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Bimbi all'asilo: come gestire il distacco

di Valentina Murelli - 07.09.2020 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Ci sono tanti distacchi che una mamma e il suo bambino, prima o poi, devono affrontare. Del resto, il distacco fa parte della vita, è in naturale continuum rispetto al contatto dei primi giorni, mesi, anni. Ne parla la psicologa perinatale Alessandra Bortolotti nel suo ultimo libro: "Poi la mamma torna. Come gestire il distacco senza sensi di colpa"

In questo articolo

È inevitabile: prima o poi, le mamme che lavorano devono affrontare il momento del distacco dal loro bambino e per molte si tratta di un momento difficile.

Certo, magari la voglia di uscire di casa e riprendersi qualche spazio c'è, ma che si tratti di lasciarlo ai nonni, alla tata o al nido, spesso c'è anche la preoccupazione rispetto a come il piccolo vivrà la separazione. Il risultato è che si finisce con il vivere questo momento già difficile caricandosi anche di sensi di colpa.

Eppure, vivere il distacco in modo più sereno è possibile, come spiega la psicologa esperta di periodo perinatale Alessandra Bortolotti nel suo ultimo libro: Poi la mamma torna. Gestire il distacco senza sensi di colpa (Mondadori 2017).

Dal contatto al distacco: due facce di uno stesso processo


Diciamolo subito: i suggerimenti su come gestire i primi giorni d'asilo ci sono, ma il libro non è un manuale di "ricette" preconfezionate. Del resto non lo era neanche il libro precedente di Bortolotti - I cuccioli non dormono da soli, dedicato al sonno dei bambini - il cui obiettivo in fondo non è fornire soluzioni miracolose a problemi più o meno concreti, ma aiutare i genitori a riflettere in modo più approfondito sul tipo di relazione che intendono costruire con i propri figli. Difendendo, se è il caso, scelte che sembrano andare controcorrente. E comunqe, il libro non riguarda solo i distacchi "da asilo", ma anche altre possibili "separazioni" tra mamma e bambino.

Punto di partenza del nuovo libro è che non si può parlare di distacco se prima non si è parlato di contatto - e di emozioni - perché, in fin dei conti, contatto e distacco non sonoche elementi di un continuum, due facce dello stesso processo di costruzione della relazione genitori-figli.

Il problema è che nella nostra cultura e nella nostra società l'attenzione per il contatto e per i bisogni emotivi dei bambini sono considerati dei disvalori, se non proprio dei tabù.

E chi "trasgredisce" - coccolando molto il proprio bambino, dormendo con lui, prendendolo in braccio quando piange, portandolo in fascia, evitando strategie educative basate su premi e punizioni - viene spesso giudicato in modo negativo. Accusato di viziare i figli, se non di procurare loro dei danni.

Inserendosi in un filone di pensiero che va dal pediatra Carlos Gonzales all'educatore Alfie Khon (autore di un libro intitolato Amarli senza se e senza ma) e senza trascurare gli insegnamenti di Maria Montessori, Bortolotti si ribella invece a questo modo di intendere il rapporto e la relazione con i bambini, e scrive un libro che ha l'intento dichiarato di abbattere dei muri. Quali? "il muro di incomunicabilità affettiva tra grandi e piccini, il muro dei metodi educativi che alterano la relazione con i nostri figli, il muro di una società e di una norma culturale che impongono ai genitori di omologarsi a un'ideologia comune basata sull'interferenza, l'alterazione o addirittura la repressione di ciò che proviene dal nostro cuore".

Ecco allora che la psicologa avanza alcuni suggerimenti che si collocano su piani diversi: uno più generale, relativo appunto alla costruzione di una relazione basata sul contatto fisico e sul riconoscimento e l'accoglienza delle emozioni, e uno più specifico rispetto alla gestione dei primi giorni d'asilo. Vediamo.

Gestire il distacco: 6 consigli generali

1. Dar valore e importanza ai bisogni dei bambini, a partire da quello di contatto

"Il tatto è il primo senso che si sviluppa in utero, ed è quello ricercato per la sopravvivenza anche fuori dal grembo materno" scrive Bortolotti, sottolineando che dunque noi esseri umani siamo fatti per fondare le nostre prime relazioni sul contatto.

Perché non farlo, allora? Perché ci sentiamo ripetere all'infinito che se prendiamo troppo spesso in braccio i nostri figli o li portiamo in fascia, li vizieremo, impedendo loro di crescere.

In realtà si tratta di un pregiudizio culturale: "Non esiste un solo studio scientifico in grado di dimostrare la validità di questo pregiudizio" afferma la psicologa.

Ma attenzione: questo non significa che un accudimento basato sul contatto porta per forza a figli felici, né che chi non ha accudito in questo modo i propri figli ha fatto dei danni. Significa semplicemente che è normale avere questo tipo di relazione con i propri bambini e non ci si deve certo sentire in colpa per questo.

2. Allo stesso tempo, non trascurare i propri bisogni

Prestare ascolto ai bisogni dei bambini non significa diventarne schiavi, come teme qualcuno. Tanto per cominciare si tratta di imparare a distinguere tra bisogni primari - come possono essere appunto quello di contatto o di espressione delle proprie emozioni - e semplici voglie e desideri.

In secondo luogo, si tratta di riconoscere anche i propri bisogni, per stabilire priorità, confini e limiti da non superare. "Se sono notti intere che non dormiamo perché il nostro piccolo è malato o gli sta spuntando un dentino, abbiamo tassativamente bisogno di riposare, anche per poche ore" scrive Bortolotti. Aggiungendo che "al contrario di ciò che tendiamo a pensare, chiedere aiuto non significa fallire, ma rispettare noi stessi ed essere genitori migliori".

3. Dare valore alle emozioni

"Allo stesso modo in cui necessitano degli adulti per imparare a camminare o a vestirsi, i bambini hanno bisogno di loro anche per imparare a capire e accettare le proprie emozioni e riuscire a trasformarle, in caso di stress, in emozioni gestibili e positive" scrive Bortolotti. Ma da va sé che se quelle emozioni vengono trascurate o negate, questo lavoro di "apprendimento e accettazione" non può essere fatto. E per di più, il bimbo che non vede riconosciute le proprie emozioni finisce con il ritenersi "sbagliato".

4. Evitare premi e punizioni

Per Bortolotti l'educazione non è una questione di esercizio di potere e non può prescindere dal rispetto assoluto per i bambini, in quanto prima di tutto persone. Dunque consiglia di evitare di ricorrere alle punizioni (ma tutto sommato anche ai premi, che rappresentano comunque un condizionamento del comportamento).

A maggior ragione andrebbero evitate minacce e punizioni che hanno a che fare con separazioni, solitudine forzata ("sparisci in camera tua!"), assenza di nutrimento ("a letto senza cena!"). "Minacciando l'allontanamento e di non dargli ciò che gli serve per sopravvivere (il cibo) gli trasmettiamo il messaggio che deve restare dipendente da noi. Questo lo induce ad associare l'idea del distacco a emozioni negative, e quando il momento del distacco arriverà davvero, sarà inevitabilmente preceduto da quelle emozioni, che non favoriscono certo l'indipendenza" sostiene Bortolotti.

5. Considerare che il tempo... vola!

Per i genitori i primi anni di vita di un bambino possono essere molto faticosi. Prestare attenzione ai suoi bisogni, cercare di rispondere in modo adeguato alle sue emozioni possono sembrare fatiche infinite. La verità, però, è che restano piccoli per poco, e focalizzarsi su questo pensiero può aiutare a mettere tutto in prospettiva. "All'improvviso realizzeremo che non riusciamo più a tenerli in braccio, perché sono diventati grandi e non vogliono più farsi toccare. Se non ce li siamo goduti, quello che ieri poteva sembrarci un potenziale vizio diventerà un vuoto incolmabile".

6. Considerare che il distacco, a un certo punto, è naturale

"Non esiste piccolo che, quando è pronto, non dia segnali di voler scendere dalla fascia o non si allontani dalla madre per sperimentare il mondo intorno a lui", scrive Bortolotti. E lo stesso accade per quanto riguarda l'allattamento: "Quando è pronto, il cucciolo si stacca in modo naturale.

E' impossibile allattare un bambino che non vuole più il seno".

3 suggerimenti per i primi giorni di asilo

Il gran giorno - a volte contemporaneamente temuto e sperato - è arrivato: il bimbo comincia il nido. È un passo importante e può spaventare, ma alcune strategie aiutano ad affrontarlo nel migliore dei modi.

1. Cercare di scegliere una struttura rispettosa delle scelte della famiglia

Bortolotti lo scrive chiaramente: quando all'asilo arriva un bambino, arriva in realtà una famiglia intera, con le sue scelte e con le sue storie. A seconda di come queste scelte e queste storie interagiscono con il personale del nido, il percorso del bimbo e della famiglia all'interno della struttura può essere molto differente:

"Se incontriamo persone capaci di rispetto, empatia e ascolto, possiamo concordare con loro modalità di accudimento condivise, che non impongano né ai piccoli né ai grandi di negare le proprie emozioni in nome dei protocolli. Se incontriamo persone che esigono di separarci dai figli secondo modalità che non tengono conto delle nostre e delle loro emozioni, verremo giudicate come mamme iperprotettive, che non hanno fiducia nelle educatrici, che non lasciano andare i figli, e che anzi mettono i bambini in difficoltà con le loro teorie sull'accudimento e il contatto".

2. Non forzare i tempi dell'inserimento

Il modo in cui ogni coppia mamma-bambino (o anche papà-bambino) vive l'inserimento al nido è unico e dipende da molte variabili, dunque non può essere incasellato in un solo protocollo. Può anche esserci uno schema generale, ma di fatto dovrebbe esserci una flessibilità sufficiente a modificare le modalità dell'inserimento a seconda di come vanno le cose.

Come riporta una testimonianza raccolta nel libro, "ci sono bimbi che già dopo la prima settimana inseriscono il pranzo, e bimbi che invece rimangono solo nell'orario 10-12 anche per quella successiva, perché non riescono a passare più tempo senza una figura di riferimento".

D'altra parte, ricorda l'autrice, "nella fase di inserimento la separazione dei genitori viene favorita e in genere meglio tollerata dai più piccoli quando si opta per una collaborazione tra educatrici, genitori e bambini e non per una rigida adesione ai protocolli".

3. Accogliere le emozioni

Non è detto che l'inserimento debba avvenire a forza di lacrime! Se però le lacrime arrivano, bisognerebbe farvi attenzione: mai minimizzare il pianto del bambino, anche se lo dice un protocollo.

Verissimo che, come dicono molte educatrici di fronte a un bimbo che piange, il pianto smetterà appena la mamma si sarà allontanata, ma questo accade non perché il piccolo non sente più la sua mancanza, ma perché sa benissimo che se n'è andata. Più corretto, invece, prendersi il giusto tempo per accogliere quel pianto, salutare il bambino esprimendo il dispiacere di dover andare via, ma anche fiducia nelle educatrici che lo accudiranno.

Non dobbiamo avere paura di apparire deboli solo perché non ce ne andiamo vedendo piangere i nostri bambini. La forza di un genitore è l'amore incondizionato, non il fatto di fuggire mentre piangono solo perché ce lo dice un protocollo

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