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Autismo: uno spettro di disturbi

di Simona Regina - 13.07.2017 - Scrivici

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Fonte: chanlone/Flickr
Non esiste una cura, ma trattamenti riabilitativi che possono fare la differenza e migliorare significativamente la qualità della vita dei bambini autistici. La diagnosi precoce è fondamentale. Facciamo il punto sui disturbi dello spettro autistico con Maria Luisa Scattoni dell'Istituto Superiore di Sanità

In questo articolo

Si stima che in Italia siano 300-500 mila le persone con disturbi dello spettro autistico. Con questa etichetta, dal 2013, nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali ci si riferisce all'autismo e ad altri disturbi neurologici dello sviluppo che, in modo più o meno marcato, compromettono la comunicazione e le relazioni sociali.

Indicativamente un bambino su 100 è affetto da un disturbo dello spettro autistico. I maschi 4 volte di più delle femmine.

Ancora non sono completamente chiare le cause: si sa che la componente genetica gioca un ruolo chiave, ma anche alcuni fattori ambientali sembra che ci mettano lo zampino. Al momento non esiste una cura, ma una serie di trattamenti riabilitativi.

La diagnosi precoce è fondamentale per migliorare la qualità della vita: perché gli interventi riabilitativi più sono precoci più possono cambiare le sorti dei piccoli pazienti. Spesso però la diagnosi arriva tardi.

Facciamo il punto con la neurobiologa Maria Luisa Scattoni, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e coordinatrice del Progetto NIDA (Network Italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico).

Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, sancita dalle Nazioni Unite con la risoluzione 62/139 del 18/12/2007, un evento internazionale voluto per stimolare l’impegno delle varie istituzioni per il miglioramento dei servizi, per la promozione della ricerca e per informare i cittadini sui disturbi dello spettro autistico.

Uno spettro di disturbi

Alcuni sono dotati di talenti straordinari e di una memoria fuori dall’ordinario (i cosiddetti autistici ad alto funzionamento). Altri invece soffrono di disabilità intellettive. Alcuni sono restii a qualsiasi forma di contatto fisico, altri invece non fuggono all’abbraccio e allo sguardo altrui.

Per questo si parla di uno spettro di disturbi che si presentano in modo molto variabile da persona a persona.

"La dicitura disturbi dello spettro autistico sottolinea proprio l’estrema diversità delle persone con questo disturbo, che condividono tuttavia in modo più o meno marcato deficit socio-comunicativi e la presenza di interessi ristretti o comportamenti ripetitivi" puntualizza Scattoni. "Nell’ambito dello spettro sono incluse sia persone che presentano disabilità intellettiva e assenza di linguaggio che quelle con valide abilità intellettive e ottime capacità linguistiche".

Con il termine disturbi dello spettro autistico si intende un insieme di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da un deficit nelle abilità socio-comunicative associato alla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi. Si tratta di disturbi dello sviluppo anche molto diversi tra loro sia per caratteristiche di presentazione clinica che per severità.

Fattori di rischio



"Ad oggi non esistono stime affidabili di prevalenza nel territorio italiano ma i più recenti dati di letteratura scientifica internazionale indicano che almeno un bambino su 100 sia affetto da un disturbo dello spettro autistico" aggiunge la neurobiologa.

E relativamente alle cause, precisa: "ad oggi non abbiamo ancora dati univoci.

Ma, seppure non sia ancora completamente nota l’eziologia di questo insieme di patologie, è ampiamente riconosciuto che vi sia un'interazione tra mutazioni genetiche e alcuni fattori ambientali che predispongono un'anomala maturazione del cervello".

"Fortunatamente - aggiunge - è stata ormai superata l’ipotesi secondo cui i disturbi dello spettro autistico siano causati dalla mancanza di affetto e di cure parentali".

Il ruolo rilevante della genetica è stato dimostrato attraverso diversi studi che evidenziano una più alta probabilità di sviluppare i disturbi dello spettro autistico in gemelli identici (o monozigoti, che condividono il 100% dei geni) rispetto ai gemelli eterozigoti. Inoltre, avere un fratello o una sorella più grande con disturbo dello spettro autistico fa aumentare il rischio di autismo (intorno al 19%).

Chi ha un fratello o una sorella più grande autistico è considerato ad alto rischio di autismo.

Tuttavia, anche i bambini senza una storia familiare di disturbi dello spettro autistico possono sviluppare questo disturbo. "In questo caso entrano in gioco mutazioni genetiche a cui potrebbero concorrere anche alcuni fattori ambientali, come per esempio infezioni materne durante la gravidanza, deficit immunitari, esposizione durante le prime fasi dello sviluppo del cervello ad agenti neurotossici".

"Sebbene non vi siano dati univoci e generalizzabili all’intera popolazione di persone con disturbo dello spettro autistico, numerosi dati di letteratura scientifica riportano la presenza di alterazioni cerebrali" precisa Scattoni. Uno studio pubblicato su New England Journal of Medicine ha riscontrato in particolare anomalie precoci in alcune zone della corteccia (prefrontale e temporale) deputate a funzioni relazionali ed emozionali che risultano compromesse nei disturbi dello spettro autistico.

Le evidenze scientifiche suggeriscono che contribuiscano all’insorgenza dei disturbi dello spettro autistico vari fattori, sia genetici, sia ambientali, in grado di influenzare le prime fasi dello sviluppo cerebrale.

Nessun collegamento tra vaccinazioni e autismo



Attribuire l’insorgenza di questa patologie ai vaccini praticati in età pediatrica è privo di qualsiasi fondamento ed evidenza scientifica. Tutto risale al 1998, quando il gastroenterologo inglese Andrew Wakefield ha sostenuto che esistesse un possibile legame tra l'autismo e la vaccinazione trivalente per morbillo, parotite e rosolia. Il suo studio, pubblicato nella rivista medica britannica The Lancet, ha indotto molti genitori in Gran Bretagna e non solo a non vaccinare i propri figli, abbassando così le coperture vaccinali e aumentando il rischio di contrarre una delle malattie da cui il vaccino protegge.

Lo studio di Wakefield è stato smentito dalle principali autorità sanitarie mondiali: la ricerca non era attendibile e i dati erano stati falsificati. Un caso emblematico di frode scientifica. The Lancet ha ritirato l’articolo e nel 2012 Wakefield è stato definitivamente radiato dall’Ordine dei medici. Tuttavia, il polverone suscitato continua ad alimentare correnti di pensiero “anti-vaccinazione” nonostante l’evidenza scientifica dimostri il contrario: la mancanza di alcun nesso causale tra vaccini e autismo.

L’autismo, infatti, verosimilmente inizia nel grembo materno, in fase prenatale, quando si verificano alterazioni della differenziazione e nell’organizzazione delle cellule nervose durante lo sviluppo del cervello.

"Si tratta infatti di un disturbo precoce del neurosviluppo anche se può diventare clinicamente manifesto più tardivamente".

La diagnosi

Attualmente, la diagnosi di autismo viene fatta tipicamente tra i 2 e 4 anni, ma puntare a una diagnosi e, di conseguenza, a un intervento precoce, prima cioè dei 2 anni, è determinante perché può cambiare il decorso clinico e contribuire ad acquisire quelle capacità comunicative e relazionali tipicamente compromesse.

Intervenire precocemente, già a 18 mesi, sui bambini con autismo significa dare loro un futuro migliore

"La diagnosi precoce è considerata fondamentale per migliorare la qualità della vita perché consente l’avvio precoce di interventi riabilitativi specifici" puntualizza Scattoni, ricordando che ormai è un dato scientifico consolidato: "l’intervento precoce e intensivo impatta positivamente la traiettoria di sviluppo di molti di questi bambini, pertanto, la diagnosi fatta nei primi 2 anni di vita è considerata cruciale".

La diagnosi si basa sull’osservazione del comportamento del bambino: non esistono ancora, infatti, marcatori biologici certi di questo disturbo.

I primi campanelli di allarme solitamente sono i genitori a coglierli quando, nel secondo anno di vita del bambino, percepiscono che qualcosa non procede come dovrebbe nello sviluppo del figlio.

Tra i primi campanelli di allarme ricordiamo:


- ritardo nello sviluppo del linguaggio, mancata risposta al nome, ridotto e incostante contatto con lo sguardo, ridotto interesse per gli altri e per le loro attività

- comportamenti stereotipati, interesse eccessivo per alcuni oggetti o parti di oggetti, eccessivo attaccamento a comportamenti routinari, presenza di stereotipie delle mani e/o del corpo

In sostanza, la diagnosi è clinica, si basa sull'osservazione del bambino. Per questo è consigliabile affidarsi a strutture sanitarie specializzate dotate di equipe multidisciplinari composte da neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti per una valutazione clinica diagnostica globale.

Nuove prospettive emergono da studi di neuroimaging che prospettano la possibilità di riuscire a diagnosticare l'autismo prima dei sintomi. Uno studio pubblicato su Science Translational Medicine suggerisce che con la risonanza magnetica funzionale si possano individuare i bambini ad alto rischio già nei primi mesi di vita. Una possibilità, quella di evidenziare anomalie neuroanatomiche tipiche dell’autismo, che deve però essere validata tramite ulteriori studi.

Le terapie



Farmacologica

I farmaci possono in qualche modo controllare alcuni sintomi che accompagnano i disturbi dello spettro autistico, come l’ansia, l’irritabilità, l’insonnia.

"La terapia farmacologica utilizzata nei disturbi dello spettro autistico è cioè prevalentemente diretta ai sintomi associati" puntualizza Scattoni. "Sono comunque in corso studi per la definizione di interventi farmacologici personalizzati e cioè su misura per ciascun paziente in base al proprio profilo genetico".

I farmaci possono essere efficaci su sintomi che spesso si associano all’autismo, ma non “curano” il disturbo

Comportamentale

 

Come dicevamo, non esiste una cura che consenta di guarire dall’autismo, ma i trattamenti riabilitativi possono migliorare di molto la sintomatologia e la qualità di vita.

 

"La finalità a lungo termine del progetto terapeutico è quella di favorire l’adattamento del bambino al suo ambiente in rapporto alle specifiche caratteristiche della sua condizione. I trattamenti del bambino devono essere orientati a promuovere lo sviluppo, facilitare l’acquisizione di competenze (sociali, comunicativo-linguistiche, cognitive), sostenere lo sviluppo delle autonomie adattive. Le strategie comunemente suggerite e adottate possono essere fatte rientrare in due grandi categorie: gli approcci comportamentali e gli approcci evolutivi".

 

Nel 2011 l'Istituto Superiore di Sanità ha elaborato la Linea Guida per il Trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti.

 

I trattamenti raccomandati sono :

 


- Programmi psicologici e comportamentali strutturati mirati a modificare i comportamenti del bambino. Ne esistono diversi. Il più comune è l'analisi comportamentale applicata, o ABA, fondata nel 1968 da Donald Baer, ​​Montrose Wolf e Todd Risley. L’approccio prevede l’uso combinato di diverse tecniche e l’interazione con terapisti specializzati al fine di modificare il comportamento dei bambini e sviluppare quelle abilità/competenze carenti.

 


- Interventi mediati dai genitori: i genitori sono guidati dai professionisti per apprendere e applicare nella quotidianità le modalità di comunicazione più adatte per favorire lo sviluppo e le capacità comunicative del figlio.

 

Il parent training

Con questa espressione ci si riferisce principalmente a due tipologie distinte di intervento: il sostegno genitoriale e la terapia mediata dai genitori. Nel primo caso il bambino non partecipa agli incontri tra genitori e terapeuta. Lo scopo principale è il sostegno emotivo ai genitori e il trasferimento di informazioni utili. La terapia mediata dai genitori, invece, si rivolge a tutto il nucleo familiare e coinvolge il bambino a partire dall’età prescolare. Lo scopo è costruire, in un arco limitato di tempo, un’interazione tra genitori e figlio che favorisca lo sviluppo delle competenze sociali e comunicative nel bambino, aumentando il senso di autoefficacia dei genitori e riducendo lo stress.


In generale un intervento educativo per essere efficace deve essere:

  • tempestivo, iniziare cioè in età precoce
  • intenso, con un impegno di almeno 15-20 ore settimanali (incluso l’intervento scolastico)
  • individualizzato, elaborato quindi su misura per ogni singolo bambino
  • e deve coinvolgere attivamente le famiglie e la scuola

"In età scolare - conclude infatti Scattoni - l'ambiente scolastico rappresenta uno spazio particolarmente utile ai fini del trattamento offrendo un contesto di incontro e confronto con i coetanei".

Ulteriori spunti per approfondire (oltre ai link inseriti nell’articolo)

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Aggiornato il 19.09.2017

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