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10 consigli per gestire un figlio preadolescente diventato “ribelle”

di Angela Bisceglia - 23.01.2024 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Gestire un preadolescente, consigli per i genitori dello psicoterapeuta Alberto Pellai. Cosa fare se nostro figlio preadolescente è ribelle

In questo articolo

Gestire un figlio preadolescente

Con il termine preadolescenza si indica proprio un bambino nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni. E' in questo periodo che i bambini si trasformo dal punto di vista fisico e iniziano ad accrescere in loro le pulsioni sessuali. Si arrabbia per niente, rifiuta di obbedire, recrimina di non essere compreso e talvolta assume atteggiamenti maleducati che ci si chiede dove abbia imparato. I consigli di Alberto Pellai, medico e psicoterapeu­ta dell'età evolutiva, per gestire un figlio preadolescente.

Il cambiamento fa parte della crescita ed è giocoforza che, con l'arrivo della preadolescenza, il figlio non sia più il bambino obbediente e sintonizzato sulle aspettative del genitore, come era fino a pochi mesi prima.

2. Non percepire il loro atteggiamento come una mancanza di affetto

Spesso però i genitori restano delusi da questo comportamento dei figli e percepiscono il loro allontanamento come una sorta di abbandono amoroso, come se il figlio di punto in bianco non volesse più bene al genitore. "L'amore non c'entra e non è messo in discussione, quel che il figlio sta cercando con questo suo comportamento è mettere una sorta di barriera di separazione dal genitore, quasi a voler sancire un processo fisiologico di differenziazione da lui" dice Pellai. Non per niente a volte manifesta concretamente questa sua esigenza chiudendosi nella sua camera e mettendo alla porta tanto di cartello 'bussare prima di entrare' o 'non disturbare', a farci capire senza mezzi termini che è altro da noi.

3. Interrompere la comunicazione se supera il limite

In questo processo di separazione, rabbia e insubordinazione ci possono stare, però è importante che il genitore continui a fare l'adulto, conservando un atteggiamento pacato e non si lasciandosi tentare dall'impulso di entrare nella contesa. Supera il limite alzando la voce, diventando aggressivo? Interrompiamo le comunicazioni, aggiungendo espressamente che non abbiamo più niente da dire né da ascoltare, che o se ne va lui in un'altra stanza o ce ne andiamo noi.

E solo quando sarà tornato tranquillo si potrà riprendere a parlare di tutto. "È un comportamento che ha un forte effetto su un ragazzo, che invece avrebbe proprio il desiderio di continuare a provocare o tenere alto il conflitto" osserva lo psicoterapeuta. "Con il nostro comportamento invece passiamo il messaggio che siamo aperti al dialogo su tutto, ma con toni regolati, senza oltrepassare certi limiti e senza parolacce. E lo stesso ci impegniamo noi a fare con loro, perché il patto di non aggressività deve valere da entrambe le parti".

4. Dopo la “tempesta“ si può chiarire

Sbollita la rabbia e uscito dalla fase di maggiore attivazione emotiva, in genere il ragazzo torna ad una situazione di normalità. "A quel punto non ci mettiamo a fare prediche e non pretendiamo 'dall'alto' delle scuse, che sarebbero solo un gesto di obbedienza passiva. Chiediamogli piuttosto di ripensare alle parole che ci ha detto, di cercare di mettersi nei nostri panni per capire che cosa abbiamo provato" prosegue l'esperto. "Potremmo anche scrivergli un biglietto da lasciargli alla sera sul cuscino, o, per essere più tecnologici, mandargli un whatsapp, in cui esprimere, sempre in maniera pacata, come ci siamo sentiti. In questo modo lo stimoliamo a rifletterci su, ad attivare un pensiero critico e sviluppare consapevolezza di quanto è successo"

5. Non aver paura di dire di no (nel timore di una loro reazione aggressiva)

Anche in questa fase di "tsunami" che è la preadolescenza, un genitore deve mantenere saldo il suo ruolo e aver coraggio di dire di no. Che fare però se si pone un divieto al quale i figli mostrano di non volersi sottomettere? "In tal caso è fondamentale che mamma e papà si facciano vedere alleati e coerenti tra loro, in modo da comunicare al figlio che l'adulto ha un progetto chiaro in mente, che sa quali sono è sì e i no da dire" risponde Pellai.

Così come occorrerà essere fermi su alcuni no che i figli rivendicano, allo stesso modo bisognerà essere propositivi e incoraggianti sugli spazi di autonomia e libertà che i genitori hanno deciso di concedere al loro figlio... perché qualche sì bisognerà pur concederlo!

6. Tollerare la frustrazione del ragazzo per i nostri no

Nel momento in cui poniamo un divieto ovviamente non possiamo aspettarci che si mostrino contenti: al contrario, ci diranno che siamo i peggiori genitori del mondo, che ci odiano e altri complimenti simili. "Va messo in conto e rientra nel meccanismo del funzionamento del cervello a questa età, che si attiva fortemente sui vissuti emotivi" dice Alberto Pellai. "Non raccogliamo la provocazione, restiamo tranquilli, in modo da mostrare che l'autorevolezza non deriva da chi alza di più la voce ma da chi ha le idee più chiare".

7. Che fare se ci dicono: tu non mi capisci

E' una delle frasi classiche quando c'è una lite tra genitori e figli. A quel punto rispondiamo con una controdomanda: 'se credi che non riesca a comprenderti, aiutami a capire che cosa non riesco a capire di te, dimmi che cosa vorresti sentirti dire'. In questo modo sproniamo il ragazzo a tirare fuori i suoi bisogni e sviscerare aspetti che considera come incompresi. Magari vien fuori un bisogno che possiamo accontentare; o invece tira fuori una richiesta che non si può esaudire, alla quale risponderemo semplicemente che nessun genitore che vuol bene al proprio figlio potrebbe mai fare una concessione del genere! A volte i figli ci provano a fare richieste che sanno già essere esagerate, ma poi si sentono quasi sollevati dal constatare che noi, da adulti con la A maiuscola, continuiamo ad essere un punto di riferimento saldo anche nei no che impartiamo loro.

8. Se fa il paragone con il fratello o la sorella

Un altro classico: 'preferisci lui', 'lui lo comprendi, me no'. In questo caso rispondiamogli che noi siamo sempre gli stessi e loro sono diversi, che siamo disponibili a comprendere entrambi anche se a volte non è facile.

L'importante è tenere un atteggiamento di apertura, in modo che il figlio non veda un genitore rigido, che ha solo l'ansia di difendere le proprie posizioni, ma un genitore sempre propenso ad ascoltare il punto di vista del ragazzo.

9. Evitare le strategie punitive, come il classico sequestro del cellulare

Sequestrare il cellulare ha senso se la 'colpa' di un comportamento aggressivo deriva direttamente dallo smartphone, altrimenti potrebbe suscitare solo rabbia. Meglio prevedere "punizioni aggiuntive", che aumentano impegno e responsabilità, ad esempio stendere i panni per 2 giorni, sparecchiare la tavola per 3 giorni. Se poi si rifiutano, allora torniamo alle classiche punizioni come la sottrazione dell'amato cellulare. Ricordiamoci però che qualunque punizione deve essere perseguibile e comoda anche per noi (il sequestro del cellulare significa che quando nostro figlio esce non è raggiungibile telefonicamente!)

10. Tenere presente che verso i 14 anni passa

Questo atteggiamento di insubordinazione dura per tutto il tempo dello tsunami della preadolescenza, all'incirca fino ai 13-14 anni, perché rientra in una fase ben precisa di sviluppo del sistema neuronale del cervello. Passata la tempesta, la quiete tornerà!

Domande e risposte

In che età è la preadolescenza?

Con il termine preadolescenza si indica proprio un bambino nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni.

Qual è quindi il miglior modo per gestire un bambino preadolescente?

Il primo punto per affrontare tutti questa fase è cercare di dare sostegno al bambino, ma senza usurpare la sua libertà, senza controllarlo in maniera eccessiva.

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Revisionato da Francesca Capriati

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