassazione che stabilisce che all’uscita della scuola media i figli possono oltrepassare il cancello per andare a casa solo se c’è un adulto responsabile.

In questo articolo

Ma davvero commetto un reato se mio figlio preadolescente torna a casa da scuola non accompagnato?

E’ la domanda che si pone Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva che lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. La risposta a questa domanda è una lunga e interessante riflessione, diventata post sulla sua pagina Facebook. Che mette al centro il ruolo dei genitori nell’educazione dei figli. E che si oppone a figli cresciuti come bamboccioni.

Ecco il post di Alberto Pellai

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"Ma davvero commetto un reato se mio figlio preadolescente torna a casa da scuola non accompagnato?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che all’uscita della scuola media i figli possono oltrepassare il cancello per andare a casa solo se c’è un adulto responsabile che si fa carico del loro riaccompagnamento. Ovvero: hai 14 anni, magari sei alto 1 metro e settanta, forse hai già baciato una ragazza, quasi certamente da almeno tre anni possiedi uno smartphone, probabilmente hai già navigato in siti per adulti, però…. Però, sappi che per legge camminare quei 300, 400 magari 800 o 1000 metri nella tua comunità che separano il cancello della tua scuola dal tuo cancello di casa….. rappresenta un pericolo che non puoi affrontare da solo.

 

Probabilmente la scuola, avendo una legge che definisce che non è sua responsabilità occuparsi del ritorno a casa dei figli preadolescenti, potrà dotarsi di un alibi di fronte a quei genitori che, qualora succeda qualcosa al loro figlio, si sentiranno meglio scaricando su presidi e docenti le responsabilità. Ma siamo sicuri che di fronte ad un incidente nel percorso da casa a scuola (e viceversa) l’unica preoccupazione che dobbiamo avere è definire di chi è la colpa?

 

Con questa legge la scuola potrà dire: colpa della famiglia. Prima di questa legge, la famiglia puntava il dito contro la scuola e diceva: tutta colpa tua. Come adulti, invece, l’unica preoccupazione che dovremmo avere è quella di interrogarci su quali sono le competenze intorno alle quali educare i nostri figli affinché in preadolescenza siano in grado di gestirsi in autonomia e sicurezza un percorso scuola-casa riducendo il proprio rischio di trovarsi coinvolti in pericoli prevenibili.

Ciò che è prevenibile va insegnato e fatto apprendere ai nostri figli.

 

Ciò che non è prevenibile, accadrà comunque, anche se fuori dal cancello ci sono una mamma o un papà a ritirare il proprio figlio per riaccompagnarlo a casa. Il vero pericolo, in questo momento, è che come adulti non siamo più capaci di riflettere sui processi educativi in modo sano. Se succede qualcosa ad un minore, l’unica cosa che gli adulti sanno fare è avviare il processo della colpevolizzazione. “E’ tutta colpa della scuola” dicono i genitori e la scuola è più che autorizzata a rispondere: “No, è tutta colpa della famiglia”. In questo modo, ciò che dovrebbe essere un’alleanza educativa, si trasforma in un conflitto costante. E mentre noi ci facciamo la guerra al piano alto della relazione educativa, loro – i nostri figli e i nostri studenti – che abitano al piano basso non comprendono che cosa realmente ci si aspetta da loro. Se chiedono di tornare a scuola da soli, vengono fermati sul cancello perché la legge non glielo permette. Se rinunciano a crescere in autonomia e competenze e rimangono sempre piccoli, vengono poi raccontati come dei “bamboccioni” senza speranza, che non sanno gestire un passo fuori dalla porta di casa senza richiedere il supporto protettivo della famiglia di origine. E’ un vero paradosso e il problema – ahimè – siamo noi.

 

Siamo noi adulti che negli ultimi 20 anni non abbiamo saputo costruire per i nostri figli un sano equilibrio tra il loro bisogno di ricevere protezione e la necessità fisiologica di fargli esplorare il mondo, la vita e le relazioni che stanno fuori dalla porta di casa, dalla zona di sicurezza dove è sempre disponibile il conforto e la cura offerti dalla presenza rassicurante di mamma e papà. Siamo noi adulti che abbiamo rinunciato a tollerare l’ansia di vedere un figlio che a 11 anni può anche uscire dal cancello di casa non accompagnato per andare a scuola, in palestra, in oratorio, a giocare da un amico.

Che abbiamo deciso che un preadolescente non può girare in città in bicicletta, perché è troppo pericoloso. Che abbiamo smesso di tollerare quell’ansia fisiologica che ogni adulto deve imparare ad autoregolare quando un figlio diventa grande e non può più essere presidiato da mattina a sera dall’occhio vigile dei genitori che lo proteggono e si prendono cura di lui.

 

Così abbiamo messo nelle loro mani dei guinzagli elettronici che facciamo squillare in ogni momento per verificare dove sono, cosa fanno e sì – in fondo lasciatemelo dire, perché questo è il motivo per cui così tante volte li chiamiamo in ogni momento del giorno – anche per essere sicuri che sono vivi. In questo modo però i nostri figli hanno imparato da noi che la loro città, la loro comunità, il loro quartiere è un posto pericolosissimo, dove si stenta a sopravvivere, dove non si può mai diventare autonomi. Dove , per assurdo, è diventato impossibile tornare a casa da scuola non scortati dai genitori. Ma i figli non hanno bisogno della “scorta” per diventare grandi. Hanno bisogno di competenze e di crescente autonomia. Che solo noi adulti possiamo insegnargli. Però, per farlo, ci vuole tempo. Ci vuole pazienza. Ci vuole energia. E ci vuole anche una sana dose di fiducia negli altri e nella buona sorte. Non si può crescere un figlio nella paura. Lo si può invece crescere se si fonda il proprio progetto di vita sulla speranza. Ecco, forse bisogna ripartire da qui, per essere buoni adulti oggi.

 

Bisogna avere più speranza e meno leggi a tutela del nostro senso di colpa di essere educatori inadeguati.

 

Bisogna avere più alleanze tra adulti e meno conflitti.

 

Bisogna credere che i nostri figli non siano dei bamboccioni perché questo è il solo modo per non trasformarli in tali.

 

E sì, in fondo, bisognerebbe avere più biciclette e meno smartphone.

 

Auspico una sentenza della Cassazione che obblighi i genitori dei preadolescenti a mandarli a scuola tutti i giorni in bicicletta. Che definisca multe e sanzioni in caso di iperprotezione di minore. Che definisca reato il conflitto scuola-famiglia. Che eventualmente stabilisca un’età minima per legge, al di sotto della quale non si può possedere uno smartphone, come è già stato fatto per alcol e tabacco. Insomma auspico un mondo dove ci siano gli Adulti. Quelli con la A maiuscola. Quelli veri.

 

Se volete commentate e condividete: stavolta la provocazione è davvero forte.

 

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