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Bambini e alimentazione, come stare a tavola senza battaglie

di Sara De Giorgi - 28.07.2022 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Come far stare a tavola senza battaglie i più piccoli? Abbiamo intervistato la dietista e scrittrice Ileana Gervasi, che ci ha offerto importanti informazioni e strategie.

In questo articolo

Come convincere i bambini a stare a tavola serenamente e senza fare battaglie per il cibo? Ha provato a dare una risposta a questo interrogativo Ileana Gervasi, dietista e autrice di A tavola senza battaglie. Come crescere bambini che amano mangiare bene (Red edizioni), libro che ha l'obiettivo di aiutare i bambini a sviluppare una buona relazione con il cibo e con il proprio corpo.

Abbiamo intervistato Ileana, che ci ha offerto alcune informazioni fondamentali, spiegando che favorire lo sviluppo di un'ottima relazione con il cibo nei più piccoli è la medicina preventiva più potente e che il compito dei genitori è quello di una guida. 

Come mangiano i bambini nel nostro Paese

«La situazione attuale non è delle migliori. I dati ci confermano che la maggior parte dei genitori vive delle difficoltà con l'alimentazione dei propri figli. Dalla difficoltà a consumare una colazione adeguata, al consumo di spuntini e merende troppo ricchi in calorie, grassi e zuccheri, allo scarso consumo di frutta, verdura e legumi, spesso l'alimentazione dei bambini non è adeguata alle loro reali necessità.

Inoltre, se da un lato l'obesità infantile continua ad essere un grande problema del nostro paese, anche la presenza di disturbi del comportamento alimentare e di selettività alimentare sono in aumento in questa fascia d'età, con esordi sempre più precoci. Ciò, purtroppo ha subito un incremento anche in seguito al periodo di lockdown dovuto all'emergenza Covid-19 (al momento si parla di un aumento di circa il 30%)».

Bambini, come favorire un buon rapporto con il cibo

«Il discorso è lungo e complesso e tutto il libro è incentrato proprio su questa domanda che ritengo fondamentale. Sarebbe inutile insegnare ad un bambino a mangiare solo alimenti che consideriamo sani, se non prendiamo in considerazione anche il rapporto che parallelamente si viene a sviluppare con il cibo e che influenzerà tutto il suo futuro.

Innanzi tutto dobbiamo comprendere che il lavoro che fa il bambino è letteralmente un "imparare a mangiare" e che quindi il nostro compito è quello di una guida che lo accompagna in questo percorso di apprendimento.

Esiste un principio, chiamato "Principio di Divisione delle Responsabilità" e formulato da Ellyn Satter, che definisce proprio le responsabilità di adulti e bambini rispetto all'alimentazione in età infantile. In particolare, tale principio sostiene che gli adulti hanno la responsabilità di provvedere a cosa, quando e dove mangiare, mentre i bambini hanno la responsabilità di decidere quanto e se mangiare (rispetto alle proposte operate dall'adulto).

Comprendere a fondo questo principio e applicarlo al meglio consente di aiutare il bambino a sviluppare fiducia e rispetto nelle sue sensazioni di fame e sazietà, di sentirsi in controllo della situazione e di vivere il cibo e il momento dei pasti con serenità. Inoltre, ciò consente anche all'adulto di concentrarsi sulle cose davvero importanti e non ingaggiare lotte di potere che potrebbero portare a mettere in atto meccanismi controproducenti (ad esempio "non ti alzi finché non hai finito", "devi lasciare il piatto pulito", "ancora un boccone", "se non mangi le verdure non avrai il biscotto", eccetera) che vengono classificati come pressione a mangiare».

Cosa fare se i più piccoli si rifiutano di mangiare determinati alimenti?

«Il consiglio più importante è assolutamente quello di non forzare, obbligare o ricattare. Il rifiuto di qualche alimento non ci deve preoccupare, anzi potrebbe trattarsi di qualcosa abbastanza tipico, soprattutto in età prescolare. In questa fascia d'età infatti potrebbe insorgere quella che viene definita neofobia alimentare, ovvero la reale difficoltà e diffidenza ad approcciarsi ad alcuni alimenti non conosciuti o meno famigliari (che comprendono spesso anche frutta e verdura).

È una fase spesso caratterizzata dalla richiesta della pasta in bianco o dallo scartare alcuni alimenti dal piatto, per intenderci.

Bisogna tenere conto che i bambini imparano dall'esempio a cui sono esposti quindi, sicuramente, dare il buon esempio è ancora più fondamentale che preoccuparsi di offrire un pasto perfettamente bilanciato. Inoltre, un bambino si fiderà a mangiare un determinato alimento solo quando lo considererà familiare e sicuro. Gli studi mostrano come possano essere necessarie fino a 15 esposizioni affinché un bambino decida di assaggiare.

I genitori smettono di proporre molto prima, pensando che quell'alimento non piaccia. L'errore è confondere il rifiuto con il naturale processo di apprendimento e accettazione di un cibo. Diventa fondamentale permettere al bambino di essere esposto di frequente all'alimento rifiutato, magari stimolandolo con attività e ricette in cucina, sempre senza forzature. Se l'esperienza si connota in maniera negativa il bambino aggancerà quella sensazione all'alimento e faremo più fatica a favorire l'accettazione. Se il numero degli alimenti consumati diventa davvero preoccupante e il disagio manifestato dal bambino è grande (alcuni bambini accettano di mangiare meno di 10/15 alimenti, per esempio) si consiglia di interpellare il parere di un esperto, affinché la situazione possa migliorare».

Strategie per pranzi e cene sani e senza battaglie

Ecco alcune strategie per svolgere pranzi e cene in serenità e senza battaglie e litigi.

  1. «Coinvolgere i bambini, in base all'età, nella scelta e nella realizzazione del pasto. Ottima idea per esempio fare la spesa e cucinare insieme, favorendo l'esposizione ad una varietà di alimenti senza che il bambino si senta in dovere di affrontare l'assaggio in quel momento.
  2. Proporre tutto ciò che è previsto per il pasto ben disposto sul tavolo in ciotole e contenitori con cucchiai e posate da portata e spronare il bambino a servirsi da sé prendendo ciò che vuole. Grazie alla curiosità e al controllo che il bambino sente di esercitare sul suo pasto spesso è proprio così che avvengono gli assaggi di cibi nuovi! Inoltre, questo modo di proporre il cibo indirettamente lavora sulla promozione dell'ascolto alla sazietà, senza ricorrere a porzioni o riferimenti esterni.
  3. Non forzare i bambini ad assaggiare o a finire ciò che c'è nel piatto: gli assaggi dei nuovi alimenti vanno stimolati, non forzati.
  4. Associare la presentazione di un alimento gradito a uno nuovo o meno gradito. Questo modo di procedere si chiama "associazione positiva" ed è una delle modalità con cui i bambini imparano a mangiare una vasta gamma di alimenti. Ad esempio se dobbiamo proporre delle polpette (che consideriamo come alimento nuovo) avremo più probabilità di successo a servirle con delle patate arrosto (che consideriamo alimento preferito), piuttosto che con dei broccoli a vapore (che consideriamo alimento sgradito). L'esempio è abbastanza stereotipato, ma fa capire bene la diversa reazione che il bambino potrebbe avere una volta valutato cosa c'è nel piatto. Nel primo caso pur non avendo garanzia che assaggerà le polpette, sicuramente sarà contento di sedersi e mangiare le patate; nel secondo caso è più probabile che rifiuti tutto e manifesti disgusto o che, addirittura, non voglia nemmeno sedersi a tavola.
  5. Instaurare una buona routine alimentare, suddivisa su 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) e 2-3 merende e spuntini risulta davvero fondamentale per ottimizzare la possibilità che il bambino mangi ciò che viene proposto ai pasti. Questo modo di procedere consente un corretto e regolare sviluppo del ciclo fame-sazietà. Da evitare quindi, fuori pasto e continui piluccamenti».

Il libro "A tavola senza battaglie"

«L'idea di scrivere questo libro nasce dalla voglia di condividere con altri genitori ciò che avevo scoperto mentre cercavo di approfondire al meglio l'alimentazione pediatrica. Dopo essere diventata mamma ho capito che le informazioni apprese all'università non erano tutte applicabili o comunque non erano sufficienti.

Ciò che avevo studiato si basava per lo più sullo studio dei fabbisogni energetici e nutrizionali necessari ad una buona crescita, quindi sostanzialmente al "cosa" proporre da mangiare ai bambini.

Purtroppo o per fortuna, questi ultimi non hanno un cassetto in cui inserire ciò di cui necessitano, ma si creano dinamiche più complesse che investono sia la relazione e l'accettazione del cibo, sia la relazione che si viene a creare con chi si prende cura di loro al momento del pasto. Capire quindi anche "come" meglio intervenire su questi aspetti mi è sembrato fondamentale. L'alimentazione nell'infanzia dovrebbe sì consentire una crescita in buona saluta, ma anche favorire lo sviluppo di un buon rapporto con il cibo e mantenere quell'approccio intuitivo e gioioso all'alimentazione che li caratterizza. Ciò mi ha portato a mettere in discussione e cambiare anche tutto il mio approccio professionale e, visto i riscontri positivi che ottenevo, ho desiderato condividerlo il più possibile».

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