Quando i figli smettono di vederci come i loro eroi
"A 10 anni sei la persona preferita dei tuo figli. Dopo questa fase però, loro inizieranno ad avere nuovi modelli, avranno migliori amici, fidanzate, fidanzati, si sposeranno... Tu non sarai più al primo posto". Queste parole sono di River Hately-Richards, 35enne papà di due bambine, fotografo e creatore di un blog dedicato a viaggi ed escursioni che ha pubblicato un video, diventato virale su TikTok (lo trovate sull'account @northsouthtravels), dove invita i genitori a rimanere presenti nei primi anni di vita dei propri figli.
Ma fino a quale età un figlio non vede più il proprio genitore come un eroe? E come vivere al meglio questi preziosi momenti di vicinanza e il necessario distacco successivo? Lo chiediamo allo psicopedagogista Stefano Rossi, autore del libro "Lezioni d'amore per un figlio" (Feltrinelli, 2023)
Da quando a quando siamo gli eroi dei nostri figli e perché?
"Noi siamo programmati dalla natura a essere gli eroi affettivi dei nostri piccoli. Per quale ragione? E perché questo perdura fino ai dieci anni di età? Perché la creatura Homo sapiens, a differenza di altre specie, ha bisogno di un tempo lungo per la maturazione del suo cervello e questo ci rende così programmati per cercare nel genitore il porto sicuro. Ovvero quell'eroe, quella casa, quella base che per certi aspetti ci protegge dagli imprevisti, dalle ferite e da tutto ciò che c'è di spaventoso nel mondo.
Questa fase, che John Bowlby ha chiamato dell'attaccamento affettivo, è fondamentale perché scolpisce dentro di noi quelli che Bowlby ha chiamato "MOI", cioè "Modelli operativi interni": in base alla qualità della relazione e del legame affettivo tra il bambino piccolo e il suo caregiver (principalmente la madre ma poi pian piano anche il padre), noi sviluppiamo e il nostro modo di pensare, sentire comunicare e amare.
In base alla qualità del legame affettivo primario, noi cambiamo il nostro sguardo sul mondo".
In che modo un genitore può essere (o non essere) l'eroe del figlio?
Facciamo degli esempi concreti con cui il genitore, per certi aspetti, non è solo l'eroe ma è autore di una parte del modo di pensare e sentire del figlio".
- Il genitore porto sicuro. "Se noi abbiamo un genitore "porto sicuro", cioè un genitore empatico, che fa sentire al caldo la mente e il cuore del bambino, crescendo questo bambino avrà introiettato un senso di sicurezza, di fiducia e avrà piacere nel connettersi emotivamente con gli altri".
- Il genitore porto freddo. "Al contrario, se il genitore è quello che io chiamo un "porto freddo", cioè un genitore emotivamente distante, il bambino dovrà indurire il suo cuore per sopravvivere a questo freddo dell'anima. E, crescendo, diventerà un adulto che, tendenzialmente, sarà un po' disconnesso dalle proprie emozioni, non amerà particolarmente entrare in connessione emotiva profonda con gli altri. Questo accade perché ha introiettato questa distanza, questo freddo".
- Il genitore porto oscillante. "Se invece il genitore è un quello che io chiamo un "porto oscillante", cioè un genitore ansioso, ambivalente, a tratti presente e a tratti no, il bambino introietterà questo forte senso di insicurezza. Percepirà un senso di ansietà che deriva dal fatto che da piccolo non sa se la mamma c'è o non c'è, se il papà è un eroe o è un latitante. Crescendo l'impatto sarà quello di avere interiorizzato un senso di incertezza che lo porterà ad avere paura della vita. Come prima, da bambino, aveva paura dell'assenza e della latitanza del genitore".
- Il genitore uragano. "Infine, c'è il quarto modello di attaccamento che tecnicamente si chiama "attaccamento disorganizzato", ma che io chiamo in maniera divulgativa il "genitore uragano". Si tratta di quel genitore che, anziché essere l'eroe del figlio, diventa il suo peggior nemico. Qui le cose si complicano, perché quando il genitore da "porto sicuro" diventa "uragano" il bambino va in mille pezzi: la mente e il cuore del bambino si frantumano e a lungo termine il bambino diventato adolescente avrà una grande difficoltà a regolare le proprie emozioni, farà fatica a fidarsi degli altri, tenderà sempre a mettere alla prova i propri legami affettivi".
Fino a quando siamo gli eroi dei nostri figli?
"Come accennato, siamo gli eroi dei nostri bimbi all'incirca fino ai dieci anni, cioè quando arriva quell'età tempestosa che chiamiamo preadolescenza.
Perché fondamentalmente l'obiettivo che la natura dà al genitore "porto sicuro" non è quello di diventare una prigione per il figlio: il genitore "porto sicuro" deve nutrire affettivamente il piccolo veliero, affinché abbia il coraggio, la fiducia e l'empatia per salpare per il mondo. Come scrivo in "Lezioni d'amore per un figlio", il compito esistenziale dell'adolescente è staccarsi, è separarsi dal genitore per far nascere sé stesso su quattro isole: l'isola del sé, l'isola dell'amicizia, l'isola dell'amore e l'isola del desiderio. Quattro isole su cui il neo-adolescente deve rispondere alla grande domanda: chi sono e chi voglio diventare".
Perché in adolescenza il genitore non è più un eroe?
"Perché spesso viene considerato addirittura un "impostore". Pensiamo quante volte noi, da adolescenti, abbiamo accusato i nostri genitori di non essere coerenti: di colpo non li abbiamo più immaginati con il mantello del supereroe con cui li abbiamo sempre visti. Questo accade perché il neo-adolescente deve "uccidere" (così ci ha insegnato la psicanalisi), il padre simbolico. Uccidendo il padre simbolico, in realtà l'adolescente sta cercando di uccidere il bambino simbolico, il suo sé bambino, che non è più utile per affrontare il mondo. Quindi c'è un doppio dolore: c'è il dolore del genitore che si sente colpito, c'è il dolore del figlio che sente di dover trasformare se stesso. Ma in realtà questa in psicologia si chiama processo di separazione-individuazione: cioè, la mente del figlio deve separarsi, deve staccarsi, per certi aspetti deve "ripudiare" quella del genitore per far nascere la propria unicità".
Le 3 fasi del rapporto genitori - figli
"Potremmo descrivere questi passaggi del rapporto genitori - figli con le "tre fasi dell'abbraccio".
- La ricerca per l'abbraccio. "Il bambino fino a 10 anni ha una passione per l'abbraccio: cerca con tutte le forze l'abbraccio del genitore e sta bene dentro l'abbraccio del genitore".
- Il ripudio dell'abbraccio. "Durante l'adolescenza, nella seconda fase, c'è una "fobia" dell'abbraccio: l'adolescente non vuole sentirsi coccolato, perché quell'abbraccio gli ricorda che è ancora un bambino, e che quindi non ha ancora fatto nascere la sua nuova mente adolescente".
- Il ritrovamento dell'abbraccio. "C'è una terza fase, che avviene di solito col compimento dell'età adulta, spesso quando i figli escono fuori di casa, iniziando a realizzare sé stessi, ed è il ritrovamento dell'abbraccio. Perché in questa fase la mente adolescente diventa una mente adulta che è in grado di riconoscere la gratitudine, l'amore, la vicinanza, la pazienza, la fiducia che il genitore ha avuto in tutto questo periodo".
Tempo di qualità con i figli: esiste davvero? E come lo trascorriamo?
"Il tempo è la più grande sfida del nostro tempo. Mi riferisco al tempo con i figli e in generale al tempo dedicato all'affettività. Su questo, purtroppo, chi fa il mio lavoro deve essere abbastanza chiaro: il principale ingrediente per la crescita sana di un bambino è il tempo affettivo. Ma il tempo affettivo non è il tempo del fare, è il tempo dell'esserci. Un tempo in cui il genitore non solo sta col figlio, ma gli fa sentire che desidera stare con lui, che ama stare con lui. Allora questo tempo diventa profumato, caldo, che sorride, che nutre e fa fiorire quel senso di sicurezza, di coraggio e di empatia che poi il figlio erediterà quando dovrà salpare per il mare aperto".
Come custodire il tempo. "Ora, per i genitori che lavorano dobbiamo tenere presente che è importante che dopo il lavoro questo tempo affettivo sia custodito. E questo vuol dire soprattutto spegnere la mente e spegnere il cellulare. Perché lo smartphone ci perseguita anche a casa: le mail e le notifiche arrivano a tutte le ore, i gruppi WhatsApp dissacrano il tempo della famiglia a tutte le ore. E, per quanto sia difficilissimo per tutti, perché gli smartphone sono progettati per incatenarci e ipnotizzarci, è importante magari avere a casa una digital box, cioè uno spazio in cui, in una certa fascia oraria, si prevede lo spegnimento dei cellulari che vengono allontanati fisicamente dallo sguardo di entrambi i genitori, in modo tale che sia preservato questo tempo affettivo per il bambino".
Creiamo momenti speciali. "Poi sarebbe anche opportuno che accanto a questo tempo diciamo più frequente, affettivo, ci siano anche magari dei momenti speciali: dei riti semplici che si ripetono, come una sfida a canestro o una gita al parco fatta ogni domenica.
Insomma, dei momenti in cui la famiglia ritrova sé stessa e viene custodita la connessione emotiva".
In generale è d'accordo con quello che dice il papà nel video?
"Rispetto a questo video del papà, sono sicuramente d'accordo con la parte iniziale: il primo tempo in cui i figli ci considerano degli eroi, più o meno, dura fino ai 10 anni.
Non sono d'accordo, invece, quando dice che questo tempo non tornerà più. Perché poi questo tempo ritornerà nella terza fase dell'abbraccio, di cui abbiamo parlato sopra".
Il bambino al centro. "In linea di massima i concetti che esprime sono molto positivi, però vorrei integrarli con il fatto che in una società dell'iperfunzionamento il genitore, nell'economia della sua vita, deve mettere al centro il suo bambino, e questo è molto difficile".
L'importanza capitale del rapporto tra i genitori. "Un altro aspetto da non sottovalutare, è il rapporto tra mamma e papà: i due genitori devono, con le debite proporzioni, anche sapersi ritagliare anche un tempo per la coppia. Perché non c'è niente di peggio per un bambino di crescere all'interno di una coppia che si odia, si ignora e che si colpisce emotivamente un giorno dopo l'altro. E dato che ciò di cui non ci prendiamo cura sfiorisce, bisogna prendersi cura amorevolmente del legame genitore-bambino ma anche del legame genitore-genitore".
L'intervistato
Stefano Rossi (https://www.stefanorossiofficial.it/) è uno psicopedagogista scolastico tra i massimi esperti di didattica cooperativa ed educazione emotiva di bambini difficili e ragazzi a rischio. Ha ideato il progetto di contrasto alla dispersione scolastica chiamato Metodo Rossi della Didattica Cooperativa®. È autore di una trentina di testi e ha pubblicato "Mio figlio è un casino" (Feltrinelli, 2022) e "Lezioni d'amore per un figlio" (Feltrinelli, 2023). È attivo su Instagram con la sua pagina "stefanorossi.official"
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