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Quando un bimbo tolto alla famiglia d'origine può essere considerato adottabile in Italia?

di Giulia Foschi - 05.12.2017 - Scrivici

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Fonte: Pixabay
Le vicende della "coppia dell'acido" Martina Levato e Alexander Boettcher e quelle dei genitori over 50 di Mirabello Monferrato hanno riportato l'attenzione sulle sorti dei loro figli: quando la legge prevede che i bambini debbano essere tolti dalle famiglie d'origine e considerati adottabili? E sul piano psicologico è giusto cercare di tutelare fin dove possibile il legame tra i genitori biologici e i loro figli? Le risposte degli esperti

In questo articolo

Due fatti di cronaca diversi, che richiamano la comune preoccupazione su quali siano le strade giuste da seguire per assicurare il bene dei bambini: i giudici della Cassazione dovranno decidere se confermare l'adottabilità per il figlio di Alexander Boettcher e Martina Levato, la coppia condannata per le aggressioni con l'acido a Milano nel 2014, attualmente in carcere, o concedere l'affido ai nonni materni; un'altra decisione al vaglio della Cassazione riguarda la figlia nata nel 2010 da Gabriella Carsano, oggi 57 anni, e dal marito Luigi Deambrosis, 69 anni, ai quali la bimba era stata tolta perché considerati "anziani e inadatti" (come riporta il sito di Repubblica), e ai quali, dopo un lungo iter, ora potrebbe essere restituita: il pg chiede che la piccola torni ai genitori biologici.

Nel caso della coppia Levato - Boettcher, il Comune di Milano, costituitosi come tutore del figlio - nato nell'agosto del 2015 e oggi in condizione di pre-affido presso una famiglia -, ha chiesto alla Suprema Corte di respingere la richiesta dei familiari, nonni compresi, che vogliono ottenere l'affidamento e la revoca dell'adottabilità perché «l'impegno che vogliono assumersi è sproporzionato alle loro forze e alla durata pesante della pena alla quale sono stati condannati i genitori» (come riporta il sito del Corriere).

I legali dei nonni, Maurizio e Massimiliano Gabrielli, sono di tutt'altro avviso: come hanno dichiarato all'ANSA «i genitori di Martina sono insegnanti di scuola media, tuttora in servizio perchè hanno solo 56 anni, e sarebbe singolare se lo Stato ritenesse che non sono in grado di crescere un nipotino quando tutti i giorni gli affida la formazione e l'educazione di decine di studenti».

Ne parliamo con l'avvocato Giulia Sapi, membro di AIAF - Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, e con Anna Genni Miliotti, esperta di adozioni, autrice per le edizioni Franco Angeli di diversi saggi tra i quali «Adozione: le nuove regole» e «Adozione oggi: un obiettivo raggiungibile».

Dottoressa Sapi, in quali casi un bimbo può essere tolto alla famiglia?

«Il punto di partenza previsto dalla nostra legge e dai principi di diritto europeo è che, per quanto possibile, i bambini hanno il diritto di crescere con la famiglia di origine; il limite è la valutazione di irrecuperabilità delle capacità genitoriali di padre e madre. Il procedimento di adottabilità parte a seguito di un accertamento nel quale deve essere verificata non solo l'incapacità che possono avere i genitori in quel momento specifico, ma anche sul lungo periodo. Diversamente lo Stato ha il compito di sostenere i genitori nel recupero delle capacità genitoriali, magari allontanando momentaneamente i minori e offrendo sostegno ai genitori così da non creare una rottura completa. Laddove invece l'accertamento è di irrecuperabilità, allora deve essere dichiarata l'adottabilità e inizia l'iter di adozione».


Come procede l'iter? Quando e a chi viene dato in affido il bambino?

«Giuridicamente, una volta che il bambino è dichiarato adottabile, viene individuato un abbinamento con una coppia che ha dato disponibilità all'adozione e ha tutti i requisiti per poter adottare.

Parte così l'anno di cosiddetto affidamento preadottivo (pre-affido), una sorta di prova in cui il bambino viene inserito in quella che sarà la famiglia adottiva se tutto andrà bene: è una tutela nell'interesse del minore. Al termine di questo anno, se le relazioni sono positive viene pronunciata l'adozione.

Nella pratica poi può succedere che il bambino venga inserito temporaneamente nella famiglia anche prima dell'avvio dell'anno di preadozione, o che venga collocato presso dei parenti, o in una casa famiglia: dipende dalle situazioni».

In quali casi il bambino può tornare con i genitori e quando invece può essere adottato o affidato ai nonni, in riferimento ai due fatti di cronaca?

«Per quanto riguarda la cosiddetta "coppia dell’acido" nei primi due gradi di giudizio i giudici a seguito di opportuni accertamenti hanno stabilito l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali e il conseguente stato di abbandono del bambino: ora il pg ha chiesto che non sia pronunciata l’adottabilità non tanto per un possibile recupero delle capacità genitoriali, quanto in vista di un affidamento ai nonni materni.

Nel secondo caso era stata stabilita l’incapacità dei genitori, e quindi l’inserimento della bambina in un’altra famiglia, non tanto per l’età quanto per una condotta giudicata grave (la bambina era stata lasciata momentaneamente in auto, ndr), ma ora la richiesta è che la bambina rientri nella famiglia di origine perché il fatto non sussiste o non è grave. Tuttavia, ormai la bambina è collocata in un’altra famiglia con la quale ha stabilito un legame affettivo, e farla rientrare sarebbe comunque pregiudizievole nei suoi confronti».

Cosa si intende con l’espressione "best interest of child"?


«Letteralmente significa migliore interesse del minore, o del bambino, o del fanciullo. Per anni si è tradotto come interesse superiore. In ogni caso è il principio al quale i giudici del tribunale si devono ispirare ogni volta che decidono quale sia la soluzione da adottare in presenza di un minore: il principio che deve guidarli è l'interesse, il bene del minore stesso».

Dottoressa Miliotti, Laura Cossar, l'avvocatessa che difende Martina Levato, ha insistito per "dare un'altra chance" alla ragazza (che attualmente ha 24 anni) e non ricorrere all'adozione: è giusto cercare di tutelare fin dove possibile il legame tra i genitori biologici e i bambini? Anche nel caso in cui la madre abbia 57 anni e la figlia 7, come nel caso della coppia di Mirabello Monferrato?

«I due casi sono diversi, però c’è un pensiero comune dietro: il primato del legame di sangue. Che, tuttavia, non necessariamente coincide con l’interesse supremo del minore, l’unico principio che dovrebbe sempre prevalere. Il legame biologico non va tutelato ad ogni costo. L’interesse del minore sì.

Nel caso della cosiddetta "coppia dell’acido", affidare il bambino ai nonni significherebbe mantenere il legame con la madre, incriminata per fatti molto gravi, che passerebbe in un istituto dove può vedere il figlio, poi agli arresti domiciliari.
Il legame con i nonni va mantenuto, ma l’interesse del minore è vivere in una situazione sana.

Esiste il diritto dei minori a una famiglia, non necessariamente quella di sangue, una famiglia che abbia i requisiti economici e soprattutto la capacità di prendersene cura.

Per quanto riguarda il secondo caso, fanno indignare in primo luogo i tempi della giustizia, che non rispettano certo l’interesse del minore: i bambini non sono pacchi postali. Al di là dell’età dei genitori, il problema è che oggi questa bimba ha sette anni e ha già sviluppato il processo di attaccamento alla famiglia alla quale fu affidata: i genitori ormai per lei sono loro, quelli "nuovi"».

Perché un bambino adottato sente prima o poi il bisogno di conoscere i suoi genitori biologici?

«E’ una richiesta che nasce da un bisogno di stabilità: non sapere destabilizza. Spesso è legata anche al desiderio di conoscere la ragione della separazione o dell’abbandono, ed ecco perché è fondamentale agire sempre nell’interesse del minore: quando verrà il momento si potrà spiegare che la separazione è stata decisa solo per il suo bene».

I genitori adottivi, come devono comportarsi di fronte a queste richieste? E come possono essere supportati?

«La richiesta va affrontata con serenità, se necessario con l’aiuto di uno psicologo: diversi professionisi se ne occupano. L’importante è dire sempre la verità, in modo diverso a seconda dell’età.

Questo bisogno può emergere in diversi stadi, c’è chi lo esprime da piccolo, chi da grande. Qualcuno non lo chiede per paura di ferire i genitori adottivi. Spesso a volerlo sapere sono le donne quando si avvicinano alla maternità. In ogni caso è necessario ricucire la storia e spiegare la situazione».

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