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5 cose che (forse) non sai sui vaccini

di Valentina Murelli - 26.09.2018 - Scrivici

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Fonte: Mohammed Anwarul Kabir Choudhury / Alamy / IPA
Da quando li usiamo? Non saranno troppi i 10 obbligatori per legge? Non rischiano di indebolire il sistema immunitario? E comunque non sarebbe meglio farli dopo un test pre-vaccinale? E ancora: contano più o meno del miglioramento delle condizioni igieniche?

In questo articolo

1. Non sono una novità!


Già nell'antica Grecia si sapeva che di alcune malattie non ci si ammala in genere più di una volta. Questa consapevolezza ha portato da subito al tentativo di sviluppare rudimentali strategie di prevenzione contro uno dei più grandi flagelli della storia, il vaiolo.

Come racconta l'immunologo Alberto Mantovani nel libro Immunità e vaccini, in Cina già intorno all'anno 1000 i medici della dinastia Sung facevano aspirare dal naso ai membri della famiglia imperiale croste secche delle pustole del vaiolo prelevate da persone malate, nel tentativo di proteggerli dall'infezione.

2. Servono anche quando le condizioni igieniche della popolazione sono ottime


Soprattutto quando si parla di poliomielite, molti sostengono che a farla scomparire nei paesi sviluppati sia stato il miglioramento delle condizioni igieniche, più che la vaccinazione.

In realtà, se si guardano per esempio i dati italiani si scopre che non è proprio così. Lo spiega bene il dottor Franco Giovanetti nel documento Vaccinazioni pediatriche, le domande difficili, pubblicato dall'Istituto superiore di sanità: la diffusione della polio è stata FAVORITA dal miglioramento delle condizioni igieniche, perché questo ha spostato in avanti il momento dell'incontro con l'infezione.

Se prima del ventesimo secolo l'incontro avveniva in genere nelle prime settimane di vita, quando però il neonato era ancora protetto dagli anticorpi materni trasmessi durante la gravidanza, dopo ha cominciato ad avvenire in età scolare, quando i bimbi non erano più protetti.

In Italia, la polio ha cominciato a diminuire in modo significativo a partire dal 1964, anno di introduzione del vaccino (reso poi obbligatorio nel 1967).

3. Sembrano tanti, ma in fondo non lo sono


Il riferimento è alle dieci vaccinazioni obbligatorie previste dalla legge Lorenzin del 2017: esavalente nel primo anno di vita (contro difterite, tetano, pertosse, poliomielite, epatite B ed Haemophilus influenzae di tipo B) e trivalente (morbillo, parotite, rosolia) più varicella - oppure tetravalente – nel secondo anno.

 

Può sembrare “tanta” roba, ma in realtà il “carico” per il sistema immunitario è molto più piccolo rispetto a quello a contenuti nei vaccini tipicamente somministrati negli anni '60 e '70 (difterite, tetano, pertosse, vaiolo, polio).

 

Per capire perché, bisogna fare riferimento a come funzionano i vaccini. Come spiega Roberta Villa nel libro Vaccini, il diritto di non avere paura, a provocare la stimolazione del sistema immunitario non sono tanto virus o batteri in toto, quanto alcune loro piccole componenti, in genere proteine, chiamate antigeni. Quindi a contare non è tanto il numero di malattie contro cui proteggono i diversi vaccini, “ma il numero di questi stimoli e la loro capacità di provocare una reazione”.

 

Ebbene: nel complesso, i vaccini per difterite, tetano, pertosse, vaiolo e polio che potevano essere somministrati ai bambini negli anni '60 e '70 contenevano oltre 3000 antigeni. Oggi, invece, i dieci vaccini obbligatori ne contengono in tutto 116. Che salgono a 253 se si contano anche gli antigeni contenuti nei vaccini raccomandati nei primi due anni di vita (pneumococco 13-valente, meningococco B e C, rotavirus).

 

4. Potrebbero proteggere anche più di quel che si pensa


Uno dei timori principali legati alla vaccinazione riguarda l'idea che possano indebolire il sistema immunitario. Ma se così fosse – spiega Giovanetti – dovremmo osservare un aumento delle malattie infettive dopo ogni vaccinazione.

Per testare questa ipotesi sono stati condotti alcuni studi, che non solo non l'hanno confermata, ma in alcuni casi hanno anche osservato che dopo la somministrazione di vaccini gli episodi infettivi in generale tendevano a diminuire. Come si spiega? L'ipotesi è che alcuni vaccini portino anche a una stimolazione non specifica del sistema immunitario (oltre a quella specifica rispetto alla malattia da cui intendono proteggere), che si traduce in una diminuzione della suscettibilità alle infezioni.

5. I test pre-vaccinali non servono a nulla


Il documento sulle vaccinazioni pediatriche dell'Istituto superiore di sanità lo dichiara forte e chiaro: “Ogni medico vorrebbe avere a disposizione accertamenti di laboratorio in grado di prevedere o prevenire eventuali reazioni avverse conseguenti alla somministrazione dei vaccini, ma attualmente non esiste nulla del genere”. In particolare, non hanno valore in questo senso test come la tipizzazione HLA o l'indagine sui polimorfismi di MTHFR.

“Al momento attuale – rincara il documento - i test prevaccinali sono l’ennesima illusione che viene fornita a genitori preoccupati per le possibili reazioni da vaccino”.

Ma attenzione: questo non significa che non esista per i medici la possibilità di valutare se per un certo bambino, in un certo momento, sia meglio rimandare – temporaneamente o per sempre – la vaccinazione. Proprio per effettuare questa valutazione, prima di somministrare un vaccino i medici chiedono ai genitori del bambino quali siano le sue condizioni generali di salute, se abbia malattie particolari o soffra di allergie. Se ci sono controindicazioni in corso, il vaccino non si fa.

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