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Papà, regalate il vostro tempo ai figli

di Nostrofiglio Redazione - 19.03.2012 - Scrivici

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Al telefono con... Stefano Zecchi, veneziano, 67 anni, vive a Milano con sua moglie Sarah, professoressa alle medie, suo figlio Federico, 8 anni, terza elementare, e un gatto. Zecchi è romanziere, saggista, editorialista e docente di estetica all'Università degli Studi di Milano. Ha appena pubblicato per Mondadori "Dopo l'infinito cosa c'è, papà? Fare il padre navigando a vista"

Tempo, tempo, tempo. I vostri figli sono affamati del vostro tempo. Regalateglielo e insegnateli il bello e il buono della vita.

Dalla prefazione di “Dopo l’infinito cosa c’è, papà? Fare il padre navigando a vista" (Mondadori, 17 euro)

«Racconto le mie esperienze di giovane padre che ha un po' di anni in più della media dei padri giovani. Descrivo ciò che vedo intorno a me: mamme e papà indaffarati intorno ai loro figli, o indifferenti, assenti. Famiglie che si uniscono con grandi progetti di vita e che si sgretolano per il più infantile egoismo. Se queste pagine avranno raggiunto un obiettivo, dimostreranno l'avventura di un padre che cresce, vedendo crescere il suo bambino, e che non rinuncia a puntare il dito contro la nostra cultura quando crede di potersi sbarazzare della figura paterna o di umiliarla, ritenendola inutile e talvolta, perfino, dannosa per l'educazione dei figli».

Buongiorno professore, pronto per parlare del suo libro?

Sì, certo. Stamattina ho accompagnato mio figlio, prima dal medico e poi a scuola.

Nel libro non c'è il nome di suo figlio, volutamente immagino.

Non volevo personalizzarlo. Si chiama Federico, ora ha 8 anni, e fa la terza elementare. Ma nel libro descrivo il mondo della prima infanzia, dell'asilo... Ora ormai Federico ha preso, come dire, l'avvio...

Lo accompagna sempre lei a scuola al mattino?

No, mi alterno con mia moglie.

E quando esce da scuola nel pomeriggio, chi lo va a prendere, la babysitter?

No adesso non c'è più; l'abbiamo avuta quando era più piccolo e andava all'asilo perché coi nonni siamo messi malino: è rimasta solo la mamma di mia moglie.

Professore, non si dice asilo ma scuola materna...

No guardi, si dice scuola dell'infanzia.

Ah sì?

Sì, ma tutti mi correggono come ha fatto lei. Allora io rispondo sempre: scusi, perché non scuola paterna? È il risultato della “mammizzazione” della nostra società. L'asilo è un gineceo, l'uomo è visto con sospetto. Sa che all'inserimento, poiché ero l'unico padre, le maestre erano molto diffidenti?

Non sta esagerando? Mi spieghi...

Mi chiedevano: “Ma lei conosce il bambino? Sa calmarlo se piange? E sa quando ha mangiato abbastanza, se ha ancora fame, se ha mal di pancia?".

E lei, lo sapeva?

Certo che lo sapevo. Ma ho dovuto convincerle. Non penso che le maestre mi abbiano creduto.

Dicevamo... chi va a prenderlo a scuola?

Oggi io, ma domani sono fuori Milano per lavoro e quindi andrà mia moglie.

Dedica molto tempo a suo figlio, quindi.

Sì, cerco di dargli tutto il tempo che posso.

Mio figlio è affamato del mio tempo. E non credo che lui sia un'eccezione.

I padri di oggi non hanno molto tempo.

Lo so che per i padri di oggi è più difficile perché la vita è frenetica ma bisogna fermarsi lo stesso: tempo, tempo, tempo. Un figlio è una cosa importante e bisognerebbe trovarlo.

È questo il consiglio che dà ai padri di oggi?

Non mi permetto di dare consigli, ma di raccontare la mia esperienza. Da tanti anni di insegnamento, è nata la mia riflessione. Vedendo dei ragazzi così fragili e disarmati di fronte al minimo insuccesso, mi sono fatto l'idea che sia mancata loro la figura paterna che in genere è quella che dà un senso di realtà, un rapporto con il mondo esterno. Il padre, di solito, mette il figlio “dentro la vita”.

Nella foto di copertina del libro è lei che corre in moto con suo papà?

Sì, con mio padre Sergio: bella la foto vero?

Molto. Adesso tocca a lei andare in moto con suo figlio.

Diciamo che lo porto molto in giro con me, lo porto al parco, a giocare, lo accompagno dagli amici.

Suo figlio è nato quando lei aveva...

Avevo 59 anni. Molti di più della media dei padri giovani. Io sono un giovane padre.

Come mai si è deciso così tardi?

Lavoravo, andavo in giro per il mondo, non avevo trovato la compagna giusta, non avevo il tempo. Tanti motivi...

Ora invece ha più tempo?

Sì perché tolgo del tempo agli amici, ai colleghi...

Cosa ha preso da lei suo figlio?

Mah... lascerei perdere questa domanda per evitare discussioni con mia moglie.

Su, lo dica...

Lui è contento quando gli dicono che ha il mio carattere. Però anche quando gli dicono che assomiglia alla mamma.

La verità è che Federico è un conservatore, gli piace la famiglia. Per lui la casa è la famiglia. Sua mamma, sua papà e il gatto.

Fare il padre navigando a vista, è il sottotitolo del suo libro.

Sì, la mia idea è che il padre di oggi ha perso il suo ruolo “guida”. In parole povere, come dire che siamo passati dal padre padrone al padre co....

Sarebbero quelli che lei descrive, con molto ironia, il padre “mammo” o il padre “distratto”.

Sì, il papà, oggi, finisce per fare il valletto della mamma che spingendo il carrello del supermercato sogna l'ufficio, oppure il fuggiasco che se la dà a gambe perché tanto fa tutto la mamma. Sono i padri che non riescono a cogliere il proprio ruolo. Il papà di oggi si deve inventare perché non ha più modelli. Per fortuna non ha più il modello del padre padrone, però non è facile. Dipende anche dalla mamma, che spesso oggi tende a surrogare le funzioni paterne...

Mi spieghi meglio...

Dipende dalla mamma, che ha il ruolo di perfetta organizzatrice della giornata, e pensa alla “sopravvivenza” del vivere quotidiano, se il papà ha lo spazio di fare il papà. La mamma, però, se ne deve accorgere da sola e lasciare che il padre faccia il padre. Anche per il bene di quella relazione semplice e complessa che oggi si chiama famiglia. Non è un caso che oggi le famiglie saltino.

Il titolo, “Dopo l'infinito cosa c'è papà?”: una domanda vera di suo figlio?

Sì, lui ha il gusto di queste provocazione. E questa domanda mi piaceva molto perché è l'occasione per spiegare ai figli che oltre al piccolo io che siamo noi, c'è un mondo; il bambino aveva il desiderio di capire cosa c'era oltre il proprio corpo, il proprio mondo.

Cosa le ha riposto?

Gli ho risposto attraverso l'educazione estetica: io la insegno e mi muovo bene in questo campo, ma ogni papà ha le sue “armi”.

Cosa significa, in parole povere?

L'educazione estetica è guardare le cose e cogliere le differenze. Il bello e il brutto, il buono e il cattivo. Capire che ciò che è bello è buono, i greci dicevano “kalos kagathos”. Io cercavo di dargli delle spiegazioni non astratte, ma lo guidavo a osservarsi intorno per capire la potenza della bellezza delle cose.

Per esempio?

Quando Federico era piccolo facevo degli esperimenti. Aveva solo un anno e gli mostravo tre palline: una perfetta, di gomma, una fatta da me con la colla con della carta ruvida, e una assolutamente informe. Lui era felice di afferrare la prima, quella bella.

E quando è diventato più grande?

Gli spiego come è importante osservare le belle opere dell'uomo, oppure il mondo naturale: cogliere le differenze in un paesaggio di montagna, apprezzare una costa incontaminata, amare tutti gli animali. Gli insegno ad amare e rispettare la natura perché significa amare e non temere le differenze. Fin da piccolo gli ho fatto tenere in mano un ranocchio o una cavalletta. Così ora non li teme.

Suo figlio riesce mai metterla in difficoltà?

Sì, quando lo sgrido e lui piange. La mamma lo sgrida cento volte al giorno e io una ogni tre mesi. Ma quando lo sgrida lei niente, mentre quando lo sgrido io succede il finimondo.

Federico tifa Milan con lei...

Questo è stato il mio vero problema: assicurarsi di non avere un nemico in casa.

E quindi, come ha fatto?

Due anni fa il Milan perdeva e lui mi diceva: “papà perché siamo milanisti? Cambiamo squadra?”. E io mi sono buttato sull'educazione estetica.

Gli facevo osservare che il Milan aveva un gioco armonioso, sottolineavo la destrezza di un gol di Ibrahimovic... Il Milan, insomma, era bello e quindi buono.

Alla fine, chi è il papà?

Quella persona che ha sempre giocato con te, nonostante il tempo che passa e che i giochi cambino.

Autore: Fabrizia Sacchetti

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