Hikikomori
Un fenomeno che riguarda il mondo degli adolescenti e dei giovani adulti è stato recentemente portato all'attenzione delle cronache: è quello che riguarda gli "hikikomori".
Chi sono gli hikikomori e che cosa significa il termine hikikomori?
"Hikikomori" è un termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte" ed è adoperato per riferirsi ai più giovani che decidono di isolarsi dalla società, vivendo nella solitudine della propria stanza.
Questo fenomeno, dal momento che riguarda persone ritirate o disinteressate a interagire con gli altri, tende a rimanere invisibile al mondo esterno ed è ancora poco noto, nonostante la sua ampia diffusione. Abbiamo chiesto a Elena Carolei, presidente dell'associazione "Hikikomori Italia Gruppo Genitori", di parlarci in maniera più approfondita di questo fenomeno recente. L'associazione gestisce anche la pagina Facebook "Hikikomori Italia".
Hikikomori, chi sono
Gli hikikomori sono persone, normalmente giovani, che, a causa della sofferenza provata nelle relazioni sociali, decidono di chiudersi in casa, spesso senza uscire nemmeno dalla propria stanza, e evitando i rapporti con i coetanei, le persone in genere e spesso anche con i familiari.
«Inizialmente il disagio si manifesta saltuariamente, con assenze sporadiche da scuola, o con il rifiuto di partecipare ad alcune situazioni sociali (feste, incontri, gite, ecc.), poi il ritiro diventa sempre più profondo e investe tutti gli aspetti della vita del ragazzo. I ragazzi ritirati nelle loro stanze trascorrono il loro tempo dedicandosi a un passatempo, che può essere la navigazione in Internet, un videogioco, la lettura, il disegno, la musica. L’isolamento può durare mesi o anni e non si risolve quasi mai spontaneamente».
I dati del fenomeno "Hikikomori" in Italia
Non ci sono rilevazioni ufficiali sull'incidenza del fenomeno, ma ci sono proiezioni che fanno pensare a 100.000 casi in Italia. All'interno della associazione "Hikikomori Italia Genitori", che nasce da una community che coinvolge 2000 famiglie, è stata svolta una indagine su circa 300 genitori, riportata nel dettaglio nel libro di Marco Crepaldi che si chiama Hikikomori: i giovani che non escono di casa (Alpes Italia Casa Editrice).
«Questa rilevazione ha intercettato casi in tutte le zone di Italia, ha rilevato che l'età di insorgenza è tipicamente attorno ai 15 anni, e che il ritiro può anche essere molto duraturo: ben il 41,7% degli intervistati ha dichiarato che il proprio figlio è in ritiro da un periodo che varia dai 3 ai 10 anni.
Questo ci indica la necessità di un intervento istituzionale importante».
Come nasce questo disagio nell’adolescente?
«Ci troviamo in una società in cui si tende a semplificare e a voler attribuire il ritiro sociale a pigrizia, a malattia, o ai videogiochi. Sono tutti pregiudizi gravissimi che producono interventi sbagliati e addirittura l’aggravamento del problema. Dalle osservazioni che abbiamo potuto fare sulle famiglie della associazione abbiamo riscontrato che si tratta di invece di un fenomeno multifattoriale, che nasce da una combinazione di fattori individuali, familiari e sociali».
«Per quanto riguarda i fattori individuali notiamo che i ragazzi e le ragazze hikikomori sono prevalentemente introversi, sensibili e dotati di una intelligenza molto arguta. I loro genitori, anche incoraggiati dalle attitudini mostrate dal figlio, sono generalmente esigenti e esercitano alte aspettative di performance. Il mondo esterno è invece permeato da valori narcisistici crescenti, che richiedono ai giovani di essere belli, brillanti, simpatici e ammirati dai coetanei».
«Spesso, in questa miscela di componenti, un fattore doloroso scatenante, ad esempio un episodio di bullismo, una malattia, una separazione o un lutto, pone il ragazzo in difficoltà: rispondere a tutte le richieste provenienti dalla famiglia e dal mondo esterno diventa troppo difficile, e così il ragazzo decide con amarezza di ritirarsi dallo stress della lotta e dalla competizione, chiudendosi nella solitudine».
Tecnologia e isolamento. Fino a che punto permettere ai ragazzi l’uso dei device digitali?
«L’isolamento nasce dalla paura del rapporto con gli altri, e non dall’uso di internet. Hikikomori e dipendenza da Internet sono due condizioni diverse. Per capire se il proprio figlio è un hikikomori o un ragazzo dipendente da internet bisogna analizzare il suo rapporto con gli altri. Se, pur trascorrendo molte ore al pc o sul telefono, il ragazzo ha un sereno rapporto con gli altri, esce e socializza, non è un hikikomori: l’hikikomori invece si sottrae alle relazioni, soprattutto con i coetanei».
«Per quanto riguarda i ragazzi isolati, Internet è una salvezza per lo spirito e per la mente, in quanto permette di proseguire la crescita personale e lo studio, ma soprattutto di intrattenere relazioni, nonostante la condizione di autoreclusione.
Quindi noi consigliamo ai genitori dei ragazzi ritirati di lasciare libero accesso all’uso di internet. Impedire l’uso di internet condannerebbe il ragazzo ad un isolamento ancora più severo».
Consigli per aiutare i genitori che hanno a che fare con figli “hikikomori”
Per poter aiutare un figlio "hikikomori" ci sono diverse indicazioni possibili.
- «Occorre mettersi nei panni del figlio e comprendere il suo profondo disagio e il grave dolore che gli deriva dal non riuscire a stare con gli altri. Spesso il ragazzo, sebbene soffra molto, non confida la sua pena, e dice che sta bene».
- «Poi bisogna smettere di sgridare vostro figlio per la sua condizione, smettere di punirlo, cogliere il suo malessere e avvicinarsi a lui: è un fondamentale passo per fargli chiedere aiuto». Questa è l'indicazione più importante e la più impegnativa perché chiede ai genitori di cambiare interiormente.
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Come lavora l'associazione "Hikikomori Italia Gruppo Genitori"?
L'associazione si basa su azioni di sostegno ai genitori. E' infatti fondamentale che i genitori comprendano il problema e che possano rendersi parte attiva del cambiamento dei loro figli. I genitori sono una grande risorsa perché sono spesso le uniche persone che hanno il privilegio di poter interagire con i ragazzi e quindi è molto importante che si dotino di strumenti di intervento utili.
«Pertanto i genitori che arrivano a noi vengono accolti e orientati da altri genitori "esperti", e invitati a partecipare ai nostri gruppi di auto mutuo aiuto. Questi gruppi di genitori, che oggi sono 60 in Italia, si incontrano mensilmente, in presenza di uno psicologo dell'associazione, si scambiano consigli e organizzano iniziative di raccordo con le istituzioni locali. Questi gruppi di incontro sono anche efficaci: in questi anni abbiamo riscontrato che, con applicazione di buone prassi e con la frequenza dei gruppi, spesso i genitori ottengono un miglioramento della condizione dei figli, che si aprono e iniziano a relazionarsi prima con la famiglia e poi con l'esterno.
Inoltre l'associazione è in contatto con professionisti, scuole e enti. In particolare con la Regione Piemonte e con l'Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa che contiene indicazioni per le scuole, con l'intento di permettere anche ai ragazzi ritirati di proseguire lo studio, nonostante le difficoltà relazionali e le assenze. A seguito dell'uscita di questo importante documento, il MIUR ha coinvolto l'associazione anche in un tavolo tecnico a cui partecipiamo anche Marco Crepaldi ed io per la scrittura di linee guida per le scuole secondarie d'Italia» conclude l'esperta.