Fannulloni, casinisti, pigri, iperattivi, geni, somari, introversi, chiacchieroni e così via. Le etichette sono parte integrante della vita di tutti i giorni, a scuola come a casa. Alzi la mano chi, da genitore, non ha mai ceduto alla tentazione di classificare in qualche modo il proprio figlio.
Rita: "Primo mese di prima elementare, mia figlia già “cestinata” come indisciplinata. Ma basta: sono bambini appena usciti dall'asilo!"
Paolo: "Dopo poche settimane di prima media mio figlio era già sotto accusa come ragazzino pigro e svogliato, senza che nessuno si chiedesse cosa possa esserci dietro il suo comportamento".
Antonella: "Spesso gli insegnanti mettono etichette, ma anche i familiari lo fanno! Parlano di iperattività a sproposito, ma è un disturbo che deve essere diagnosticato da un medico".
Sofia: "Grazie alla sua etichetta mia figlia è rinata. Siamo partiti da lì per una valutazione che ci ha permesso di capire le sue difficoltà e di muoverci di conseguenza, a casa e a scuola. Oggi fa cose che due anni fa erano impensabili".
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Non è detto che le etichette siano sempre un male. Come ha ricordato Vicky Plows, ricercatrice della Victoria University di Melbourne, in un articolo sul sito “The Conversation”, quando si parte da lì per arrivare alla diagnosi di un disturbo di comportamento o di apprendimento questo può avere molti risvolti positivi. Per esempio, apre la strada alla disponibilità di risorse extra per gli studenti e gli insegnanti, attenua il senso di colpa di mamme e papà, promuove l'attenzione dei docenti, favorisce il lavoro di gruppo per bambini con esperienze simili.
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Etichette ai bambini: arma a doppio taglio
Ma attenzione, sottolinea Plows: le etichette possono anche essere un'arma a doppio taglio. Possono ingabbiare il bambino, diventando a lungo andare un ostacolo all'apprendimento, marchiarlo in senso negativo, caricarlo di aspettative troppo elevate. O ancora, diventare profezie che si autoavverano (“se non sono portato per la matematica, non ci provo neppure”) o trasformare in disturbo o malattia manifestazioni tutto sommato normali della variabilità nell'apprendimento. In un post sul blog "Education week”, l'educatore statunitense Peter DeWitt ricorda che c'è una forte pressione sugli insegnanti perché completino in tempo il curriculum, senza tener conto del fatto che non tutti gli studenti imparano allo stesso modo e con gli stessi tempi. Così, quando un ragazzo o una ragazza rimangono un po' indietro, ecco subito pronta l'etichetta di studente “in difficoltà”.
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Che fare, allora?
Eliminare del tutto questi giudizi sarebbe impossibile e controproducente, come gettare il bambino con l'acqua sporca. Sempre su “Education Week” un altro esperto di educazione, Thomas Guskey, suggerisce due strategie per ridurre il rischio di “effetti collaterali” dannosi.
Primo: assicurarsi di usare le etichette come descrizione di situazioni temporanee e non di condizioni permanenti. D'altra parte conoscenze, abilità e atteggiamenti variano in continuazione, giorno dopo giorno: vale per tutti, perché non dovrebbe valere per i bambini?
Secondo, considerarle sempre legate a specifici obiettivi di apprendimento e non allo studente nella sua totalità. Un bambino pigro, svogliato o in difficoltà in alcuni ambiti potrebbe essere molto dotato in altri, e bisognerebbe concentrarsi anche su questi e non solo sui primi. “D'altra parte – ricorda Guskey - siamo tutti ignoranti, solo che lo siamo in ambiti differenti".
(Articolo pubblicato a dicembre 2018 sulla rivista per insegnanti Focus Scuola)
Che cosa è Focus Scuola
Focus Scuola è la rivista rivolta ai docenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado.
Disponibile solo su abbonamento, costa 69 euro (abbonamento annuale, 10 numeri) o 99 euro (abbonamento due anni, 20 numeri).
Revisionato da Valentina Murelli