Era successo nel 2019 e la notizia aveva fatto il giro del mondo: a Bristol, in Inghilterra, un ragazzo di 17 anni ha sviluppato un grave danno alla vista in conseguenza di un'alimentazione estremamente selettiva, che per alcuni anni lo ha portato a mangiare soltanto patatine fritte e, occasionalmente, qualche fetta di pane bianco con prosciutto o salsiccia.
Come raccontato sulla rivista Annals of Internal Medicine, a 14 anni il ragazzo aveva incontrato il medico per via di una stanchezza persistente. Gli esami del sangue avevano evidenziato una carenza di vitamina B12, per cui aveva ricevuto la prescrizione per un integratore e una serie di consigli alimentari, che però non aveva seguito. L'anno successivo erano cominciati i disturbi alla vista, che si sono progressivamente aggravati fino a una cecità praticamente completa, causata da danni irreversibili al nervo ottico. Per tutto questo periodo la dieta non era migliorata: solo patate fritte, pane e qualche fetta di prosciutto o salsiccia, con aggravamento della carenza di vitamina B12, alla quale si sono aggiunte carenze di rame, selenio e vitamina D.
L'importanza della vitamina B12
Per i medici che hanno seguito il suo caso, si tratta della dimostrazione di come una dieta particolarmente inadeguata possa essere pericolosa anche per la salute degli occhi. D'altra parte, la vitamina B12 in particolare è fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso centrale, con un ruolo prezioso per la produzione di nuove cellule e la regolazione del metabolismo. Non a caso, la sua carenza nelle diete vegane - ricordiamo che questa vitamina è contenuta solo in prodotti animali e noi non possiamo fabbricarcela – è una delle ragioni principali per cui molti pediatri sono scettici rispetto alla scelta di questa dieta per bambini piccoli e tutte le linee guida sull'argomento raccomandano, in caso di dieta vegana, l'integrazione accurata con supplementi di vitamina B12.
Il caso di Bristol e la preoccupazione dei genitori italiani
Per i genitori dei bambini che, anche in Italia, mangiano solo pochi cibi, rifiutandone la grande maggioranza, la storia del ragazzino diventato cieco è stata fonte di preoccupazione. "In realtà non credo che debba allarmare più di tanto: si tratta di una situazione estrema. Però deve sollecitare i genitori o occuparsi in modo attivo e tempestivo del problema della selettività alimentare, che invece spesso è trascurato" commenta il dottor Giuseppe Morino, responsabile dell'Unità di educazione alimentare dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Sulla stessa linea è anche Alberto Ferrando, pediatra presidente dell'Associazione pediatri liguri, autore del libro Come nutrire mio figlio: "Il caso del ragazzo inglese è clamoroso e serve a mandare un'allerta ai genitori, perché acquisiscano maggiore consapevolezza su come si mangia in famiglia e cerchino di riappropriarsi di un'alimentazione più sana, prevalentemente a base vegetale (compresa la frutta secca oleaginosa) e con poca carne rossa".
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Quando un minimo di selettività è normale
In realtà, un minimo di selettività può essere fisiologico in alcuni momenti della vita. "Per esempio – spiega Morino – nel momento dello svezzamento, o tra i due e tre anni, quando il bambino comincia a manifestare comportamenti oppositivi, dicendo no a qualunque cosa, compreso ciò che trova nel piatto". In più bisogna mettere in conto, sempre intorno ai due anni, una certa neofobia, paura ed evitamento di alimenti nuovi come la carne o altri piatti.
"Quello che è importante, in queste circostanze, è evitare in cui si inneschi un gioco delle parti in cui, pur di farlo mangiare, si dà al bambino solo quello che desidera, perché questo rischia di aggravare la selettività" commenta Ferrando. Certo è normale che i genitori si preoccupino quando il loro bambino non mangia, siamo evolutivamente "programmati" perché questo accada, "però non va dimenticato che se oggi un bambino salta un pasto non succede proprio nulla".
Selettività in adolescenza
Anche in adolescenza può succedere che si instauri a un certo punto una certa selettività, in relazione a stili comportamentali sregolati (per esempio l'abitudine a frequentare fast food) e a un senso di inadeguatezza per il proprio corpo. Anche in questo caso può essere un momento passeggero, ma i segnali (evitamento prolungato di certi cibi, perdita di peso, difficoltà a mangiare con gli altri) vanno tenuti d'occhio per evitare che da semplice "momento fisiologico" il rifiuto del cibo si trasformi in un disturbo del comportamento alimentare.
I rischi della selettività
Se l'atteggiamento di rifiutare sempre più cibi, restringendo di molto la varietà dell'alimentazione, prosegue a lungo, però, la situazione rischia di farsi critica, perché la selettività estrema può comportare rischi per la salute. "Il problema principale è che spesso si favoriscono alimenti molto calorici, ricchi di carboidrati, come pasta, patate e pizza, a scapito di alimenti ricchi di fibre, vitamine, sali minerali e in particolare verdura e frutta" afferma Morino.
Obesità o eccessivo dimagrimento
"Questo può portare a obesità, anche se in alcuni casi la limitazione porta invece a effetti sul versante opposto, cioè a un eccessivo dimagrimento. In entrambi i casi c'è una condizione di malnutrizione, con carenze nutrizionali".
L'Arfid, una vera e propria malattia
E talvolta la selettività è una manifestazione di una vera e propria malattia, chiamata Arfid, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dal fatto che il bambino colpito evita il cibo, se ne disinteressa, oppure lo seleziona in modo molto accurato, mangiando solo cibi di un certo colore o di una certa consistenza.
Come comportarsi se il bambino è selettivo
Cosa fare se il bambino è selettivo a tavola? Risponde in questo podcast Gloria Barraco, medico nutrizionista e ricercatrice.
Autrice del libro "Matricole a Tavola. Il primo manuale di nutrizione per studenti fuori sede e non solo."
Gestisce un blog in cui parla di salute e ritmi biologici http://www.officinadelnutrizionista.it/blog/
Bambini selettivi, cosa fare
Come comportarsi se un bambino comincia a rifiutare cibi (che magari gradiva fino al giorno prima), restringendo la sua alimentazione solo a pochi alimenti?
- Prevenire il rischio, iniziando dallo svezzamento
- Dare il buon esempio
- Mantenere la calma, ma agire in modo tempestivo
- Continuare a riproporre gli alimenti che il bambino rifiuta
"La prima cosa da fare è cercare di prevenire questo rischio, proponendo al bambino un'alimentazione quanto più varia ed equilibrata possibile a partire dal momento dello svezzamento" afferma Ferrando. Che sottolinea con forza come questo momento debba riguardare non solo il bambino ma l'intera famiglia. "Sono i genitori i primi a dover dare il buon esempio, mettendo in tavola pasti sani e con una grande varietà di alimenti". Così Ferrando racconta di "tirare un po' le orecchie" a quei genitori – sono soprattutto papà – che gli dicono "ma io frutta e verdure non le mangio". "Eh no – ribatte il pediatra – frutta e verdure sono fondamentali per il sano sviluppo di un bambino, quindi i grandi devono sforzarsi di dare il buon esempio, da subito".
Se poi arrivano comunque dei rifiuti e delle scelte restrittive, bisogna mantenere la calma ma reagire in modo tempestivo. "Gli alimenti che il bambino rifiuta vanno continuamente riproposti, certo in modo non ossessivo e di sicuro senza obbligarlo a mangiarli. Però è importantissimo che non spariscano dalla tavola".
Spesso, dopo un periodo selettivo il bambino torna prima ad assaggiare e poi a mangiare altri cibi, ma se questo non accade – per esempio perché la temporanea difficoltà con il cibo si è legata a un evento negativo, come la morte di un nonno, la separazione dei genitori, una malattia – è il caso di rivolgersi a uno specialista.
Ricostruire un rapporto con il cibo
"In questi casi occorre aiutare il bambino a ricostruire un rapporto con il cibo, che per qualche motivo si è interrotto" afferma Morino, spiegando che al Bambin Gesù hanno messo a punto a questo proposito un percorso di familiarizzazione multisensoriale con il cibo, al quale il bambino si riavvicina "giocando" con i diversi sensi – vista, olfatto, tatto – fino ad arrivare all'assaggio. "Il percorso punta a solleticare la curiosità del bambino e prevede che il piccolo sia coinvolto nella scelta degli alimenti, dunque nel momento della spesa, nella decisione su cosa cucinare, nella preparazione. Poi al momento del pasto occorre che tutti insieme si prepari una bella tavola tutta colorata, mettendo al centro del piatto piccole porzioni che il bambino potrà toccare, manipolare, portare alla bocca anche senza l'uso di posate".
"L'importante – sottolinea Morino – è che tutto avvenga in modo sereno, ma con una regola precisa: al pasto che c'è nel piatto non c'è alternativa. Lo si è deciso insieme, lo si è preparato insieme e lo si mangia insieme. Se il bambino non lo mangia non verrà proposto dopo un bicchiere di latte, uno yogurt o altro". Anche in questo caso, come quando si abitua il bambino ai nuovi sapori e alle nuove consistenze durante lo svezzamento, è fondamentale la ripetizione. "Per introdurre un nuovo alimento nella sua dieta non basterà proporlo una volta: bisognerà farlo più e più volte, anche decine di volte, sperimentando preparazioni differenti".