La marcia su Roma
Il 28 ottobre 2022 ricorrono i 100 anni dalla marcia su Roma, l'evento storico grazie al quale Benito Mussolini instaurò una dittatura che avrebbe governato l'Italia per i vent'anni successivi. Ma come andarono davvero le cose? Come riuscirono poche migliaia di uomini ad ottenere il comando di una nazione intera? Conoscere questo piccolo, ma importante, frammento del passato può aiutare i più giovani a capire cosa fu il fascisimo e come si scivolò verso un regime totalitario.
Cosa fu la marcia su Roma?
Nella travagliata storia italiana della prima metà del Novecento, la marcia su Roma fu l'evento che segnò l'inizio del cosiddetto ventennio fascista. Il 28 ottobre del 1922 infatti, circa ventimila uomini armati arrivarono a Roma, capitale dell'allora Regno d'Italia, con l'intento di occuparla e costringere il re Vittorio Emanuele III di Savoia a destituire il governo in carica e consegnare le redini del Paese a Benito Mussolini, leader di un piccolo partito nato pochi anni prima: il Partito Nazionale Fascista.
I fascisti - chiamati anche "camcie nere" per via della loro cupa divisa - erano pochi e male equipaggiati, tuttavia riuscirono incredibilmente a raggiungere il loro obiettivo. Il re infatti decise di incontrare Mussolini e affidargli l'incarico di formare un nuovo governo. Era l'inizio della dittatura fascista.
Questo è il riassunto sommario dell'evento che per i successivi vent'anni il regime celebrò come una vera e propria rivoluzione, tuttavia per capire bene cosa accadde davvero in quei giorni, occorre approfondire un po' di più la questione.
Le premesse storiche della marcia su Roma
Quando si studia la Storia bisogna sempre ricordare che le cose non si verificano mai all'improvviso, senza alcuna ragione: esistono sempre cause e fatti precedenti che creano le condizioni adatte perché un evento possa accadere. Nel caso della marcia su Roma, quando un manipolo di uomini male in arnese riuscì a prendere il comando di un Paese intero, il contesto che favorì tale "colpo di stato" fu la delicata questione socio-economica in cui versava l'Italia.
Il Regno infatti, benché avesse tecnicamente vinto la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) al fianco di Francia e Regno Unito, era uscito con le ossa rotte dal conflitto. Le casse dello Stato erano vuote, spremute dai costi esorbitanti che ogni guerra comporta, e l'Italia non era nemmeno riuscita ad ottenere gran parte dei territori che le erano stati promessi, con grande rabbia dei nazionalisti (ossia coloro che erano convinti che la loro nazione dovesse primeggiare su tutte le altre), che iniziarono dunque a parlare di vittoria "mutilata"
La causa d'instabilità più grave però risiedeve nelle sempre più frequenti proteste con le masse di operai e contadini chiedevano al governo e ai "padroni" (industriali e proprietari terrieri) migliori condizioni di vita e aumenti dei salari. Quelli erano infatti gli anni in cui si stava affermando sempre di più l'ideologia socialista - ossia quel pensiero filosofico che voleva cancellare le disuguaglianze e dare maggiore potere ai lavoratori - e il risultato fu che gran parte della borghesia e della classe dirigente italiana cominciava a intravedere il pericolo di una rivoluzione, come era avvenuto qualche anno prima in Russia (la Rivoluzione russa del 1917).
In questo clima di grande incertezza, emersero i fascisti e il loro leader, Benito Mussolini.
Chi erano i fascisti?
Benito Mussolini era un maestro di scuola, giornalista ed ex-socialista che prima della guerra era stato cacciato dal partito per le sue idee troppo radicali. Mussolini infatti si era avvicinato sempre di più alle posizioni nazionaliste che predicavano l'intervento nella Grande Guerra e la necessità che l'Italia imponesse la propria supremazie sulle altre nazioni (e razze).
Dopo la pace del 1918, Mussolini divenne il punto di riferimento per tanti patrioti estremisti ed ex-combattenti delusi dalla piega che aveva preso il Paese, privato delle conquiste promesse e sempre più vicino al pericolo di una rivoluzione "rossa" (i "rossi" erano i socialisti e i comunisti).
Fu così che nel 1919 Mussolini fondò i Fasci Italiani di combattimento, squadre di giovani armati - da cui il nome di "squadristi" - convinti della superiorità etica e razziale dell'Italia e che non disdegnavano la violenza per prevalere sugli oppositori politici.
Gli squadristi in camicia nera erano spesso considerati solo dei rozzi picchiatori, tuttavia la borghesia e una parte della politica italiana iniziò ad avvicinare tali individui per rivolgerli contro i socialisti in protesta. Così, mentre i fascisti imperversavano nella loro attività di stronca-scioperi, il loro capo Mussolini trasformò i fasci in un partito vero e proprio - il Partito Nazionale Fascista, nato a Milano nel 1920 - e cominciò ad affascinare una parte dell'opinione pubblica con i suoi discorsi infuocati.
Come si arrivò alla marcia su Roma?
Nel 1921 le elezioni avevano consegnato al paese un nuovo parlamento in cui anche alcuni fascisti, tra cui Mussolini, erano riusciti ad ottenere un seggio. L'equilibrio politico del Paese però era ancora precario e così Mussolini, forte delle sue squadre di militanti, decise che era il momento di provare a forzare la mano.
Il futuro Duce scelse quattro capi per dirigere le operazioni - Emilio De Bono, Italo Balbo, Michele Bianchi e Cesare Maria De Vecchi, nominati "quadrumviri" per rievocare i fasti dell'antica Roma - e iniziò a preparare quello che doveva essere un Colpo di Stato. Il 27 ottobre 1922 dunque, circa ventimila fascisti in camicia nera calarono in treno su Roma e il giorno dopo iniziarono a sfilare per le strade, presidiando gli edifici governativi per bloccare la capitale e obbligare il re a soddisfare le loro richieste.
Fu una vera rivoluzione?
Benché agguerriti e convinti delle loro idee, quando i fascisti marciarono su Roma non possedevano affatto la forza militare necessaria per prevalere sull'esercito regolare italiano e paralizzare il Paese.
I soldati del Regio Esercito erano infatti superiori per numero e per equipaggiamento, ma non poterono comunque intervenire per soffocare la manifestazione armata. Ma perchè?
Quando i fascisti arrivarono a Roma, il Primo Ministro italiano Luigi Facta dichiarò lo stato d'assedio, un provvedimento urgente che avrebbe dato via libera all'esercito per disperdere con la forza le squadre fasciste. Tuttavia per essere eseguito tale ordine doveva essere controfirmato dal re, il quale però si rifiutò di assecondare Facta. Vittorio Emanuele III infatti non si fidava dell'esercito (temeva che qualche generale avrebbe potuto aproffittare dei poteri concessi), in più non voleva scatenere una sanguinosa guerra civile.
Così il 29 ottobre il re entrò in contatto con Mussolini - che era rimasto a Milano per seguire l'evolversi della situazione - e il giorno dopo lo incontrò a Roma per affidargli l'incarico di un nuovo governo. Con tale mossa il re e buona parte della politica italiana sperava di "inglobare" i fascisti in un governo allargato e nemico dei socialisti, ma la speranza di controllare Mussolini e i suoi si rivelò ben presto vana. Nessuno lo poteva sapere, ma in quell'ottobre del 1922 era appena iniziato il ventennio di dittatura fascista.
FONTI: Storia Contemporanea - Il Novecento (Detti, Gozzini; Mondadori); Fascismo. Storie e interpretazione (Emilio Gentile; Laterza)