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Perché è importante ricordare la Giornata della Memoria con bambini e ragazzi

di Elena Cioppi - 26.01.2021 - Scrivici

auschwitz
Fonte: Shutterstock
Perché è importante ricordare la Giornata della Memoria che ricorre il 27 gennaio di ogni anno per ricordare le vittime della Shoah con i ragazzi?

In questo articolo

Perché è importante ricordare la Giornata della Memoria

Parlare di Shoah oggi vuol dire soprattutto raccontare memorie, tenerle in vita, non dimenticarle mai. Non è un caso che la Giornata della Memoria, che ricorre ogni anno il 27 gennaio, abbia come cuore pulsante proprio il ricordo di chi ha vissuto l'orrore dell'Olocausto, in una serie di testimonianze che servono a raccontare alle generazioni più giovani cosa ha rappresentato la Shoah per il nostro secolo e quale macchia indelebile abbia lasciato su chi è venuto dopo. Film e libri per ragazzi hanno cercato di spiegare, in parole comprensibili e delicate, la morte di milioni di ebrei nei campi di concentramento: c'è chi ci ha provato tramutando il racconto in una sorta di fiaba a occhi aperti (come ne La vita è bella del nostrano Roberto Benigni) e chi, invece, di quell'ecatombe ha raccontato l'orrore sia dal punto di vista storico che visivo (è il caso di Schindler's List).

Ma perché è importante ricordare la Giornata della Memoria, soprattutto con i ragazzi? Qual è il suo valore e il suo significato oggi alla luce dei cambiamenti sociali ed economici e cosa può dare alle nuove generazioni la consapevolezza di conoscere a fondo e con le giuste parole quelle pagine di Storia che hanno cambiato il mondo?

Perché ricordare la Giornata della Memoria con i ragazzi

Spesso quando si parla di Shoah si usa - a ragione - il termine orrore. E i racconti dei sopravvissuti, di chi dai campi di concentramento come Auschwitz è riuscito a uscire vivo, non hanno mai edulcorato la verità. Parlare di Olocausto vuol dire anche e soprattutto parlare di morte. Ma non solo: anche di speranza. Di solidarietà e di supporto reciproco. Di piccole comunità che si formavano nelle stanze dei campi di concentramento voluti da Hitler per epurare il mondo dalla razza corrotta e far emergere solo quella ariana.

Parlare di Shoah vuol dire ripercorrere le storie di chi ha portato fino a noi ciò che è stato: dai 6 anni in poi il racconto della Giornata della Memoria può partire tra i banchi sui libri e poi snodarsi fino a casa, in un dibattito che genitori, bambini e ragazzi possono e devono alimentare. Perché è vero che parole come morte, orrore, paura, odio razziale sono i cardini di questo pezzo terribile di Storia ma non sono solo questi i valori che si possono trarre da un giorno importante come il 27 gennaio.

Shoah vuol dire parlare di speranza

La speranza di chi non ha mai rinunciato a credere che ce l'avrebbe fatta nonostante ciò che vedeva intorno. I racconti dei sopravvissuti come Liliana Segre, oggi Senatrice a Vita ma un tempo tredicenne in un campo di concentramento, puntano molto su questa parola. Nel suo caso, la paura di non riuscire a sopravvivere l'ha spinta, invece, a tramutarla in fantasia. Nei suoi racconti di quando era la Matricola 75190 di Auschwitz si legge, tra le righe, una grande speranza.

Avevo scelto, quasi in modo automatico, bestiale, irrazionale, infantile – in fondo ero ancora una bambina – e nello stesso tempo in modo maturo, vecchio, ottuagenario – in fondo ormai tale ero diventata – avevo scelto di non essere lì, perché era la realtà intorno a me che era inaccettabile. Avendo scelto la vita – ho sempre scelto la vita e anche adesso che sono vecchia scelgo la vita. Non potevo accettare la morte intorno a me e quindi avevo scelto di non vedere. Avevo scelto di essere una stellina.

Shoah vuol dire vita

Sempre dal racconto di Liliana Segre, viene fuori un'altra parola importante da collegare alla Shoah: vita.

Cominciò questa vita di prigioniera e schiava. Mi ricordo come piangevamo tutte nei primi giorni, ma scegliemmo la vita. Scegliemmo la vita immediatamente, scegliemmo la vita, volevamo vivere, capimmo che dovevamo mettere al bando nostalgie e ricordi, capimmo che, se volevamo vivere, dovevamo non ricordare, perché il presente, in quel momento, era assolutamente tragico e dolcissimo il passato per ognuna di noi, e non avremmo potuto sopportare quel presente ricordando il passato. Se volevamo scegliere la vita dovevamo proibirci ogni ricordo del passato, dovevamo mettere tutto il nostro impegno e le nostre forze per sopportare quella realtà in quel luogo dove eravamo arrivate per la sola colpa di esser nate.

Shoah vuol dire farsi domande

Ci sono molte ricorrenze che puntano sulla solidarietà e sulla pace, ma sono poche quelle potenti come la Giornata della Memoria per parlare di uguaglianza, di fratellanza, di non discriminazione. Il piano di Hitler e dei suoi seguaci, l'intero apparato nazista, si fondava sull'odio cieco, che non si poneva domande. Era pura esecuzione di ordini senza senso, che pure venivano portati a termine con orgoglio e alla parfezione. Ai ragazzi oggi è invece fondamentale dire che porsi domande - farne e farsene tante, così da arrivare poi anche a quelle giuste, provando e sbagliando - è la base pr sviluppare una coscienza critica, uno sguardo sul mondo che non sia solo assoggettato a quello che vogliono gli altri. Genitori compresi. Parlare del nazismo e di quello che ha provocato vuol dire anche questo: cercare la propria individualità vuol dire non focalizzarsi su un solo punto di vista, ma ampliarlo. Da questo si generano un fiume di valori importanti come la tolleranza, che non deve essere mai dimenticato per poter vivere in equilibrio con se stesso e con gli altri.

Il podcast con la Filastrocca per il Giorno della Memoria

Qui potete ascoltare e far ascoltare a bambini e ragazzi il podcast con una filastrocca di Mimmo Mòllica dedicata proprio al Giorno della Memoria

Fonti per l'articolo: Memoranda. Strumenti per la giornata della memoria, a cura di D. Novara, edizioni la meridiana, Molfetta, 2003. Titolo originale: "Matricola 75190 di Auschwitz"

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