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Educazione alla sessualità. Un compito della famiglia o anche della scuola?

di Simona Regina - 18.09.2015 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
In rete, ma non solo, il dibattito sull'opportunità o meno di inserire l'educazione sessuale a scuola si è riacceso. Facciamo il punto, con pro e contro. Linee guida Oms e perplessità delle famiglie

In questo articolo

Vi sono Paesi, in Europa, in cui l'educazione sessuale è parte integrante dei curricula scolastici. In Svezia è obbligatoria dal 1955. Lo è diventato poi in Norvegia, Finlandia, Danimarca, solo per citarne alcuni. Alla base di questa scelta, la convinzione che sia uno strumento importante per supportare la crescita e la salute fisica e psicologica degli alunni, ridurre le gravidanze indesiderate e contrastare la trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili. Ma non solo di sesso e sessualità si parla sui banchi di scuola: nel tempo è stata introdotta anche l'educazione all'affettività, ai sentimenti, e la sensibilizzazione dei giovani alla parità di genere e al rispetto dell'altro.

 

In Italia, invece, non è previsto un programma di educazione sessuale obbligatorio. Rimane dunque un campo d'azione delle famiglie, a meno che non siano le singole scuole a organizzare iniziative a riguardo. Il rischio è che però ragazze e ragazzi ricevano informazioni poco corrette. Spesso, infatti, in famiglia non se ne parla (il sesso è ancora un tabù), tanto che amici e media (televisione, internet, ecc) sembrano essere le fonti di informazione principali per gli adolescenti italiani in fatto di sesso. Senza sottovalutare, poi, che per alcuni l'unico modello di riferimento sessuale fino al momento di avere le prime esperienze è il materiale pornografico.

 

Da un'indagine condotta in Friuli Venezia Giulia dall'Università di Trieste su un campione di studenti e studentesse dell’ultimo anno delle superiori, per esempio, è emerso che la pornografia entra nella quotidianità di ragazzi e ragazze molto presto (riguarda, anche casualmente, più dell’80% dei maschi e circa la metà delle femmine): “perché gli piace” (60% dei maschi e 7% delle femmine), “per acquisire informazioni sul sesso” (36% dei ragazzi e 17% delle ragazze), perché è “eccitante” (65% dei maschi e 11% delle femmine).

 

In rete, ma non solo, il dibattito sull'opportunità (e il pericolo) di inserire l'educazione sessuale a scuola si è riacceso a seguito dei campanelli di allarme lanciati da Provita, dal comitato Difendiamo i nostri figli e altre voci del mondo cattolico e politico in merito al pericolo di una “colonizzazione gender” delle scuole italiane e di “un'iper-sessualizzazione precoce dei bambini” promossa (a detta loro) dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

Attenzione: nelle scuole insegneranno ai nostri figli a masturbarsi” è stato grosso modo il monito lanciato alle mamme e ai papà italiani, chiamati a raccolta per difendere il ruolo della famiglia.

 

Ma cosa dicono effettivamente le linee guida dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) sull'educazione sessuale? Propongono realmente “un’educazione sessuale sostanzialmente edonista” e di informare i bambini “sul piacere nel toccare il proprio corpo, sulla masturbazione infantile precoce, ad esempio nel contesto del gioco del dottore”, oppure la levata di scudi è una crociata ideologica?

 

Il documento incriminato è quello elaborato dal Centro federale tedesco di educazione sanitaria e dall'Ufficio regionale dell'Oms per l'Europa: Standards for Sexuality Education in Europe (qui si trova anche in italiano).

 

Leggendolo, in realtà, non si trovano indicazioni in merito al fatto che gli educatori dovrebbero insegnare ai bambini la masturbazione o che dovrebbero proporre il gioco del dottore per esplorare il proprio corpo e quello dei loro coetanei. Ma, partendo dalla constatazione che dobbiamo affrontate non poche sfide inerenti la salute sessuale, quali per esempio, l'HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili, le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale, si sottolinea l'importanza che i più giovani maturino un atteggiamento consapevole verso la sessualità (quindi hanno bisogno di conoscerla) per essere in grado di agire responsabilmente non solo verso se stessi, ma anche verso gli altri.

 

Si chiarisce dunque che l’educazione sessuale fa parte dell’educazione più generale perché influenza lo sviluppo della personalità del bambino. Del resto, a partire dalla nascita i neonati apprendono il valore e il piacere del contatto fisico, del calore umano e dell’intimità. “L’essenza del discorso è che a partire dalla nascita i genitori in particolare mandano ai bambini messaggi inerenti il corpo e l’intimità”. Detto in altri termini, fanno educazione sessuale. Il modo infatti in cui mamma e papà si relazionano l’un l’altro fornisce al bambino esempi di come funzionano le relazioni.

 

E inoltre i genitori fungono da modello per i ruoli di genere e per l’espressione di emozioni, sessualità e tenerezza. Così come, anche evitando di parlare della sessualità insegnano pur sempre qualcosa sulla sessualità: per esempio non nominare gli organi sessuali potrebbe essere interpretato come disagio.

 

Nel documento si arriva quindi a spiegare perché l'educazione sessuale non dovrebbe essere campo d'azione esclusivo delle famiglie. “I genitori, gli altri familiari e le altre fonti informali di informazione sono importanti per imparare ciò che riguarda le relazioni umane e la sessualità, specialmente nelle fasce di età più precoci. Tuttavia, nella società moderna questo spesso non è sufficiente, perché di frequente queste stesse fonti informali mancano delle conoscenze necessarie, soprattutto quando vi è bisogno di informazioni complesse e di tipo tecnico (come quelle riguardanti la contraccezione o le modalità di contagio delle infezioni sessualmente trasmesse). Inoltre, sono gli stessi giovani che spesso, una volta entrati nella pubertà, preferiscono rivolgersi a fonti diverse dai genitori, i quali sono percepiti come troppo vicini”.

 

L'educazione sessuale a scuola, basata su informazioni scientificamente accurate, avrebbe dunque l'opportunità di colmare un vuoto, laddove in famiglia non se ne parli e non lo si faccia correttamente, e di correggere o integrare le immagini fuorvianti e le informazioni spesso degradanti (specialmente per la donna, si pensi alla pornografia in rete) veicolate dai media.

 

Ma perché introdurre percorsi di educazione sessuale a scuola? Perché la sessualità è una componente centrale dell’essere umano e tutti hanno diritto di essere informati in materia, anche per promuovere e salvaguardare la salute sessuale. Perché fornisce gli strumenti per viverla più consapevolmente e senza rischi. E a chi teme che parlare di sessualità induca i giovani a un'attività sessuale più intensa o più precoce, un report dell'Unesco smentisce tali timori: indica infatti chiaramente che l’educazione sessuale, stando alla maggioranza degli studi, tende a ritardare l’inizio dei rapporti sessuali, riduce il numero dei partner e aumenta i comportamenti di prevenzione a livello sessuale.

 

Ovviamente l’educazione sessuale deve essere adeguata all’età. Nel documento dell'Oms si legge infatti che se un bambino di quattro anni dovesse chiedere da dove vengono i bambini, la risposta “dalla pancia della mamma” può essere sufficiente. Ma se in seguito iniziasse a chiedere “come ci arrivano i bambini nella pancia della mamma?” bisogna trovare un'altra risposta, più esaustiva, e non liquidare il tutto con “sei troppo piccolo per queste cose!”.

 

Leggendo il documento appare evidente allora che, coloro che hanno alimentato il grosso tam tam mediatico sul pericolo di queste linee guida,

 

hanno travisato interpretando ciò che viene spiegato in merito allo sviluppo sessuale di bambini e bambine come quello che si dovrebbe fare a scuola con i bambini e le bambine.

Nel documento si spiega, per esempio, che durante i primi sei anni di vita si acquisisce consapevolezza del proprio corpo e si provano sensazioni sessuali, anche se la sessualità infantile è diversa da quella degli adulti. I neonati, per esempio, oltre a scoprire il mondo che li circonda, vanno alla scoperta anche del proprio corpo, quindi si toccano spesso e talvolta anche i genitali, ma più per caso che intenzionalmente.

 

Tra il secondo e il terzo anno di vita, poi, si scoprono le differenze fisiche tra maschi e femmine. E bambini e bambine spesso esaminano nei particolari il proprio corpo, iniziano a toccare deliberatamente i genitali, perché procura una sensazione di piacere (in questo senso si parla di masturbazione della prima infanzia e autostimolazione), e li mostrano agli altri bambini e agli adulti.

 

Crescendo può succedere anche che cerchino di esaminare il corpo delle loro amichette o dei loro amichetti (gioco del dottore): dall’età di cinque anni e specialmente tra i sette e gli otto, ai bambini piace mostrare i propri genitali e guardare i genitali degli altri bambini. Sono curiosi e vogliono conoscersi e conoscere.

 

Ma tutto ciò non significa che a scuola, facendo educazione sessuale, si chiede loro di spogliarsi ed esplorasi. Si parla, sì, di un approccio interattivo, ma per sottolineare il coinvolgimento diretto degli allievi, per tener conto della loro realtà e delle loro esperienze per stabilire gli argomenti e le problematiche da affrontare.

 

Così come, d'altro canto, si sottolinea l'importanza di instaurare una stretta collaborazione con i genitori al fine di sostenersi a vicenda (famiglie e istituzioni scolastiche) nel processo di educazione sessuale continua.

 

Sotto accusa è finita anche la presunta promozione di comportamenti omosessuali, laddove si parla di “amicizia e amore verso persone delle stesso sesso”. In effetti, nelle 68 pagine, il documento spiega che tra i 7 e i 9 anni i bambini e le bambine possono fare delle fantasie sull’amore, per esempio, a volte anche di essere innamorati di qualcuno dello stesso sesso; che gli amici dello stesso sesso sono importanti nelle prime fasi della pubertà perché rappresentano qualcuno con cui poter parlare; e che tra i 12 e i 20 anni ragazze e ragazzi maturano gradualmente il proprio orientamento sessuale e contemporaneamente si formano e si consolidano le preferenze sessuali. Ma è forse sbagliato ribadire che la sessualità, un aspetto centrale dell’essere umano, comprende vari orientamenti sessuali e che l'educazione sessuale deve perseguire, come obiettivo, anche il rispetto della diversità? Così come cosa c'è di sbagliato nell'informare i giovani sulla contraccezione e la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse (IST), e su cosa fare per chiedere aiuto in caso di problemi?

 

Ma perché l’educazione sessuale dovrebbe iniziare prima dei quattro anni? La risposta è alquanto eloquente. Perché l’educazione sessuale facilita lo sviluppo sensoriale del bambino, la percezione del proprio corpo/immagine corporea e contemporaneamente rafforza la fiducia in sé e contribuisce a sviluppare la capacità di auto-determinazione: il bambino acquisisce, cioè, la capacità di comportarsi responsabilmente verso se stesso e gli altri. Si insegna infatti al bambino che esistono confini personali e norme sociali da rispettare (per esempio, non si può toccare chiunque si desideri). E, elemento ancora più importante, il bambino impara a riconoscere ed esprimere i propri confini (si può dire no; si può chiedere aiuto).

Sotto questo aspetto, dunque, l’educazione sessuale è anche educazione alla vita sociale e contribuisce a prevenire l’abuso sessuale. Tenendo conto, ovviamente, che in ogni fascia di età e fase di sviluppo ci sono questioni e comportamenti specifici (per esempio la scoperta e l’esplorazione reciproca tra coetanei, il “giocare al dottore”, il piacere nel mostrare parti del proprio corpo e nel guardare quelle altrui, le manifestazioni di pudore di fronte agli altri, ecc.) a cui è necessario rispondere in modo pedagogico.

 

Del resto, come sottolinea Anna Oliverio Ferraris, nel nuovo libro “Tuo figlio e il sesso” (Bur 2015), la sessualità infantile è un aspetto naturale della crescita. E quando i più piccoli cominciano ad affacciarsi al mondo esterno come si può far finta di niente davanti alle immagini erotiche che irrompono da ogni parte: film, pubblicità, show televisivi, cartelloni stradali. È bene che siano quelle immagini a “educare” i nostri bimbi o è responsabilità degli adulti fornire spiegazioni e valutazioni che li aiutino a orientarsi in un campo che sicuramente li intriga? La risposta è una sola ovviamente, secondo la professoressa di psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma. Bisogna però essere pronti e preparati a questo compito educativo.

 

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