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Coronavirus: come “sopravvivere” in casa con i bambini

di Valentina Murelli - 09.04.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
I consigli della pedagogista Monica Castagnetti su come affrontare le tensioni che possono generarsi con i bambini in questi giorni di confinamento tra le mura domestiche

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Una vacanza extra piena di promesse e possibilità, in cui poter giocare tranquilli a casa, dormire più del solito, fare qualche giro al parco con gli amici: molti bambini hanno immaginato così la loro vita nei primi giorni dell'emergenza coronavirus. Da quando però le direttive ci hanno obbligati a rimanere tra le mura di casa le cose si sono complicate, per loro come per noi adulti. "Nel mio lavoro che comunque continua a distanza, ho iniziato a sentire una certa fatica e tensione da parte dei bambini, che risentono della situazione anche se non riescono a raccontare con precisione cosa provano" spiega la pedagogista Monica Castagnetti, sottolineando che frasi come "oggi non è giornata" oppure "oggi mi sono svegliato nervoso" sono diventate sempre più frequenti.

 

D'altra parte, con la tensione dei bambini cresce anche quella degli adulti. Anche noi adulti siamo sottoposti a condizioni di vita non abituali, privati delle nostre libertà quotidiane, e facciamo fatica a mantenere la pazienza. Risultato: esplosione di crisi, conflitti, incomprensioni, che possono rendere questo tempo ancora più faticoso. Durante una delle nostre dirette social abbiamo quindi chiesto a Castagnetti, che lavora per la Fondazione Giovanni e Irene Cova di Milano e al Centro di pedagogia Dine e collabora con il Centro per la Salute del Bambino di Trieste, di riflettere insieme su come sopravvivere alla quarantena in casa con i bambini. Ecco i suoi suggerimenti e le sue risposte alle vostre domande.

Prima regola di sopravvivenza: più flessibilità

"Il modo in cui i bambini hanno reagito e stanno reagendo al confinamento in casa è molto individuale" spiega Castagnetti. "Ci sono bambini con qualche difficoltà relazionale, che a casa si sentono più protetti e non sentono dunque alcun bisogno di tornare a scuola, anche se possono soffrire della mancanza di alcune routine all'esterno da casa come la passeggiata con la nonna.

In questi casi è importante continuare a sostenere gli aspetti relazionali di questi bambini, per esempio facendo in modo che mantengano relazioni anche se a distanza: magari una merenda con gli amici collegati, se possibile, o la telefonata o videochiamata dei nonni che possono raccontare una fiaba o ricordare quando erano piccoli e c'erano meno cose a disposizione".

Molto diverso il caso di bambini che normalmente godono degli aspetti relazionali, del rapporto e della vicinanza con gli altri, e che in questo periodo non possono soddisfare queste loro esigenze. "Questi saranno probabilmente bambini più nervosi e infastiditi, che cercheranno vari modi per rispondere a questa sensazione di fastidio, magari facendo un po' più "dispetti", mostrandosi più oppositivi o più "selvaggi". Ecco, in questi casi di vuole da parte di mamma e papà della santa pazienza, anche se è vero che anche per noi adulti comincia un po' scarseggiare".

"Credo fermamente – prosegue Castagnetti – che in un momento così particolare sia anche fondamentale avere più flessibilità, più tolleranza rispetto a quelle che possono essere le regole tipiche di una casa. I bambini, soprattutto se piccoli, non riescono a sfogare la loro emotività attraverso le parole ma lo fanno attraverso il movimento. Purtroppo è vero che la casa non è il luogo ideale per il movimento di cui ha bisogno il bambino, quindi bisogna chiudere un occhio e concedere cose magari di solito vietate, come saltare sul divano o sul letto o buttare per terra tutti i cuscini del divano".

Seconda regola: conoscere la natura dei bambini

Tante delle incomprensioni che si generano tra genitori e figli piccoli derivano dal fatto che c'è una certa difficoltà a capirsi, come se bambini e adulti appartenessero a due culture diverse. "In effetti il bambino fino a 6 anni è un essere tutto fatto a modo suo da tanti punti di vista, non perché sia difettoso ma perché è in crescita" chiarisce Castagnetti.

Sottolineando che tante abilità che noi adulti abbiamo acquisito in realtà nella mente del bambino non sono ancora pronte. "Spesso ci approcciamo con la nostra mente 'matura', che ha tutti i suoi costrutti, a una mente che si deve ancora costruire ed è lì che può sorgere la difficoltà di farsi capire". Per questo sono utili alcuni chiarimenti su "come funzionano i bambini".

Il tempo dei bambini è diverso dal nostro

"Una cosa importantissima da sapere è che il tempo dell'adulto e quello del bambino non sono uguali, ma 'viaggiano' secondo flussi differenti. Se per l'adulto, anche in un tempo come questo più dilatato del solito, è comunque l'orologio a scandire la giornata, per il bambino non è così".

"I bambini – spiega la pedagogista – vivono in un tempo che è come fatto di tantissimi frammenti, tanti istanti che una dopo l'altro costituiscono la giornata e che sono significativi ciascuno indipendentemente da tutti gli altri". In un quadro del genere, non può certo essere l'orologio a scandire la giornata, ma una serie di bisogni primari, come ho fame, ho sete, ho sonno, ho bisogno di giocare... "Praticamente significa che la giornata del bambino dovrebbe essere scandita da una serie di atti pratici organizzati a costituire una routine in grado di rassicurare il bambino con la sua ripetitività. Per esempio aiuta fissare merenda e pasti all'incirca alla stessa ora e spiegare al bambino lo scorrere del tempo attraverso una serie di azioni: adesso facciamo una merenda, dopo facciamo questo gioco e così via".

Questo atteggiamento, che deve prevedere anche una modificazione del linguaggio perché risulti più comprensibile ai piccoli, è ancor più utile se mamma e papà, pur in casa, devono lavorare e dunque dedicare alcuni momenti della giornata a qualcosa che non siano i loro figli.

"Dire a un bambino: adesso lavoro solo per un'ora e poi torno da te non ha senso per lui, perché non è messaggio comprensibile. Bisogna essere invece molto espliciti, dicendo per esempio: adesso la mamma deve lavorare, tu intanto puoi fare questa cosa e appena ho finito sto subito con te". In altre parole, dare un'idea del tempo che passa per azioni e non attraverso indicazioni temporali.

Emozione è movimento

Altra cosa da sapere è che per i bambini l'emozione è motricità. Quando si sentono agitati, scossi, ma anche contenti esprimono queste emozioni e sensazioni attraverso il movimento. "Una bambina felice non si limiterà a dirlo, ma magari accompagnerà questa manifestazione con una serie di salti" esemplifica Castagnetti. "Ecco perché in un momento come questo, in cui serpeggiano tanta preoccupazione e fatica (e purtroppo molte famiglie stanno anche vivendo lutti importanti) è molto importante permettere ai bambini di potersi "scaricare" in un gioco libero e selvaggio".

Torna l'invito a rinunciare a qualche regola, "perché più i bambini hanno modo di manipolare la realtà che hanno intorno, per esempio anche riarredando una stanza, spostando tutti i cuscini in un angolo, facendosi una casetta con cose che di solito non utilizzano, più è facile che riescano attraverso questo gioco a ristrutturare anche il loro mondo emotivo".

Non a caso, racconta la pedagogista, proprio in queste settimane alcune famiglie possono aver osservato il bisogno dei loro bambini di fare più giochi di protezione o di difesa (costruirsi casette o rifugi, combattere nemici), che nascono nel mondo del bambino perché si sente un po' preoccupato  e cerca strategie di gioco per elaborare questo sentimento.

Il no del bambino non è un atto di potere

Intorno ai 30-36 mesi i bambini in genere entrano nella cosiddetta fase dei no, quella che i genitori tendono a percepire come una "sfida" continua e che sicuramente in un periodo di confinamento in casa può risultare ancora più difficile da gestire.

Ma secondo Castagnetti per riuscirci in modo efficace è fondamentale sapere che cosa significano esattamente quei no.

"Spesso i genitori lo vivono come un atto di potere da parte del bambino, come un suo tentativo di sostituirsi a loro, ma non è affatto così. L'atto di potere è nella testa dei genitori, ma non può essere in quella del bambino, che non ragiona in questo modo, ma come abbiamo detto ragiona per istanti. Non solo: bisogna considerare qual è il senso profondo della crescita, che non è altro che trovare sé stessi, e si trova sé stessi non solo dicendo sì, ma anche molto spesso dicendo no. E per quanto a noi possa sembrare strano, questo vale anche se i bambini continuano ad attribuire agli adulti (genitori nonni, maestri) il potere di capire e spiegare come va il mondo".

Detto questo, Castagnetti offre anche due possibili vie d'uscita al muro contro muro che si può creare se al no del bambino si oppone quello dell'adulto, in un'escalation di tensione. "Ci sono due strade che arrivano sempre al cuore dei bambini" spiega. "Una è la narrazione: ti racconto una storia e mentre te la racconto ti porto a fare quello che vorrei farti fare. L'altra è il gioco, per cui se dici "no, le mani non me le lavo" ti invito a farlo cantando una canzone o organizzando un gioco di pesciolini nel lavandino. O se non vuoi venire in cucina all'ora di pranzo ti prendo in braccio cantandoti una canzone inventata sul mamma bus o sul papà bus o mi fingo un mostro che ti insegue".

Questi atteggiamenti rendono in genere i bambini molto disponibili perché il gioco è un piacere e sull'onda del piacere si fanno trasportare a fare diverse cose.

Certo bisogna essere creativi, perché magari quello che funziona oggi già domani non funziona più, non farsi prendere dalla propria emotività, considerare che questi 'no' non sono sfide ma strutturazione del sé e che dunque se il bambino li sta mettendo in atto sta solo facendo il suo dovere (e i genitori stanno facendo un buon lavoro dandogli modo di essere sé stesso). "Se l'adulto sa che questo atteggiamento del bambino non è un tentativo di scalzarlo dal suo ruolo, ma un processo dinamico della crescita, allora si rende conto che può affrontarlo anche con un un po' di divertimento in più, senza rimanere intriso di quella fatica che ovviamente viene quando ci si mette a litigare in queste circostanze".

E se proprio i bambini si impuntano? "Allora c'è anche un'altra via – afferma Castagnetti – ed è quella di dimostrare loro quali sono le conseguenze naturali delle loro azioni. Io posso dire a te bambino che non si scendono le scale senza calze perché sono fredde, ma tu potresti anche non fidarti e voler proprio scendere le scale senza calze. Allora l'esperienza che farai di avere i piedi freddi alla fine della scala sarà proprio quella conseguenza naturale che ti anticipavo". Naturalmente, mettendo in conto che quella conseguenza naturale che a noi potrebbe dar fastidio (come sentire freddo ai piedi) potrebbe non darlo al bambino.

Sorelle molto diverse: come comportarsi?

Mia figlia di sette anni non vuole fare i compiti a meno di non ricattarla, mentre la sorella di nove è sempre organizzata e fa tutto. Come possono essere così diverse e come gestire questa diversità? (mamma Stefania)

"In effetti può stupire vedere figlie tanto diverse visto che i genitori sono sempre gli stessi, ma questo anzitutto mostra che le persone sono diverse" inizia Castagnetti.

"Inoltre, i bambini si cercano e si trovano anche e soprattutto nella differenziazione rispetto agli altri che hanno intorno ed è abbastanza comune (anche se non è detto che accada per forza) che i bimbi più grandi abbiano un profilo più adattivo, mentre i più piccoli per trovare sé stessi cerchino una strada alternativa".

Secondo la pedagogista, nel caso specifico di questa famiglia va anche ricordato che tra sette e nove anni ci sono ancora differenze importanti rispetto al funzionamento dei bambini. "Per esempio a nove anni il senso del dovere è sicuramente più strutturato di quanto può essere a sette e a nove anni un bambino può essere più organizzato e autonomo, mentre uno di sette può essere ancora molto coinvolto in un mondo infantile, oltre a fare più fatica a stare fermo". Per Castagnetti, "la bimba più grande è da incoraggiare nella sua autonomia ma bisogna anche presidiare degli spazi in cui possa sentirsi un po' più libera di esprimersi. Viceversa, vanno creare le condizioni migliori per la bimba più piccola perché possa accettare di fare i compiti". Come?

"Per prima cosa, considerare che non per tutti è facile star fermi – e fare i compiti implica stare fermi – per cui bisogna osservare la bimba e capire qual è il momento della giornata in cui accoglie più volentieri di stare ferma (perché ce n'è sempre uno), proponendole di fare i compiti proprio in quel momento. In secondo luogo, dare un ritmo alle attività perché è difficile che un bimbo di sette anni riesca a farlo da solo. Le si possono indicare due o tre attività da fare (e quella da cui partire), precisando che finite queste ci sarà una pausa per fare un giretto o una merenda, in modo da spezzare l'attività.

Senza dimenticare che l'attenzione di un bambino di sette anni può essere sostenuta in modo continuativo per 15-17 minuti e non di più, per cui non ci si può attendere un'ora di lavoro continuativo. Al contrario,  un bambino di 9 anni che abbia trovato le sue motivazioni nel lavoro scolastico può lavorare già per 30-40 minuti di fila".

Come gestire gli scatti d'ira

Mia figlia di quasi sei anni sta diventando quasi ingestibile e alterna momenti di tranquillità a momenti di grande ira in cui urla, sbatte le cose e si dà la colpa di tutto. Come aiutarla ad affrontare meglio questo momento?

Lo abbiamo detto più volte: è un momento particolare, carico di tensione e di preoccupazione che serpeggia nell'aria anche se si cerca di non manifestare troppo ai bambini. Loro però se ne accorgono comunque caricandosi di queste emozioni, ed essendo "esseri particolari" molto centrati su loro stessi, non sono capaci di non non pensare che non dipenda da loro, il che aggrava le emozioni negative.

"Se un bambino manifesta un disagio particolare, per esempio con crisi d'ira, la prima cosa da fare ovviamente è accorgersene e osservarlo per cercare di capire come funziona il suo atteggiamento, cosa che la mamma che ha posto questa domanda ha fatto, cogliendo l'alternanza tra stati di tranquillità e di ira" afferma Castagnetti. "Secondo passo: avvicinarsi alla bambina in preda a un'emozione che non sa neanche nominare (e infatti la agisce e non la nomina) per provare a darle un nome insieme. In questi momenti è molto importante la vicinanza di un adulto che dica: ti ho osservato, ho visto che sei tesa, che non riesci a giocare bene, ti va se ci fermiamo un attimo e ne parliamo insieme?"

"Il fatto è – prosegue l'esperta – che a sei anni i bambini non hanno ancora raggiunto una maturità cerebrale che aiuti a gestire le emozioni e allora la riflessività su quanto accade deve essere portata da fuori, da un adulto che deve far capire che un certo comportamento (dare calci, distruggere la stanza) viene fuori perché c'è qualcosa dentro che bisogna imparare a conoscere e a capire".

Nominare l'emozione serve proprio a questo: "Può essere anche un nome vago (preoccupazione, tensione), poi la bambina imparerà anche altri nomi per le tante emozioni possibili".

Infine, il passaggio successivo è riflettere insieme al bambino su cosa gli accade quando agisce così. "Si sente meglio? Forse no, e allora su questo 'forse no' si può costruire una proposta alternativa, che per esempio può essere un consiglio basato sul racconto di quello che faceva la mamma da piccola per calmarsi quando era agitata. Senza aspettarsi che la bimba faccia la stessa cosa, ma offrendo uno spunto sul quale la bambina potrà costruire il suo metodo per calmarsi". In alternativa si può offrire l'esempio di come la mamma e il papà, diventati adulti, affrontano la preoccupazione. "Ovviamente deve essere un esempio coerente. Se diciamo che andrà tutto bene ma ogni momento stiamo attaccati alle notizie e le commentiamo come tragedie stiamo passando un messaggio contrastante. Idem se scarichiamo la tensione urlando o scagliando oggetti per terra: allora non potremo chiedere ai bambini di non farlo". In questo senso è importante conoscere sé stessi e le proprie risposte emotive e si può considerare questo tempo sospeso dell'emergenza come tempo di educazione emotiva, dei bambini e, perché no, di noi grandi.

Regressione su cacca e pipì

Il mio bimbo di due anni e mezzo faceva tutto in modo autonomo, adesso chiama. Come dobbiamo comportarci? (mamma Elisa)

"La regressione è uno dei modi possibili per un bambino per rispondere a un motivo che sente emotivamente come un po' difficile e può darsi che questa difficoltà sia sempre dovuta alla particolare condizione che stiamo vivendo per l'emergenza coronavirus e per le tensioni che comporta" spiega Castagnetti.

"Il bimbo che manifesta una regressione – prosegue – è un bimbo preoccupato, per cui le cose da fare sono nominare queste possibili preoccupazioni (in modo molto semplice nel caso di un bimbo così piccolo) cercando di capire qual è l'elemento che lo turba di più e confortarlo.

Quando si sentirà accolto, confortato e rassicurato abbandonerà la sua regressione per tornare allo stadio di sviluppo che aveva prima. Cosa che comunque richiede del tempo".

Reazioni esagerate ai piccoli cambiamenti

Il mio bambino di 2 anni e 2 mesi di tanto in tanto scoppia a piangere e inizia a urlare per cose banali come il fatto che io mi metta la sciarpa, un oggetto spostato, un particolare stimolo uditivo o visivo. È un pianto a dirotto, inconsolabile, che si placa solo se viene ripristinata la condizione di partenza. È una reazione normale per la sua età?

"Sì" rassicura la pedagogista. "Anche elementi molto semplici, come un oggetto spostato, possono essere molto significativi per un bambino e raccontano della sua esigenza di avere tutto sotto controllo per sentirsi a posto. Visto che in questo caso queste reazioni sono comparse in questo periodo, immagino che abbiano attinenza con lo stato attuale: forse non a caso la mamma cita come prima condizione in grado di turbare il bambino il fatto di mettersi una sciarpa sulla bocca e oggi coprirsi il volto ha sicuramente un valore particolare, che i bambini colgono".

Ma come reagire di fronte a queste manifestazioni? "È opportuno ripristinare la condizione o posizione originale. Inoltre io spenderei sempre qualche parola per chiedere cos'è che non piace, che disturba tanto. Probabilmente il bambino darà una risposta banale, per certi versi deludente per l'adulto, ma non è importante quello che dice quanto il fatto di dirla perché questa 'crisi' così diventa un'occasione per parlare insieme, per far capire – poco alla volta – al bambino che può parlare, che può esprimere quello che ha nel cuore, anche se indistinto, senza bisogno di piangere. Più in generale, vale la pena prendere questi gesti come una possibilità pedagogica, un'opportunità educativa.

I capricci non esistono

Se il mio bimbo fa i capricci va bene prenderlo in braccio?

"I capricci non esistono" ribadisce con forza Monica Castagnetti. "Sono semplicemente la risposta emotiva del bambino di fronte a un'incomprensione. Magari noi lo abbiamo compreso benissimo, ma è lui che non ha capito la situazione o la nostra reazione e reagisce così. Quando un bambino si sente incompreso, si sente anche solo, abbandonato a sé stesso, alla sua mente e allora pensiamo: noi non avremmo bisogno di un abbraccio, di sentirci compresi, se ci sentissimo soli e abbandonati? Certamente sì, e per un bambino è lo stesso".

"Per un bambino che sta manifestando queste reazioni emotive quell'abbraccio non significa hai ragione, ma stai tranquillo, sono qui con te, sono pronto a consolarti, per cui non c'è niente di male ad accogliere tra le braccia un bambino che sta puntano i piedi. L'importante è che lui ci stia, in quell'abbraccio, perché ci sono bambini che fanno fatica a farsi abbracciare durante crisi di rabbia e confusione. In questo caso bisogna fare in modo che il contatto comunichi serenità e tranquillità e non contenimento, perché altrimenti si rischia di far peggiorare le cose".

Come sopravvivere ai bambini urlatori

Mio figlio ha 14 mesi, non parla ancora e grida per qualsiasi cosa che non gli viene data. Come fare? (Mamma Giusy)

"I bambini che gridano lo fanno perché hanno imparato che così facendo ricevono l'attenzione dei genitori" spiega Castagnetti. "D'altra parte è normale che sia così: noi siamo evolutivamente 'programmati' per girarci se udiamo un rumore forte e se anche il bambino, urlando, non ottiene esattamente quello che vuole, sicuramente ottiene buona parte di ciò che desidera, cioè la nostra attenzione".

Che fare, allora? "Per esempio, non dargli quello che chiede finché lo chiede urlando in maniera esagerata, ma solo quando lo chiede in modo gentile.

Ma attenzione: in questo caso gli si dà quello che desidera senza tornare sulla questione, senza sgridarlo e fargli notare che prima stava urlando e allora la mamma non gli dava niente e così via. La mamma che sgrida fa sentire al bambino tutte le sue manchevolezze e questo può creare frustrazione, generando nuove urla". E se urla per attirare l'attenzione, senza chiedere qualcosa di particolare, il consiglio è di lanciargli uno sguardo di decisa riprovazione - "senza dire altro, perché le parole che l'adulto può metterci non fanno altro che alzare il volume dell'urlata" - o, se ci si trova in un'altra stanza, limitarsi a chiedere "tutto bene?".

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