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Invalsi, a cosa servono davvero?

di Valentina Murelli - 18.03.2019 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Invalsi: sono davvero utili? Perché sono tanti criticati? Abbiamo provato a chiedere informazioni più chiare su questi famigerati test a uno che di Invalsi se ne intende, perché è tra gli estensori delle prove Invalsi di matematica: Giorgio Bolondi.

Chi ha paura dell'Invalsi? A cosa servono esattamente questi test scolastici tanto discussi?

Barbara: che ansia, l'Invalsi! E poi che senso ha farlo in seconda elementare? È troppo presto!

Carmen: i test Invalsi non servono a nulla. Non servono a valutare il percorso di un bambino e tanto meno il lavoro degli insegnanti.

Federico: io invece penso che una valutazione esterna di come va la scuola serva eccome. Altrimenti chi ci dice come stanno davvero le cose?

Se c'è una parola che è in grado di mettere d'accordo genitori e insegnanti – o almeno molti degli uni e degli altri – questa è Invalsi. Basta accennarla per scatenare un coro di polemiche. Niente a scuola è più demonizzato, criticato, osteggiato dei famigerati test Invalsi. Ma davvero queste prove sono il male assoluto? Davvero nella migliore delle ipotesi non servono a nulla, e nella peggiore diventano strumento di mortificazione per alunni e docenti? Abbiamo provato a calarci nella fossa dei leoni e a chiederlo a uno che di Invalsi se ne intende, perché è tra gli estensori delle prove Invalsi di matematica: Giorgio Bolondi, docente di didattica della matematica alla libera Università di Bolzano e, appunto, collaboratore Invalsi.

Insomma professore, perché tutto questo astio contro l'Invalsi?

Per tanti motivi. Per esempio perché in Italia non c'è mai stata una tradizione di valutazione esterna della scuola, che gode da tempo di una grande autonomia. E perché in generale da noi c'è una forte resistenza al concetto di valutazione, che viene vissuta sempre come un giudizio generale e globale sulla persona, non come la restituzione su una specifica competenza, in uno specifico momento. Vale quando i valutati sono gli alunni (se diamo un cinque in matematica a un ragazzino i genitori spesso lo prendono come un giudizio sulla persona o addirittura sul ruolo della famiglia!) e con l'Invalsi vale ovviamente anche per gli insegnanti. In più c'è il fatto che la valutazione è senza dubbio qualcosa di critico e delicato: toccare la valutazione significa toccare la carne viva della scuola, accedere al cuore della didattica, alle convinzioni e agli atteggiamenti che si possono avere su una disciplina o sul modo di insegnarla.

All'estero invece come viene vissuta la valutazione esterna?

Gli stranieri rimangono sempre molto colpiti da due aspetti del nostro sistema scolastico: la mancanza di una formazione pre-servizio degli insegnanti e le polemiche rispetto all'Invalsi, perché ovunque è considerato normale avere un sistema di valutazione nazionale degli apprendimenti. In alcuni casi (penso alla Norvegia, agli Stati Uniti) queste prove determinano il voto finale del percorso di studi: sono i sistemi nei quali è più elevato il rischio di orientare tutto il percorso didattico al superamento dell'esame e si può discutere se sia opportuno o meno. Da noi comunque non è così.

Ma a che cosa servono, dunque, questi benedetti test?

Ci danno un'informazione in più rispetto a quella che può dare il singolo insegnante con la sua valutazione, un'informazione oggettiva su alcune competenze, che rappresenta un parametro di riferimento utile per fare confronti. Questa informazione può servire a molti livelli: ai decisori politici, che scoprendo eventuali differenze a livello regionale possono decidere dove intervenire per migliorare l'efficacia degli insegnamenti. Ma anche ai ragazzi (e alle famiglie), che hanno un'indicazione in più sulle loro competenze.

Ma non basta la valutazione degli insegnanti per dare questa indicazione ai ragazzi?

Cerchiamo di fare chiarezza. Nessuno mette in dubbio il valore e l'importanza della valutazione fatta dai docenti. È una valutazione fondamentale, che tiene conto del percorso fatto, di come sono cambiate le cose nel tempo, del fatto che magari un bambino è stato malato a lungo, o che i suoi genitori si sono separati. È giustissimo avere questa valutazione, che però è molto legata al contesto e agli individui: secondo quanto ci dice la letteratura scientifica sull'argomento è infatti una valutazione che risente anche di componenti emotive, convinzioni, stereotipi, percezioni generali sulle attitudini e l'impegno degli studenti e così via. Tanto che se un ragazzino cambia sezione nella stessa scuola, i suoi voti nelle varie discipline tendono a cambiare.

Ma è giusto anche avere una valutazione esterna e oggettiva, che dica esattamente come si pone quello studente rispetto a quella particolare competenza. Questo può essere utile in un'ottica di orientamento, per capire se si è davvero attrezzati per fare il liceo classico, o ingegneria al politecnico. Sa quanti ragazzi crollano al primo anno di università perché magari avevano un ottimo voto in matematica, si sono iscritti a ingegneria e poi non sono riusciti a passare neanche un esame? Magari disporre anche di quella valutazione nazionale avrebbe acceso un campanello d'allarme: non per farli desistere dal loro sogno, ma per aiutarli a capire, con l'aiuto dell'insegnante, come migliorare le cose.

Questa informazione in più che arriva dall'Invalsi può servire anche ai docenti?

Certamente, sia perché le prove aiutano a esemplificare quanto è richiesto dalle indicazioni nazionali per il curricolo, sia perché la valutazione esterna e il confronto aiutano meglio a capire punti di forza e di eventuale debolezza del proprio modo di insegnare. Una volta ho incontrato due insegnanti di una stessa scuola primaria le cui classi avevano avuto ottimi esiti nelle prove Invalsi di matematica. Analizzando il dettaglio delle prove, però, si era visto che la classe di un'insegnante era andata molto bene nei test sui numeri e meno bene in quelli di geometria, mentre nell'altra classe era accaduto il contrario. Ecco, per quelle insegnanti vedere nero su bianco questo stato di cose è stato il primo passo per interrogarsi su ciò che poteva aver determinato quelle differenze: libri di testo diversi (magari uno più forte sui numeri e debole in geometria o viceversa)? Una diversa efficacia delle attività proposte sui diversi ambiti?

Ok: dunque Invalsi come strumenti di crescita professionale. Ma anche per gli insegnanti il rischio di venire giudicati negativamente se l'esito delle prove non è buono c'è...

Sì, il rischio di un uso distorto e sbagliato di questo strumento c'è, come per tutti gli strumenti di questo mondo.

Facciamo un gioco. Io le propongo alcune delle obiezioni più comuni che si fanno alle prove Invalsi e lei prova a ribattere. Primo: certifica solo alcune competenze molto specifiche, legate solo a tre discipline (italiano, matematica e inglese).

Qualunque prova di valutazione valuta solo ed esclusivamente quello che è contenuto in quella prova di valutazione. Non si può accusare una gara sui 100 metri di non valutare la capacità, per dire, di collaborazione con i pari: è una gara sui 100 metri e misura la velocità con la quale si corrono i 100 metri. Che è un'informazione che può essere molto utile in alcuni contesti e rispetto ad alcuni obiettivi, meno in altri, ma è pur sempre un'informazione. A me pare assurdo decidere a priori di non volerla avere.

Seconda obiezione: per come è strutturato, il test Invalsi valuta una scuola “antica”, in cui trovano poco spazio strategie didattiche oggi considerate più efficaci, come la sperimentazione e la collaborazione tra pari.

Verissimo, ma è la scuola che è ancora fatta così. Perché: quando si dà una versione di latino come compito in classe si lascia che i ragazzi si confrontino tra loro o che vadano a consultare delle fonti online? Il fatto è che, come dicevamo all'inizio, ragionare sulla valutazione ci mostra tutte le criticità del sistema, e questo non ci piace. Ma se il sistema non è quello che vorremmo, la colpa non è della strategia di valutazione applicata. In ogni caso, anche se tutti ci augurassimo una scuola diversa ci sarà sempre un momento in cui dovremo andare a vedere se i ragazzi hanno portato a casa quelle competenze che dovevano portare a casa. I test Invalsi sono semplicemente uno strumento che permette di raccogliere qualche elemento in questo senso.

Per finire: c'è chi ritiene che con i test, e con i questionari di contesto che li accompagnano, si raccolgano dati sensibili sui singoli alunni e le loro famiglie...

Questa mi sembra l'obiezione più pretestuosa. Intanto perché il livello di privacy sui test e i questionari è elevatissimo (nessuno, nemmeno gli uffici scolastici regionali e neppure il ministro stesso, può vedere il risultato del singolo bambino o del singolo insegnante perché i dati sono sempre aggregati). Ma soprattutto: è possibile che ci preoccupiamo dei dati sensibili solo rispetto all'Invalsi, e non quando postiamo tranquillamente i dettagli della nostra vita sui social, o quando navighiamo in rete?

(Articolo pubblicato a marzo 2019 sulla rivista per insegnanti Focus Scuola)

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