Quanto è grande il mondo di un bambino? Fin dove si estende l'orizzonte del suo sguardo sugli altri. La solidarietà è un valore che siamo soliti associare agli adulti ma è possibile trasmettere empatia e attenzione al prossimo sin dalla tenera età, con l'inizio della socializzazione.
Quali meccanismi e quali accorgimenti possiamo mettere in campo in famiglia e a scuola per crescere bambini più collaborativi e sensibili verso il prossimo? Ne abbiamo parlato con la psicologa e formatrice per scuole e famiglie, e consulente per la Fondazione OIC di Padova Alessandra Bocchio Chiavetto, e con Francesca Luppi, insegnante e tutor nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione primaria dell'Università Milano Bicocca.
1 - Come insegnare la solidarietà: sviluppare l’empatia
«Tenere in considerazione lo sviluppo psicologico del bambino è importantissimo – spiega la psicologa Bocchio Chiavetto -. Fino a 2 anni il bambino è naturalmente centrato su di sé, ed è presto per aspettarsi atteggiamenti consapevoli che muovano il piccolo verso la comprensione del bisogno dell’altro. L’adulto, già in questa fase può però mediare e allenare a sviluppare l’empatia. Per aiutare l’altro occorre saper cogliere il suo bisogno e dunque sapersi mettere nei suoi panni. Il primo passo è lavorare sulle emozioni, riconoscerle e saperle quindi – nel tempo – rivedere anche negli altri».
2 - Dare un nome alle emozioni
2 - Dare un nome alle emozioni
«Ad esempio, quando due bambini giocano, accade che uno dei due possa appropriarsi di un giocattolo, spinto dal bisogno di soddisfare un desiderio che si scontra con lo stesso bisogno dell’altro - prosegue la psicologa Bocchio Chiavetto -. L’intervento del genitore può spiegare che un gesto aggressivo per ottenere quel gioco può essere dettato dalla rabbia, dovuta al bisogno non soddisfatto e che anche l’altro bambino nutre lo stesso desiderio di felicità con quel gioco. Questo "dare il nome all’emozione" provata dal piccolo da parte degli adulti sarà un'abilità che verrà rapidamente appresa dal piccolo.
Col tempo quindi gli verrà più facile esternare un sentimento e riconsiderare i propri atteggiamenti, diventando più pronto a comprendersi e quindi a condividere».

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«Dai 3 ai 6 anni, inoltre, si forma una prima forma di morale. Questo processo è progressivo e avviene per piccole azioni perché nei bambini la morale è esterna a loro: viene rappresentata dai genitori, è legata alla norma, a ciò che è giusto o sbagliato».
3 - Insegnare la solidarietà: partire da situazioni reali
«Essere bambini collaborativi aiuta a vivere meglio e ad evitare di avere da ragazzi e da adulti atteggiamenti di prevaricazione – aggiunge la psicologa -. Gli adulti significativi (genitori, insegnanti che in questa età sono fondanti del benessere e della sopravvivenza) possono influire e sono loro la "norma esterna" che contribuisce allo sviluppo etico. Ma occorre attingere al reale per aiutarli a capire. Quando ad esempio a tavola diciamo "non avanzare il cibo, pensa ai bambini del mondo che non hanno la tua fortuna", si dice certamente qualcosa di vero, ma di difficile comprensione per un bambino piccolo. Se a questa frase si accompagna il gesto e relativa spiegazione per cui si mostra che il cibo avanzato viene gettato nella pattumiera si forma un’immagine di spreco più comprensibile. Dire, allora "questo cibo è meglio metterlo nel pancino invece che gettarlo via" può risultare più utile».
4 - Proporre ed essere di esempio
«L’adulto è sempre un modello: qualsiasi proposta parta da noi che non trova riscontro nel nostro modo di fare non farà presa nemmeno sui bambini – chiosa Alessandra Bocchio Chiavetto -. Quando desideriamo che i bimbi facciano cernita dei giochi da dare in beneficienza, oppure se proponiamo loro di condividere le loro cose con altri bambini, dovremo creare situazioni in cui loro possano vedere che noi per primi sappiamo fare altrettanto senza difficoltà. L’obbligo non porta mai a risultati, quanto piuttosto a una reticenza rispetto alla richiesta che stiamo imponendo».
5 - Imparare la solidarietà a scuola
«La vita di classe offre numerose occasioni che possono diventare spunti oppure vere esperienza di collaborazione – premette Francesca Luppi, insegnante e tutor di Scienze della Formazione primaria all'Università Milano Bicocca -, ossia tradurre in realtà qualcosa di astratto. Ad esempio, in classe un bambino può raccontare di aver portato del cibo per i poveri con la sua famiglia, ed ecco che questa esternazione può far partire un piccolo progetto in cui l’intera classe può realizzare una raccolta alimentare per un’associazione o una situazione particolare del territorio».
I bambini possono trovare a scuola un atteggiamento che possa confermare un modello anche domestico, oppure che possa interrogarli. La realtà di oggi ci porta quotidianamente a rapportaci con le differenze e col bisogno: la scuola non è un mondo a sé stante e in questa piccola comunità la solidarietà può essere aiutare la compagna che per una disabilità fatica a mangiare da sola oppure può essere il contribuire a sostenere una famiglia che sta vivendo un momento di difficoltà».
«Genitori e insegnanti sono alleati in questa prospettiva, partendo dal presupposto che non si trasmette il sapere ma lo si condivide, e ognuno può avere qualcosa da dare e sicuramente da ricevere. Nel comprensivo in cui lavoro, ad esempio, la festa della scuola è pretesto di conoscenza reciproca e di vicinanza tra storie e culture diverse. Conoscersi e avvicinarsi renderà la condivisione e i gesti collaborativi più naturali. La modalità di apprendimento del "cooperative learning", inoltre, non fornisce soltanto "skill didattiche" ma avrà ricadute sulla vita sociale. Un modello dove gli alunni possano liberamente alzarsi e andare ad aiutare il compagno in difficoltà rende ogni bambino più attento a chi gli sta intorno. Quando poi gli studenti diventano più grandi, ma qui immagino già ragazzi preadolescenti, può essere interessante anche la lettura dei giornali in classe, per conoscere cosa accade nel mondo e immaginare una forma di apprendimento trasversale: partendo da un fatto ci si può ricollegare ad altri argomenti di studio».