L'allergia alle proteine dell'uovo è oggi la più frequente tra le allergie alimentari
, interessando fino al 35% dei bambini che soffrono di queste allergie - uno su tre - e il 2% dei bambini in generale. È inoltre un'allergia in crescita, almeno nel mondo occidentale. Facciamo chiarezza sull'argomento con il contributo della dottoressa Irene Berti, responsabile del servizio di allergologia e dermatologia dell'Ospedale infantile Burlo Garofolo di Trieste.
Una condizione sempre più diffusa
“Circa il 7-10% dei bambini manifesta un'allergia alimentare e le uova sono sicuramente tra gli allergeni più importanti, rendendo conto di circa un terzo di queste forme” spiega Berti.
Il fenomeno è in crescita: negli ultimi 15 anni sono aumentate in generale le allergie alimentari, e tra queste soprattutto l'allergia all'uovo. Difficile dire perché: “Forse c'entra il fatto che, tradizionalmente, l'uovo viene introdotto tardi nell'alimentazione dei bambini, soprattutto se sono considerati a rischio di allergia. Ma ormai i dati scientifici a disposizione suggeriscono con forza che si tratti di un atteggiamento controproducente, e che in realtà la tolleranza all'uovo venga acquisita più facilmente se la sua introduzione è più precoce, tra i quattro e i sette mesi d'età” afferma Berti.
I “colpevoli” dell'allergia
La parte più allergizzante è l'albume, ma chi è allergico all'uovo lo è tipicamente anche al tuorlo. In particolare, l'allergia è nei confronti delle proteine dell'albume. “Ce ne sono diverse alle quali si può essere allergici, ma le principali sono quattro: lisozima, ovotransferrina, ovomucoide e ovoalbumina. E sono soprattutto queste ultime due a fare la parte del leone”, afferma la specialista.
Poiché l'ovoalbumina viene facilmente distrutta dal calore e dall'acidità gastrica, i bambini che sono allergici solo a questa proteina possono comunque tollerare l'uovo ben cotto (per almeno 10-20 minuti a 100 °C). Se però l'allergia riguarda anche altre proteine questo effetto protettivo della cottura non si verifica.
Alcuni bambini, infine, possono tollerare l'uovo se questo è contenuto in prodotti che contengono anche farina di frumento, come brioches, biscotti, panettoni e simili.
“Questo accade perché le proteine del frumento possono 'mascherare' quelle dell'uovo, riducendo il rischio di esposizione”.
I sintomi più comuni
Le manifestazioni possono essere molto variegate. Come spiega un materiale informativo dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, in molti casi le allergie alimentari coinvolgono una classe particolare di anticorpi chiamati Immunoglobuline E o Ig-E. Per questo si parla di allergie Ig-E mediate, che sono quelle caratterizzate da reazioni potenzialmente più gravi.
“I sintomi sono immediati e compaiono entro la prima mezz'ora dal contatto con l'allergene o al massimo entro le prime due ore” spiega Berti. “Possono comparire orticaria, gonfiore cutaneo, vomito e mal di pancia, abbassamento di voce, tosse e asma fino ad arrivare, nei casi più gravi, a shock anafilattico”.
Ma attenzione: oltre a questa forma tipica, esiste anche un'altra forma più anomala di allergia alle proteine dell'uovo che provoca sintomi solo gastrointestinali - vomito ripetuto e diarrea anche molto importante – che compaiono almeno tre ore dopo l'ingestione.
Allergia all'uovo, quando si manifesta
Di solito l'allergia alle proteine dell'uovo compare immediatamente alla prima introduzione dell'uovo stesso. “E poiché come abbiamo detto questa introduzione è spesso ritardata, in genere la prima manifestazione di questa forma allergica si ha nel secondo anno di vita” afferma Berti.
Da sottolineare che se la reattività del bambino colpito è molto alta l'allergia può essere scatenata non solo attraverso l'ingestione delle proteine dell'uovo, ma anche attraverso la loro inalazione. Per questo è bene non cucinare l'uovo in presenza di questi bambini con allergia grave.
In molti casi tende a risolversi da sola, come tutte le allergie alimentari: “Va detto però che a questo proposito i risultati di una serie di studi recenti ci fanno essere meno ottimisti rispetto a questa prospettiva. Se abbiamo sempre pensato che intorno ai tre anni circa il 50-60% dei bambini colpiti avrebbe già superato il problema, oggi gli ultimi dati sembrano indicare che solo il 15% dei bambini risulta guarito intorno ai sei anni, e il 35% intorno ai 10 anni”.
Primo incontro con l'uovo: ecco quando bisogna introdurlo
Per molto tempo si è pensato che l'uovo dovesse essere introdotto molto tardi nell'alimentazione del bambino: anche dopo l'anno. Oggi in realtà molte raccomandazioni vanno nella direzione opposta perché vari studi suggeriscono che ritardare troppo la sua introduzione – ma vale in generale per gli alimenti ritenuti allergizzanti – non solo non riduca il rischio di sviluppare allergia ma possa addirittura aumentarlo.
Secondo le indicazioni dell'Espghan, Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica, i primi alimenti complementari (oltre al latte materno o formulato) andrebbero proposti al bambino non prima dei quattro mesi ma neppure oltre i sei mesi e gli alimenti allergizzanti possono essere introdotti non appena si comincia lo svezzamento. “Anche tenendo conto dell'interesse e della propensione del singolo bambino a cominciare a mangiare” aggiunge Irene Berti.
Sottolineando che, secondo vari gruppi di lavoro, la finestra temporale oggi considerata migliore per promuovere lo sviluppo della tolleranza alle proteine dell'uovo è tra i quattro e i sette mesi di vita del bambino. “E meglio ancora se l'introduzione avviene in modo complementare rispetto all'allattamento materno – consiglia - perché questo rappresenta un fattore protettivo rispetto al rischio di allergia”.
Come si fa la diagnosi
Il dato di partenza è la reazione anomala manifestata dal bambino dopo la prima introduzione dell'alimento (gonfiore, orticaria, attacco di asma, vomito e diarrea entro due ore dall'ingestione). A seguito di questa reazione il medico consiglierà la ricerca di anticorpi IgE nel sangue o con Prick test. Questa ricerca può essere fatta anche nei giorni successivi l'evento.
“Se in presenza di sintomi e tempi compatibili con una reazione allergica il test risulta positivo, questo in genere basta per confermare la diagnosi. In casi dubbi serve invece effettuare il cosiddetto test di provocazione, che prevede di somministrare al bambino dosi crescenti del presunto allergene per verificare la sua reattività”. Ovviamente un test del genere viene fatto in ospedale, un ambiente protetto e sicuro in caso di reazioni importanti.
Allergia alle proteine dell'uovo, come si interviene
“L'atteggiamento condiviso è quello di avviare una dieta di eliminazione nei confronti dell'alimento cioè in questo caso l'uovo, ricontrollando periodicamente il livello degli anticorpi fino a quando si arriva a risoluzione spontanea” spiega Berti.
Questa strategia non è però del tutto priva di rischi, perché per sostanze così comuni come le proteine dell'uovo, presenti in tantissime preparazioni alimentari (un esempio su tutti: molti gelati e sorbetti, dove vengono utilizzate come addensanti), c'è sempre la possibilità di un'ingestione accidentale e involontaria.
Se questa si verifica, il tipo di intervento dipende dalla gravità della reazione: in molti casi bastano antistaminici e cortisonici ma è buona norma avere sempre a portata di mano l'adrenalina per auto-iniezione, un vero e proprio farmaco salvavita (si tratta di una specie di penna che permette l'iniezione immediata di questa sostanza). Un elemento di attenzione: l'adrenalina scade in tempi rapidi quindi è bene controllare di avere un prodotto “in regola” (alle persone con diagnosi di allergia lo passa il servizio sanitario nazionale).
Una strategia alternativa è quella dell'immunoterapia specifica o desensibilizzazione.
In pratica, una sorta di “vaccinazione” per rieducare il sistema immunitario a gestire gli allergeni senza montare risposte esagerate. Si tratta di dare al bambino una dose piccolissima dell'alimento critico (in questo caso l'uovo), che lui riesca a tollerare bene, aumentandola poi poco alla volta fino a raggiungere una dieta libera. Può sembrare una cosa semplice, ma non lo è: le somministrazioni dei nuovi dosaggi vengono sempre fatte in ospedale (con un ricovero di qualche giorno nei casi più gravi) e può volerci molto tempo, anche 12-18 mesi.
Inoltre non funziona sempre, anche se non ci sono dati precisi di efficacia, perché è un approccio relativamente nuovo e non c'è un percorso standard, tanto che centri diversi propongono protocolli diversi. Al Burlo Garofolo, per esempio, si propone la sensibilizzazione non appena si scopre l'allergia, anche se il bambino ha solo un paio d'anni, mentre in altri centri si aspetta che abbiano quattro o cinque anni, per vedere se intanto l'allergia passa da sola. “Nella nostra esperienza relativa alle allergie più gravi, la desensibilizzazione dà risultati significativi in circa l'80% dei casi, ma non significa che tutti questi bambini arrivano alla dieta libera. Circa la metà di loro si limiterà a raggiungere una dose tollerata tale da non potersi permettere di mangiare tutto, ma da garantire comunque l'assenza di rischi per la vita in caso di ingestione occasionale”.
Fattori di rischio e fattori protettivi
I fattori di rischio principali per lo sviluppo di allergie alle proteine dell'uovo sono la familiarità per allergie (cioè il fatto che anche mamma o papà abbiano allergie) e il fatto di avere dermatite atopica.
Tra i fattori protettivi, invece, c'è l'allattamento al seno, soprattutto se è ancora presente nel momento in cui sono introdotti altri alimenti, e un'introduzione precoce dell'alimento, tra i quattro e i sette mesi d'età. “Non ha invece alcun ruolo protettivo o preventivo l'eliminazione dell'uovo o di altri alimenti potenzialmente allergizzanti dalla dieta della mamma durante la gravidanza o l'allattamento” afferma Berti.
Aggiornato il 16.08.2019