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Il bambino preferisce giocare da solo: come comportarsi

di Angela Bisceglia - 19.01.2018 - Scrivici

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Fonte: Foto: Pixabay
Si mette tranquillo a giocare per conto suo; si diverte da solo con costruzioni e bambole piuttosto che nei giochi di gruppo. È normale così? Da quando un bambino dovrebbe cominciare a giocare con gli altri? E come noi genitori possiamo spronarlo? Le risposte della psicologa Simona Trotta

In questo articolo

I tempi della socializzazione variano da bambino a bambino, però il genitore può stimolarlo in vari modi ad aprirsi agli altri, ad esempio ponendosi come modello, giocando lui per primo con il bambino e chiedendo la collaborazione di altri genitori e insegnanti: sono alcuni dei suggerimenti di Simona Trotta, psicologa infantile e psicoterapeuta presso l’Ospedale Sacco di Milano.

Le prime socializzazioni cominciano con la scuola materna


Fino all’anno di età, il primo gioco di un bambino è con il proprio corpo o con il corpo della mamma. Dopo l’anno, di pari passo con lo sviluppo della motricità, cominciano i giochi di esplorazione: il bambino si diverte ad osservare, lanciare, ruotare, smontare e rimontare gli oggetti, però gioca ancora da solo, perché sta imparando a pensare e ragionare su quel che lo circonda.

Dal terzo-quarto anno in poi, all’incirca con l’inizio della scuola materna, cominciano le prime socializzazioni, attraverso giochi che stimolano le relazioni ed attivano la capacità immaginativa, come il classico gioco del ‘facciamo finta di’, in cui il bambino si diverte a travestirsi ed assumere ruoli diversi. Ed è questo il momento in cui comincia a provare divertimento nel praticare certi giochi insieme ai coetanei.

I tempi della socializzazione non sono uguali per tutti e dipendono molto dall’esempio ricevuto a casa

Non tutti i bambini però hanno la stessa apertura verso gli altri e ci sono quelli che continuano a preferire i giochi solitari anche dopo l’ingresso alla scuola dell’infanzia. “I tempi della socializzazione, così come quelli di qualunque altro ambito di sviluppo, non sono uguali per tutti, per cui può esserci chi matura prima la spinta verso l’altro e chi, più timido e riservato, incontra maggiori difficoltà” premette la psicologa. “Inoltre possono influire vari fattori.
Molto ad esempio dipende dall’atteggiamento del genitore: una mamma ansiosa ed iperprotettiva può frenare notevolmente l’istinto di staccarsi da lei e stare con gli altri.
Conta anche il modello che il genitore trasmette, anche inconsapevolmente: se mamma e papà non invitano mai amici a casa, quando si trovano in compagnia non chiacchierano con gli altri, criticano spesso il modo di fare di amici e conoscenti, si mostrano restii a condividere le proprie cose con gli altri, il bambino riceverà quel modo di fare ‘solitario’. Se al contrario vede che la mamma al parco fa amicizia con altre mamme, ha rapporti aperti con i vicini di casa o con i colleghi, assorbe un modello che facilmente lo porterà a diventare estroverso”.

6 consigli per stimolarlo ad aprirsi agli altri


La timidezza non è una malattia e non c’è nulla di sbagliato se il bambino ha bisogno di più tempo prima di staccarsi dai genitori o dai suoi giochi in solitudine. “Stare in gruppo è una situazione impegnativa e a volte frustrante, perché bisogna rispettare le esigenze di tutti, quindi non è sempre facile adeguarsi. È bene dare tempo al bambino, non forzarlo, non trasmettergli ansie inutili (che lo farebbero chiudere ancor di più in se stesso). E piano piano sarà lui stesso a scoprire il piacere di stare con gli altri” suggerisce la Trotta.
Ecco qualche tattica per influire positivamente in questa direzione.


1. Giocare insieme. Innanzitutto con mamma e papà. Può essere utile iscriverlo ad uno sport di squadra, dove il bambino impara a condividere spazi e regole, rispettare ruoli, capire che non si può stare sempre al centro dell’attenzione, che si può vincere e perdere. “Prima ancora di iscriverlo ad un corso, però, è importante che il genitore faccia sperimentare il gioco di squadra come qualcosa che è bello e divertente fare, portandolo ad esempio al parco a giocare insieme a pallone, senza competizione, senza ansie da prestazione, ma per il puro gusto di giocare. Sarà più facile per lui sentirsi invogliato a provare con una squadra di ‘estranei’.


2. Chiedere la collaborazione degli insegnanti. In genere gli insegnanti adottano vari accorgimenti per spronare i bambini a socializzare fra di loro e far sbloccare anche i più timidi, ideando molteplici attività da fare insieme. Una chiacchierata con la maestra però è sempre utile, per confrontarsi con lei sull’atteggiamento del proprio figlio e chiederle di aiutarlo ad aprirsi un po’ di più.

3. Coinvolgere i genitori degli amichetti. Se il bambino è ancora piccolo, si può chiedere la collaborazione anche di genitori di amichetti con cui siamo più in confidenza, spiegando la situazione e chiedendogli di organizzare qualcosa insieme per far stare il proprio figlio in compagnia, come una merenda al parco o un pomeriggio a casa dell’uno o dell’altro.


4. Se si sente escluso, cercare insieme la soluzione. A volte i bambini si chiudono in se stessi perché in una precedente occasione sono stati esclusi dal gruppo e hanno paura che l’esperienza negativa si ripeta. “In questo caso è importante far sentire al bambino al nostra vicinanza e cercare di trovare insieme una spiegazione e una soluzione” commenta la psicologa. “Forse è stato escluso perché teneva un giocattolo tutto per sé e non voleva condividerlo. O forse aspettava di essere invitato ad un gioco di squadra e c’è rimasto male perché nessuno l’ha coinvolto. E’ un atteggiamento abbastanza comune tra i bambini, che fino ad una certa età hanno un ‘fisiologico’ egoismo: quando sono già in compagnia, non si rendono neanche conto se un altro compagno resta solo e non pensano che ci sta soffrendo. Anzi, magari credono che se ne sta in disparte perché si crede chissà chi. Spieghiamo al bambino che il compagno non è ‘cattivo’ - probabilmente neanche lui si accorgerebbe se un suo amichetto venisse escluso - e incitiamolo a chiedere apertamente di poter partecipare a quel gioco, senza recriminare per il fatto di essere stato escluso. Oppure invogliamolo a proporre lui per primo qualcosa di giocoso da fare insieme, senza aspettare di esser coinvolto in qualche gioco già iniziato”.

5. Invogliarlo a fare domande e mettersi in ascolto degli altri.
E’ una tattica che si rivela vincente soprattutto con i più grandicelli e che mette facilmente i bambini in relazione fra loro: “Proprio perché i bambini sono tutti un po’ egoisti e vorrebbero essere sempre al centro dell’attenzione, si sentono contenti se qualcuno pone loro delle domande e li ascolta" osserva la psicologa. "A ben pensarci, è un desiderio che abbiamo anche noi adulti, che ci sentiamo accolti e capiti quando finalmente troviamo qualcuno che ha voglia di ascoltarci. Ed è un comportamento che crea facilmente empatia fra le persone, piccole o grandi che siano. Non si tratta di fare un interrogatorio, ma interessarsi all'altro e a quel che pensa, su un argomento qualunque; un po’ per volta anche l’altro imparerà a mettersi in ascolto. E ne nascerà una bella amicizia".


6. No rimproverarlo, sì incoraggiarlo
Non lo rimproveriamo se agli inizi non ha voglia di andare a giocare con i compagni. Se fa qualche tentativo e riesce male, incoraggiamolo a riprovarci, mettendo in evidenza che non vuol dire che lui ha sbagliato qualcosa o che lui è sbagliato, ma che magari l’amichetto era distratto o preso da qualche altro gioco. E sottolineiamo con commenti positivi ogni piccolo progresso verso l’apertura agli altri. Perché è un traguardo che, prima o poi, anche lui raggiungerà.

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