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Covid: perchè i focolai a scuola sono poco probabili

di Niccolò De Rosa - 04.11.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Secondo un recente studio, è difficile che si creino focolai a scuola senza il concorso di fattori esterni (come altre attività extrascolastiche)

In questo articolo

Da quando le scuole hanno riaperto i battenti, la curva dei contagi ha cominciato ad aumentare in modo significativo, tanto da costringere i governi a nuove chiusure e restrizioni per scongiurare il collasso del sistema sanitario.

Ma è stata davvero tutta "colpa" del ritorno in classe se il coronavirus è tornato a fare paura? Secondo uno studio la risposta è no. Anzi, i focolai a scuola sarebbero molto più rari di quello che si possa pensare.

Lo studio

Una ricerca pubblicata su Nature ha analizzato la situazione di diversi Paesi prima e dopo la riapertura degli istituti scolastici e, da quanto è emerso, la scuola non sembra proprio essere un fattore determinante nello sviluppo di focolai epidemici, almeno non direttamente.

Infatti, nonostante le condizioni particolarmente favorevoli offerte dall'ambiente (classi chiuse, affollamento, mescolanza di soggetti provenienti da diverse aree abitative), nei Paesi presi in considerazione dall'articolo la scuola si è rivelata essere un veicolo di contagio molto meno efficiente rispetto ad altri luoghi con analoghe caratteristiche, ma frequentate dagli adulti (uffici, fabbriche ecc...).

Nella regione di Victoria, in Australia, ad esempio, nel corso della seconda ondata il CoViD-19 ha colpito 1.635 soggetti appartenenti al mondo scolastico (alunni, docenti o personale ausilario). Di questi, però, in ben il 91% dei casi la catena di contagi non ha mai superato le 10 persone e circa due terzi dei positivi non ha nemmeno trasmess il virus ad altri individui con cui sono venuti a contatto. 

Anche nel Regno Unito la corsa di SARS-CoV-2 non sembra essere stata accelerata dal ritorno dei ragazzi in classe, visto che quasi tutti i 30 focolai sviluppatasi nelle scuole sono partiti da membri del corpo docente.

E in Italia? Da noi la campanella è tornata a suonare quando il numero dei positivi al coronavirus stava già salendo ma nonostante ciò, proprio come nel caso australiano, praticamente tutti i casi accertati nei vari istituti dello Stivale hanno interessato un singolo studente che, prontamente isolato, non ha contagiato i compagni.

A supporto di ciò anche la statistica nalla quale si mostra come solo il 3,5% dei focolai nazionali sia riconducibile all'ambiente scolastico, anche se tale stima non tiene conto di tutte quelle attività extrascolastiche in cui i ragazzi possono incontrarsi e, eventualmente, infettarsi.

Come mai a scuola ci si contagia poco?

Sicuramente le tante misure precauzionali adottate per mantenere il distanziamento fisico e proteggere i ragazzi (come l'obbligo d'indossare la mascherina) hanno giocato e continuano a giocare un ruolo importante. Paradossalmente però tali provvedimenti rendono anche più difficile analizzare dal punto di vista scientifico la capacità di trasmissione virale dei più piccoli, proprio perché alterata da tutte le precauzioni ormai entrate nelle nostre abitudini quotidiane.

Forse la ragione risiede nella minore presenza di sintomi nei ragazzi o nella differente dimensioni dei loro polmoni che, essendo più piccoli rispetto a quelli degli adulti, potenzialemente diffondono meno aerosol entro il quale viaggia il virus. ma nulla di tutto ciò è ancora stato dimostrato scientificamente.

Ciò che appare evidente però è che, almeno dal punto di vista statistico, i più giovani sembrano essere quelli meno esposti al rischio di contagio. Uno studio tedesco ha riscontrato una trasmissione del Covid-19 molto meno diffusa tra i bambini di 6-10 anni rispetto a quelli più grandi e agli adulti che lavorano in ambito scolastico, mentre i dati prodotti da alcune ricerche provenienti dagli USA mostrano come il tasso di contagio sia due volte più elevato tra i ragazzi di 12-17enni che tra i bambini di 5-11 anni di età.

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