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Arfid: il nuovo disturbo alimentare dei bambini che evitano o selezionano il cibo

di Valentina Murelli - 11.07.2016 - Scrivici

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Fonte: Pxhere
Tutto quello che bisogna sapere sul disturbo evitante restrittivo nell'assunzione del cibo, un nuovo disturbo alimentare diffuso soprattutto tra i bambini e in particolare tra i maschi: vediamo di che cosa si tratta esattamente e come intervenire.  

In questo articolo

Si chiama Arfid ed è una nuova tipologia di disturbo del comportamento alimentare inserita nell'ultima versione del DSM, la "bibbia" degli psichiatri. Colpisce soprattutto i bambini, già da 2-3 anni fino alla preadolescenza, e in particolare i maschi.

Chi ne soffre di fatto evita il cibo, se ne disinteressa, oppure lo seleziona in modo molto accurato, mangiando per esempio solo cibi di un certo colore o di una certa consistenza. Vediamo esattamente di che cosa si tratta, con l'aiuto di Valeria Zanna, neuropsichiatra specializzata in disturbi del comportamento alimentare dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Michele, 4 anni, mangia solo alimenti di colore bianco. Luca, 7 anni, non ha mai voglia di mettersi a tavola: è un bambino simpatico e curioso, ma completamente disinteressato al cibo. Elisa, 5 anni, ha rischiato di soffocare per un boccone andato di traverso e da allora ha proprio paura del cibo, accetta solo frullati, creme e vellutate. Sono tutti casi di Arfid, un nuovo disturbo del comportamento alimentare piuttosto variegato.

Che cos'è l'Arfid


La sigla, riferita all'inglese, sta per disturbo evitante-restrittivo nell'assunzione di cibo. "Si tratta di un disturbo che può manifestarsi con vari comportamenti" chiarisce Zanna. "Alcuni bambini, per esempio, mangiano solo poche o pochissime categorie di alimenti, scelti in base al colore, all'odore, alla consistenza o altro, e allora si parla di alimentazione selettiva".

"Altri non mangiano perché hanno proprio paura di farlo, magari perché hanno visto qualcuno ha che ha rischiato di soffocare per un boccone andato di traverso, oppure la brutta esperienza è capitata a loro stessi. In questo caso di parla di disfagia funzionale. Altri ancora si mostrano completamente disinteressati al cibo, a tavola sono svogliati, non lo cercano né desiderano qualcosa in modo particolare".

Ovviamente, perché si possa parlare di disturbo non basta che qualche volta un bambino si mostri schizzinoso o svogliato. "A volte certi atteggiamenti sono solo passeggeri, oppure sono espressioni di un certo temperamento" precisa Zanna. "Per esempio, bambini molto prudenti, timidi, un po' rigidi, che non amano le novità, potrebbero avere un'alimentazione un po' ripetitiva e poco varia, ma non si deve per forza parlare di un disturbo del comportamento alimentare".

La diagnosi di Arfid, in effetti, viene fatta solo se queste anomalie nell'alimentazione si associano a conseguenze importanti e in particolare a:

  • una significativa perdita di peso;
  • l'insorgenza di carenze nutrizionali, che possono essere evidenziate dagli esami del sangue;
  • la necessità di ricorrere a integratori alimentari, a supporto di una nutrizione carente, o addirittura alla nutrizione con un sondino nasogastrico;
  • limitazioni nella vita sociale, per cui il bambino non esce più o non vuole più andare a pranzo o a merenda dagli amici perché sa che avrà delle difficoltà con i cibi proposti.

Ma l'Arfid c'entra con l'anoressia?


No, si tratta di due disturbi diversi. "Il punto è che nell'Arfid non c'è mai quella preoccupazione ossessiva per la forma del corpo, per la magrezza, per la perdita volontaria di peso che caratterizza l'anoressia nervosa" afferma Zanna.

Le cause di questo nuovo disturbo


Le cause dell'Arfid possono essere molteplici, complesse e di varia natura: biologica, sociale, psicologica. Come abbiamo visto, in alcuni casi è il risultato di un'esperienza traumatica, come aver rischiato di soffocare per un boccone andato di traverso o aver visto qualcuno in questa condizione. Questo può portare a una vera e propria fobia del cibo che può durare anche molto a lungo.

Per quanto riguarda l'alimentazione selettiva, potrebbero entrare in gioco fattori genetici che portano a una maggiore sensibilità verso alcuni stimoli sensoriali. "Per esempio chi sente i sapori acidi in modo molto accentuato potrebbe non amare - e dunque evitare - tutti gli alimenti in cui c'è anche una minima nota di acidità", racconta Zanna. A questo proposito, però, va detto che i gusti si possono anche educare: "Certo, magari all'inizio è più difficile accettare un sapore che non piace tantissimo, ma dopo varie riproposizioni può diventare più gradito".

A volte, invece, i comportamenti evitanti o restrittivi sono espressione di una causa organica, di un problema fisico sottostante: un'intolleranza alimentare, la celiachia, un reflusso gastroesofageo molto accentuato. O, ancora, di un disturbo del neurosviluppo: nel caso di disturbi dello spettro autistico, per esempio, la selettività alimentare è un atteggiamento molto frequente.

Non è finita: "In alcuni casi, l'Arfid diventa un modo per esprimere qualche difficoltà emotiva o relazionale" spiega la neuropsichiatra. "Può succedere se ci sono forti tensioni in famiglia, in caso di una fortissima timidezza, oppure in presenza di un disturbo di apprendimento non diagnosticato come la dislessia. Parliamo di bambini intelligenti e capaci, che quando cominciano ad andare a scuola si rendono conto che c'è qualcosa che non va: allora possono manifestare il proprio disagio evitando o selezionando molto il cibo".

Come si interviene


"Ovviamente la prima cosa da fare è escludere l'esistenza di cause organiche: se il disturbo del comportamento alimentare dipende dalla celiachia, intervenendo su questa condizione si tratterà automaticamente anche il disturbo stesso" afferma Zanna. "Se invece si capisce che c'è un disagio emotivo o relazionale sottostante, si lavora su quel disagio, che tipicamente dipende della relazione con i genitori".

Oltre a questo, c'è il lavoro specifico sull'alimentazione. "Nel nostro centro, per esempio, proponiamo dei laboratori del gusto, in cui genitori e bambini imparano insieme a preparare i cibi, a giocarci, utilizzando tutti i sensi. Il coinvolgimento va dal momento della spesa all'allestimento del piatto, con gli alimenti che vengono disposti a formare figure colorate. Per i genitori non è un percorso facile: occorrono molto tempo, molta pazienza, molta voglia di provare a divertirsi con i propri figli su un tema che è invece spesso critico e delicato".

Cosa fare, cosa non fare


I genitori sono spesso molto preoccupati degli atteggiamenti alimentari dei loro figli. Basta poco per far drizzare le antenne e far temere che c'è qualcosa che non va. Che cosa fare - o non fare - dunque, se c'è il sospetto di qualche anomalia nel modo in cui il proprio bambino interagisce con il cibo? Vediamo i consigli di Valeria Zanna.

1. La prima cosa da fare è a monte, ancora prima che possa presentarsi qualche problema, ed è imparare subito a non dare al cibo un significato eccessivo. I bambini, anche dopo lo svezzamento, hanno una grande capacità di autoregolazione: se dicono (o manifestano) di non volere più cibo in genere non è il caso di insistere. Anche perché spesso i genitori hanno un'idea sbagliata dei reali fabbisogni nutrizionali del proprio bambino. Quindi: attenzione a non farsi prendere dalla paura che il piccolo non mangi abbastanza. Se serve, ci si può confrontare con il pediatra per rendersi conto delle sue esigenze nutrizionali.

2. Evitare atteggiamenti iperprotettivi, per cui se il bambino mangia poco si cerca di convincerlo in tutti i modi a mangiare di più: facendolo giocare o guardare la tv a tavola, rincorrendolo in giro per casa con il piattino, assecondando le sue preferenze - merendine, patatine - "purché mangi".

3. Evitare anche atteggiamenti molto rigidi o controllanti, con punizioni, ricatti, premi supplementari. Frasi del tipo "Se non mangi non puoi uscire a giocare", "Se mangi questa verdura poi puoi guardare un po' di tv" e vere e proprie punizioni - che possono innescare comportamenti oppositivi - sono proprio da abbandonare.

4. Se il bambino comincia a essere un po' selettivo, non preoccuparsi subito. Può essere una fase e può dipendere dai gusti che, come dicevamo, possono essere addomesticati. Però non bisogna stancarsi di riproporre più volte gli alimenti che vengono rifiutati: non nella stessa giornata, ovviamente, ma a distanza di qualche giorno.

5. Se pur mantenendo un atteggiamento equilibrato e non troppo apprensivo si ha la sensazione di qualcosa che non va, contattare il pediatra, che può eventualmente indirizzare a un centro specialistico per la diagnosi e il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.

Altre fonti per questo articolo: Materiale informativo su MedScape.

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