Come può un adolescente arrivare a uccidere genitori e fratello minore? Ancora peggio: senza apparenti segnali di disagio? Possibile arrivare a tanto? Ci sono dei segnali premonitori? L'episodio avvenuto a Paderno Dugnano la notte tra sabato e domenica, in cui un diciassettenne ha ucciso a coltellate il fratellino di 12 anni per poi colpire la madre e il padre scuote l'animo di ogni genitore, di teenager e non. "Non c'è un vero motivo per cui li ho uccisi, mi sentivo oppresso": questa la confessione del diciassettenne, mentre trapelano sempre più dettagli sulla stampa di cosa sia avvenuto la notte del 31 agosto 2024.
Come possono accadere episodi del genere ed è possibile prevedere una tragedia simile? Abbiamo raccolto gli ultimi pareri degli esperti, tra pedagogisti, psicopedagogisti e psicoterapeuti.
Stefano Rossi: "Interroghiamoci sulla salute relazionale dei nostri ragazzi"
Questo il commento a nostrofiglio.it dello psicopedagogista Stefano Rossi, che ha appena pubblicato il libro "Sentimenti malEducati.
Coltivare l'intelligenza affettiva per insegnare ai ragazzi le cose dell'amore", editore Feltrinelli. L'esperto aggiunge poi tre punti su cui riflettere, tramite un reel sulla sua pagina Instagram:
- "Proviamo a chiederci, dopo tragedie come queste, ma noi riusciamo davvero a vedere nostro figlio? Siamo interessati a quello che porta nel cuore? Siamo almeno in parte consapevoli delle battaglie che sta combattendo?
- Sappiamo davvero ascoltarlo? Non con le pinze che vogliono estrarre informazioni dal figlio, ma ascoltare con delicatezza in suo cuore?
- Se ti rendi conto che qualcosa con tuo figlio non funziona, hai l'amore e il coraggio di chiedere aiuto?"
"La carenza conflittuale porta alla violenza", parola di Daniele Novara
"La strage di Paderno Dugnano ha lasciato tutti sgomenti, anche noi specialisti". Lo comunica Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro PsicoPedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti.
"Si tratta di un caso limite, la normalità non è questa, ma negli ultimi anni sto assistendo a un preoccupante aumento dell'aggressività dei figli, soprattutto adolescenti, nei confronti dei genitori.
Un fenomeno assolutamente inedito a livello storico e molto difficile da notare perché è spesso accompagnato da un senso di vergogna e imbarazzo che impedisce al genitore che ha subito violenza di parlarne.
Ho avuto occasione di notarlo grazie al mio lavoro che mi ha portato a riscontrare come gli atti intimidatori o violenti si collochino all'interno di un quadro genitoriale di fragilità, sia emotiva che educativa. Incontro spesso padri e madri che faticano a mantenere la giusta distanza con i loro figli, quella distanza che permette loro di organizzarne adeguatamente la crescita.
Troppo spesso invece si cercano con i figli relazioni confidenziali, se non amichevoli, che non arginano di certo le istanze aggressive. Genitori che vivono spesso nell'innocenza del mito del dialogo, della parola, dello scambio. Così facendo abdicano al loro ruolo genitoriale, impedendo il mantenersi della giusta distanza e quindi della propria titolarità educativa.
E finendo con il diventare amici dei figli, e non genitori.
Un quadro che sta creando una generazione di ragazzi e ragazze scarsamente propensi a gestire le contrarietà, quelle situazioni in cui gli altri non sono d'accordo con te, non ti danno ragione, le cose non vanno come volevi. Si creano così corto circuiti che portano spesso a comportamenti aggressivi legati alla frustrazione di non saper gestire adeguatamente i conflitti relazionali.
La scuola, che potrebbe essere il luogo deputato a sanare questa mancanza, fa troppo poco su questo versante nonostante la poca capacità di affrontare i conflitti in modo sano sia estremamente diffusa nella fascia adolescenziale. La difficoltà nella gestione delle contrarietà e dei conflitti è l'anticamera della violenza. Per questo abbiamo bisogno di progetti educativi dedicati alla buona gestione dei conflitti e non di tenere i nostri ragazzi e le nostre ragazze lontani da ogni contrarietà, in un mito dell'armonia che non ha alcun senso".
"Dalla paura al coraggio", di Alberto Pellai
Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta infantile, si confida sulla sua pagina Instagram: "Non possiamo sapere cosa è scattato nella mente del 17enne che ha compiuto la strage familiare che ci ha lasciato tutti atterriti. Le poche parole dell'adolescente reo confesso ci fanno intuire che quel ragazzo si sentiva estraneo, dislocato e sconnesso sia rispetto al mondo intorno a sé sia nei confronti di se stesso. Come questo vissuto di depersonalizzazione e derealizzazione possa portare ad uccidere tutta la propria famiglia sarà il tempo, forse a dircelo. Io percepisco la dimensione del vuoto interiore in questi eventi e mi colpisce che il ragazzo abbia dichiarato che un minuto dopo aver compiuto la strage, si sia reso conto che ciò che aveva fatto non risolveva il suo dolore e rappresentava qualcosa di irreparabile.
In noi genitori, oggi c'è sgomento e dolore.
Continuo a ricevere messaggi di genitori che vorrebbero essere rassicurati, che chiedono parole che ci facciano sentire dalla parte giusta, in un territorio della vita in cui garantirsi la certezza che a noi queste cose non capiteranno mai. Io non posso dare a nessuno questa certezza. Tanto meno la posso dare a me, che sono padre di quattro figli. Però invito tutte le mamme e i papà a non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza e di paura. Continuiamo ad essere presenti sulla scena della vita dei nostri figli, senza invaderla. Continuiamo a farli stare nella vita reale, in modo tale che escano nel mondo e continuino a desiderare di esplorarne la bellezza e quell'ignoto della cui scoperta non puoi fare a meno, quando sei adolescente. Aiutiamoli a fare rete perché possano incontrarsi con persone vere e reali. Continuiamo a parlare tra noi adulti di ciò che davvero conta nella vita, che non è garantire solo benessere materiale e protezione fisica ai nostri figli, bensì essere capaci di spingerli anche là dove il terreno della vita è sconnesso e aspro. Smettiamola di avere paura delle loro cadute e delle sbucciature dei loro cuori e delle loro ginocchia. In questo momento in cui tutti siamo pieni di paura, i nostri figli hanno bisogno di una sola cosa: di adulti coraggiosi che sappiano tenere alto lo sguardo verso il cielo".
Per Paolo Crepet viviamo in una società violentissima
Secondo il noto psichiatra e sociologo Paolo Crepet questi episodi si verificano "perché siamo tutti violenti. Questa è una società violentissima. A Torino hanno massacrato un signore che faceva le bolle di sapone alla stazione, non è follia, è odio. È odio anche andare a 200 chilometri l'ora in auto con la propria fidanzata e finire contro un albero, se ami la tua ragazza vai a 65 orari e le accarezzi la mano.
Ai 200 all'ora si è indifferenti alla vita dell'altro, è ovvio. Perché ci riguardano". Per concludere, come riferisce in un'intervista al Corriere della Sera: "Le famiglie non funzionano, la scuola è abbandonata a sé stessa. Negli Stati Uniti ogni mese esce un libro sull'impatto della tecnologia digitale sui nostri figli ma non facciamo niente perché ci sono le Lobby che portano a cena un senatore e sono a posto".
L'importanza della scuola
Crepet al Messaggero sottolinea l'importanza della scuola: "Vai a discutere se tuo figlio ha preso un brutto voto, se ha preso 5? Ma cosa ti interessa se tuo figlio ha preso 5? Saranno cavoli suoi. Lascialo di fronte alle sue responsabilità. I genitori italiani non sono protettivi quando dovrebbero esserlo, vale a dire a partire dalle 9 di sera. Sono protettivi in modo sbagliato, ecco che non ci sono più i voti a scuola. Guardi, è stato fatto tutto il contrario di ciò che sarebbe intelligente fare. Forse non siamo un popolo così intelligente".
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