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E se i nativi digitali non esistessero? Risponde il pedagogista

di Rosy Maderloni - 25.07.2023 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
I nativi digitali non esistono: il pedagogista Cosimo Di Bari fornisce alcuni consigli su come avvicinare i bambini alla tecnologia sfatando qualche mito.

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I nativi digitali non esistono?

Scaricano in solitaria i giochi online preferiti, guardano (e riguardano, e riguardano…) video in rete dal cellulare di mamma e papà senza alcun bisogno di aiuto. Sono bambini piccoli, anzi, piccolissimi che, avvezzi all'uso delle tecnologie, tendiamo a identificare con orgoglio con l'appellativo, meno giovane, di "nativi digitali". Ma se la definizione coniata nel 2001 dallo scrittore Mark Prensky assumeva che il cervello dei soggetti nati e cresciuti in un ambiente digitale 'evolvesse' proprio in virtù del contatto con tablet, pc, cellulari, il confronto tra gli esperti ha rimesso (da tempo) tutto in discussione eppur non rinunciamo a questa definizione. Come mai? Il ricercatore di pedagogia Cosimo Di Bari, autore del libro pubblicato con Uppa "I nativi digitali non esistono. Educare a un uso consapevole, creativo e responsabile dei media digitali" riflette alla luce delle evidenze oggi a disposizione e propone  ai genitori consigli per godere delle tecnologie con prudenza e fiducia.

Nativi digitali, immigrati digitali e saggezza digitale

"Prensky diceva nel suo celebre articolo che la tecnologia cambierebbe il cervello delle giovani generazioni - premette Di Bari -. Le neuroscienze hanno dimostrato come questo non accada e occorre dunque fare chiarezza su un fraintendimento di fondo: utilizzare le tecnologie a partire da un'attitudine non significa possederne le competenze. Questo vale tanto più nell'infanzia. Se quell'articolo sosteneva che attraverso la tecnologia si acquisisse competenza, oggi dobbiamo ritenere questa etichetta rischiosa perché fuorviante: un genitore può considerare il proprio bimbo "capace" a partire dal fatto che sappia muovere il suo dito su un touch screen, tecnologia che non esisteva nel 2001, perché abituato, ma non perché in grado di fare un ragionamento intorno a quel processo. Lo stesso autore ha ritenuto opportuno rivedere quella distinzione che contrapponeva nativi digitali a immigrati digitali, ossia coloro che sono nati prima del 1985 e quindi hanno avuto accesso al 'linguaggio digitale' più in là negli anni, per giungere qualche anno dopo a parlare di saggezza digitale, riferendosi all'aiuto della tecnologia per l'accesso alla conoscenza.

Nello specifico: saper scattare una foto con un dispositivo smart o far partire un video non è una competenza quanto piuttosto una confidenza con l'apparecchio tecnologico. La confidenza si basa sull'intuizione mentre la competenza sul ragionamento".

Che rapporto hanno i bambini con le tecnologie digitali?

"Sicuramente c'è un rapporto di forte attrazione e di capacità di interagire attivamente basandosi sull'intuito e tramite il tocco della mano - risponde il pedagogista -. Le tecnologie touch screen erano nate con l'intento di essere utilizzabili da tutti, bambini e anziani: la differenza che fa ritenere che i più giovani siano più portati al loro utilizzo è data dal tempo con il quale si cimentano. I ragazzi trascorrono molte ore davanti a questi Device e questo consente loro di comprendere come funzionano questi sistemi più velocemente, seppur spesso si tratti di una conoscenza superficiale dell'utilizzo. Perché questo sapere sia trasformato in competenza occorre conoscere limiti e opportunità: parlare di "nativi" digitali è affascinante, ma rischioso: diamo così, infatti, potere ai più piccoli che non agli adulti". 

Quando un bambino (e a che età) può essere definito "tecnologicamente competente"?

La competenza digitale rientra nelle 8 competenze chiave che il Parlamento europeo ha individuato come "necessarie per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l'inclusione sociale e l'occupazione". Esiste un'età specifica a partire da quando è possibile definire una persona "tecnologicamente competente? "Questo processo non si colloca in una età precisa e sarà costruito gradualmente attraverso forme di utilizzo che portino in modo sempre più sofisticato a sapersi muovere tra possibilità e rischi nell'uso - chiarisce l'autore di Uppa -. Porsi il problema quando il bambino riceve il suo primo smartphone è tardi: la sfida è di cercare presto a muovere la costruzione della sua competenza, a 3 anni ma, quando possibile, anche prima. Nei progetti che abbiamo avviato anche all'asilo nido, oltre che nelle scuole dell'infanzia e nella primaria, cerchiamo di concentrarci sul modo in cui le tecnologie fanno parte della quotidianità e, quindi, su come le stiamo utilizzando.

Negarli precluderebbe costruire una competenza. L'adulto è importante in questo processo".

Cosa è la Media education?

"Nata negli '80 come approccio per promuovere usi consapevoli e critici degli strumenti di comunicazione (e in particolare della TV), la Media education è necessaria per preparare il cittadino all'uso dei media attraverso le principali agenzie educative, la scuola e la famiglia. Oggi si può, e forse si dovrebbe, portare questo approccio pedagogico anche prima dei 6 anni, proprio per dare a genitori e bambini gli strumenti per ragionare e farsi responsabili nell'uso dello strumento e riuscire ad autoregolarsi mentre lo si utilizza: con l'arrivo del primo smartphone il bambino è potenzialmente da solo con un mondo di fronte. Quali usi creativi potrebbe fare, in quali trappole, al contrario, potrebbe incappare, se non sa sfruttare le potenzialità e se non sa riconoscere l'attendibilità di ciò a cui attinge? Il parental control è uno strumento utile, ma non si dovrebbe usarlo come gabbia né come strumento di sorveglianza, piuttosto può essere utile se aiuta il ragazzo ad autoregolarsi. 

I bambini apprendono guardandoci

Quanto conta il nostro rapporto con la tecnologia rispetto a quello che i nostri bambini instaureranno?

"I bambini giocano imparando a imitare il comportamento dei grandi - chiarisce Di Bari -: in ogni nido c'è l'angolo del gioco simbolico con la cucina o l'ufficio. Le tecnologie piacciono ai bambini anche perché le vedono utilizzare da noi. Per esempio, il fatto che ci siano schermi in cucina lascia intendere loro che a tavola si può guardare la tv. Se il genitore ha continuamente in mano il cellulare, anche legittimamente per lavoro, diverrà normale anche per il bambino volerlo fare. Possiamo provare a controllare il nostro benessere digitale monitorando il tempo speso a guardare le mail, per la ricerca di intrattenimento, per la messaggistica istantanea.

Alcune regole dovrebbero essere condivise e soprattutto, non dovremmo mai utilizzare le tecnologie digitali come calmanti per i bambini né per intrattenerli e tenerli buoni mentre noi stiamo facendo altro".

Suggerimenti per un uso attento dei dispositivi tecnologici

In base alla fascia di età, si possono individuare alcune indicazioni generali; senza scendere nello specifico (come invece fa il libro 'I nativi digitali non esistono', nel quale si fa riferimento ad attività specifiche in base al tipo di contenuto mediatico), ecco alcuni suggerimenti:

  • Prima dalla nascita: se si è al primo figlio si può pensare di disporre la presenza dei dispositivi digitali in modo da non essere presenti in tutte le stanze o, comunque, nei luoghi preposti per altre attività (in cucina si mangia, in camera si dorme).
  • 0 - 18 mesi: è sconsigliata l'esposizione agli schermi anche se spesso non avviene ed è stata notata una tendenza ad allattare mentre si guarda lo smartphone: queste abitudini possono impoverire la relazione con il bambino.
  • a 18-24 mesi: contenere al massimo l'esposizione ai media; se si decide di far vedere lo schermo, è opportuno tenere sotto controllo i tempi: non più di 15 minuti consecutivi, valutare con attenzione i contenuti, fondamentale è non usarli per calmare il bambino o distrarlo mentre si fa altro, si creano abitudini difficili da sovvertire.
  • a 3 - 5 anni: sempre contenendo i tempi, 30 minuti sono consigliabili e incoraggiando l'utilizzo di schermi come possibilità di esplorazione e arricchimento accanto all'intuizione, si apprende per prova ed errore. Lo smartphone ci consente di provare e vedere cosa succede, scattando ad esempio qualche foto e riguardandola insieme. Il bambino ha così modo di riflettere sull'utilizzo.
  • a 6 - 9 anni: qui è possibile fare un'analisi dei contenuti esplorati, si può invitare il bambino a raccontare ciò che ha visto. Lo schermo dev'essere un pretesto per fare altro, per collegare creatività e narrazione. Il primo smartphone ormai arriva anche prima dei 9 anni. Facciamo sì che il bambino sia consapevole su cosa significhi andare sul web, capire cosa sia un social network a partire da quello dei genitori. Presentiamo una applicazione prima di lasciargliela utilizzare, cerchiamo di capire se è pronto per un utilizzo. In questa fascia di età è raro per esempio che si faccia educazione sessuale nella scuola, oppure si parla poco ai più piccoli della morte e del dolore: attraverso uno smartphone il bambino scopre senza mediazione questi mondi, mentre sarebbe meglio giungere insieme alle informazioni. Dovremmo essere presenti, senza essere invadenti, osservando senza sorvegliare. Spieghiamo loro che ci sono pericoli da cui tenersi lontani ma anche opportunità da cogliere".

L'intervistato

L'intervistato è Cosimo Di Bari, ricercatore di pedagogia generale e sociale presso l'Università di Firenze, autore della rivista di Uppa.it e autore del libro pubblicato con Uppa "I nativi digitali non esistono. Educare a un uso consapevole, creativo e responsabile dei media digitali".

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