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Aiutare i figli a fare i compiti: è giusto oppure no?

di Stefano Padoan - 03.01.2022 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Quanto e come aiutare i figli a fare i compiti. Qual è il ruolo dei genitori? Devono aiutare i bambini a consolidare ciò che si apprende a scuola?

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Aiutare i figli a fare i compiti: sì o no?

"Mamma mi aiuti a fare i compiti?": un grande classico che si ripete immancabile ogni pomeriggio e sempre durante le vacanze, quando abbiamo a che fare con gli odiati compiti delle vacanze. Ma ci siamo mai chiesti se sia giusto aiutare a fare i compiti? I nostri genitori si sedevano accanto a noi e ci aiutavano? Personalmente no e non ho piacere di passare il pomeriggio sui libri insieme a mio figlio. Il mio rifiuto nasce da fatto che lui è perfettamente in grado di farli da solo e comincia a fare i capricci solo se, appunto, ci sono io accanto a lui. Un'ora di lagne e 15 minuti di compiti! Ma mamme e papà devono stare accanto ai figli in questa attività? E se si, come farlo nel modo più adeguato?

Ecco i consigli pratici divisi per fasce d'età della psicoterapeuta Marina Zanotta, autrice del libro "A fare da soli si impara" (BUR, 2021).

A cosa servono i compiti?

«I compiti - ricorda l'esperta - sono una sorta di consolidamento e di autoverifica casalinga di ciò che è stato trattato a scuola: servono come feedback - per studenti, insegnanti e genitori allo stesso modo - di quanto si è appreso in classe». Ecco perché non dovrebbero mai essere il completamento di una parte di programma (un argomento nuovo da studiare da soli), né essere eccessivi. E, seguendo il naturale processo che porta i figli all'autonomia, l'accompagnamento da parte dei genitori dovrebbe andare via via a scemare. Quindi si, è giusto stare accanto ai bambini nell'esecuzione dei compiti all'inizio, ma poi la presenza degli adulti dovrebbe lentamente ma inesorabilmente diminuire fino a scomparire.

Bisogna aiutare i bambini a fare i compiti alla scuola primaria?

I compiti nella scuola primaria sono diversi di anno in anno.

  • Primo biennio della scuola primaria. All'inizio è giusto un affiancamento del bambino, a seconda del suo livello di autonomia.

    «Mai però sostituirsi a lui: quando vostro figlio non sa ancora leggere, leggete insieme la consegna e se ha capito cosa deve fare poi lavora da solo. Noi dobbiamo solo essere un ponte tra quello che ancora non sa fare e il suo pezzo di autonomia. Per questo non dovreste stare seduti al loro fianco, ma solo riguardare l'esercizio quando hanno finito».

  • Dalla terza elementare. Negli ultimi 3 anni di scuola elementare inizia lo studio e quindi arrivano anche i compiti in settimana. «Innanzitutto non è più necessario che il genitore legga la consegna. Potete al massimo verificare se l'ha capita, ma poi in caso negativo non mettetevi a spiegarla da zero: se vostro figlio non ha capito una parte di programma, suggeritegli semplicemente di non fare il compito e di dirlo alla maestra». Ricordatevi che non è uno smacco vostro "mandarlo a scuola senza i compiti fatti", ma anzi state creando un'alleanza con gli insegnanti segnalando i punti poco chiari o delle criticità: «Fare il pezzo mancante degli insegnanti è sbagliato: molto meglio far fare l'esercizio a vostro figlio fin dove riesce e poi invitarlo a chiedere in classe. Primo perché così può emergere che in classe fa fatica ad ascoltare, oppure che il bambino fatica ad abituarsi al metodo della maestra. Secondo perché, abituandolo a risolvere a casa tutti i problemi, alle medie sarà demotivato a stare attento in classe».

Bisogna aiutare i figli a fare i compiti alle scuole medie e superiori?

Come funzionano i compiti alle scuole medie e superiori?

  • Scuole medie. Alla scuola secondaria di primo grado la responsabilità rispetto ai compiti a casa è pressoché totalmente del ragazzo: «In preadolescenza vanno un po' rifondate le basi della loro motivazione scolastica: ricordate loro che nessuno nasce imparato e che se si vuole imparare qualsiasi cosa bisogna esercitarsi.

    Ed è il massimo che potete fare: ve ne rendete conto perché quando li lasciate soli, se non sono motivati di loro, non riusciranno ad autoregolarsi nonostante tutte le lotte che avrete intrapreso. Ciò non vuol dire che, su loro richiesta, potete sentirli se vogliono ripetere una lezione o se va recuperato un brutto voto in pagella».

  • Scuole superiori. Alla scuola secondaria di secondo grado si raccoglieranno i frutti di come si è impostato il lavoro sui compiti e sull'autonomia degli anni passati: «Non fate però mancare loro il supporto soprattutto nelle fasi di passaggio: tra elementari e medie e tra medie e superiori ripercorrete con loro le priorità nell'organizzazione della giornata e reimpostate con loro, dove necessario, il metodo di studio».

Ecco alcuni consigli pratici.

  1. Individuate un ambiente e un orario consono allo studio. È fondamentale costruire un buon ambiente di lavoro. «Fin dalla prima elementare definite un orario standard e costante, ad esempio nel weekend dopo pranzo; organizzare i ritmi familiari non è semplice, ma evitate di trovare finestre estemporanee che disorientano il bambino e lo colgono "impreparato". Preparate poi il setting: ben illuminato, senza radio e tv accese. All'inizio non è necessaria una scrivania dedicata, ma serve almeno un tavolo ampio e sgombro. Andando avanti e aumentando libri di studio e materiali, è invece indispensabile una scrivania propria che dia anche l'idea di autonomia».
  2. Insegnate a vostro figlio a prendersi dei tempi di riposo. Suddividere il carico di lavoro e fare delle pause allena a un lavoro autonomo più sostenibile anche in futuro: «Evitate il "finché non hai finito non ti alzi", piuttosto abituateli a mettersi dei micro obiettivi nel pomeriggio che danno la percezione che il loro lavoro sta avanzando».
  3. Insegnate a vostro figlio come leggere il diario e il registro elettronico. Pian piano l'organizzazione deve andare oltre la singola giornata: «La distribuzione del lavoro settimanale, sulla base degli altri impegni, passa dall'avere il quadro complessivo delle scadenze e delle interrogazioni. Potete accompagnarli in questa autonomia progressiva fin dalla terza elementare, insegnando loro che ad esempio studiare tutto il giorno prima agisce solo sulla memoria a breve termine e non va bene. E poi se hanno calcio 3 volte a settimana, negli altri pomeriggi dovranno essere previdenti e portarsi avanti con i compiti».
  4. Siate presenti, ma non giudicanti. «In caso di difficoltà bandite frasi assolutizzanti come "non riesci in matematica", "sei sempre il solito che non si organizza" o "non ascolti mai". Giusto invece metterli davanti all'evidenza, ma per aprire un dialogo: "Ripetendo la lezione non sai nemmeno le prime tre righe, come mai? Come possiamo rimediare?". Nel momento in cui passate la palla ai vostri figli, dalla terza elementare in poi, mantenete un colpo d'occhio via via più discreto: un check point pomeridiano non invasivo, ad esempio, può essere entrare in camera per portare loro la merenda e chiedere come va».
  5. No a punizioni e privazioni, sì alla responsabilità. «Crescendo, la vita extrascolastica di vostro figlio si arricchisce. Ci sta che lui voglia fare tante altre cose oltre ai compiti, la vostra sollecitazione deve essere quella di organizzarsi per fare tutto. E se non riesce, vada a scuola senza compiti e lo dica all'insegnante, assumendosi la responsabilità. Quando è più piccolo ha senso decidere per lui le tempistiche e le priorità, mai in ottica punitiva ma per insegnargliele: se non ha finito i compiti, saltare nuoto deve servire a finirli perché la scuola è più importante. Dalla terza elementare si può invece far scegliere loro tra due opzioni: "non vai a calcio" non è una conseguenza causa-effetto del non aver finito i compiti. Dite piuttosto:"Visto che gli accordi erano che avresti dovuto finire i compiti prima degli allenamenti e non l'hai fatto, scegli tu se andare agli allenamenti oppure no".
    E via via alzate il grado di autonomia: alle elementari e medie non esiste che stiano alzati la notte, perché l'orario di andare a letto è una regola di casa entro cui devono stare. Alle superiori invece lavorare dopo cena e alzarsi stanchi la mattina dopo può essere fonte di riflessione per loro».
  6. No a giustificazioni sui diari. Sono davvero poche le situazioni, gravi e serie, che richiedono che il genitore spieghi all'insegnante i motivi di un mancato compito: «Se il bambino è stato male o in caso di imprevisti non dipendenti dalla sua volonta ok. Ma vietata ogni complicità per evitare un'interrogazione, anche di fronte a suppliche. Anche il "Non ha capito l'esercizio o la lezione" ha senso segnalarlo direttamente solo fino alla seconda elementare: se non ha fatto i compiti lo dirà da solo, con mamma e papà a fare da intermediari solo le prime volte per dargli coraggio nel rapporto con l'autorità».
  7. Favorite lo studio con i compagni. Man mano che gli studenti consolidano il metodo di studio, avranno voglia di confrontarsi e rispecchiarsi con i compagni: «È una grande occasione per crescere dal punto di vista relazionale, nel lavoro di squadra e nel team building. Spesso però le preoccupazioni dei genitori, legittime, sono che in gruppo i bambini si distraggano: verso la fine delle elementari potete iniziare questi esperimenti, senza la supervisione costante di un adulto ma con una verifica a posteriori in cui poi far notare l'eventuale inefficacia del metodo: se non avranno studiato, valuterete se continuare a permettere loro di trovarsi».

L'intervistata

Marina Zanotta (www.dottoressazanotta.it) è psicologa e psicoterapeuta dell'età evolutiva e dell'adulto. Responsabile di Brucaliffo, area materno-infantile di Associazione Alice Onlus, si occupa del coordinamento di progetti di formazione e prevenzione del maltrattamento in età evolutiva, formazione e sostegno della genitorialità e della formazione e supervisione a docenti, educatori e psicologi. È autrice di "A fare da soli si impara" (BUR, 2021) e "Stiamo calmi!" (BUR, 2020).

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Revisionato da Francesca Capriati - Aggiornato il 10.09.2024

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