Chi ha un figlio con problematiche di sviluppo cerebrale molto probabilmente avrà sentito parlare del Metodo Doman, un programma che si propone di aiutare i bambini cerebrolesi a raggiungere la normalità, ma anche i piccoli intellettualmente normodotati ad arrivare all’eccellenza. L'approccio, però, non è esente da critiche.
«Il metodo Doman si propone di curare le cause e non i sintomi, attraverso una stimolazione neurologica a 360 gradi», spiega la responsabile dei corsi Wanda Zanghi. «Riteniamo che i disturbi siano legati a un danno cerebrale che blocca il cervello impedendogli di crescere. Il nostro obiettivo, quindi, è quello di stimolare le parti lesionate – dal tronco cerebrale al midollo spinale, fino al mesencefalo e alla corteccia – riportando il bambino al potenziale che aveva nel momento della nascita. La stimolazione permette alle aree compromesse di riattivarsi, iniziando a fare quello che da sole prima non facevano».
Tutti i bambini possono essere seguiti con il Metodo Doman ad eccezione di quelli affetti da malattie degenerative. «Ovviamente, prima si interviene, maggiori sono le possibilità di recupero, ma ci occupiamo anche di bimbi con età superiore ai 6 anni e di adulti che hanno subito un ictus o in stato di coma». Sono curati bambini con:
· Paralisi cerebrale
· Autismo
· Sindrome di Down e altre malattie genetiche
· Problemi motori
· Lesioni lievi e ritardo psicomotorio
· Disturbi dell’apprendimento (disgrafia, dislessia, discalculia)
· Iperattività
· Rigidità muscolare
· Ritardo mentale
· Spasticità e rigidità muscolare
· Ipotono muscolare
· Disturbi respiratori
La grande differenza rispetto ai trattamenti tradizionali sta nella centralità attribuita ai genitori che, attraverso un corso specifico curato dagli esperti dell’IRPUE, vengono messi nella condizione di diventare loro stessi i terapisti dei propri figli. «In questo modo le madri e i padri sono liberi dall’obbligo di ricorrere a uno specialista e possono vivere in prima persona il programma, partecipando attivamente ai progressi del loro bambino». I corsi si svolgono nella sede italiana dell’IRPUE a Fauglia, in provincia di Pisa.
Il primo passo è l’analisi delle capacità sensoriali del bambino, e in particolare della vista, dell’udito e del tatto, accanto a una disamina della mobilità, dell’uso del linguaggio e delle competenze manuali. «Solo dopo la valutazione completa, che si svolge rigorosamente presso l’IRPUE, il piccolo riceve un programma specifico, che prevede esercizi fisici e movimenti ad hoc, tra cui quelli chiave di striscio e carponi. A questo punto i genitori tornano a casa ed eseguono quotidianamente il programma di esercizi per sei mesi, per poi eventualmente accedere a un programma di trattamento intensivo. Il contatto con gli specialisti è continuo, con visite, conferenze e consultazioni domestiche in caso di necessità».
Su YouTube c'è il canale IAHP dove sono caricati molti video in lingua originale, ma anche i
Webinair per genitori italiani con gli interventi di Douglas Doman e la traduzione a cura della dottoressa Wanda Zanghi.
Dati i risultati ottenuti con i bambini affetti da gravi patologie, Doman si chiese cosa sarebbe potuto accadere a tutti gli altri attraverso il suo metodo. Così scrisse una serie di libri (qui ne trovate alcuni), tra cui “Leggere a tre anni”, e inventò diversi materiali per potenziare l'intelligenza in età prescolare.
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Silvana Papiccio
«Il Metodo Doman non costituisce un protocollo clinico di riabilitazione supportato dalla letteratura scientifica – conferma Giuseppe Viola, specializzato in neuropsichiatria infantile a Brescia e consulente presso lo “PE. & PSY- Studio di pedagogia e di psicologia” di Milano –. Uno dei principali studi clinici sul Metodo condotto nello scorso millennio aveva reclutato un campione di “cerebrolesi” senza un gruppo di controllo pertanto di nessuna validità scientifica».
Tra l'altro, con il passare del tempo, da un approccio riabilitativo/abilitativo per “cerebrolesi” il progetto di Doman ha ampliato le sue possibilità d'intervento: «Si è passati ad applicarlo anche su bambini con altre diagnosi (autismo, Sindrome di Down, DSA…) e a bambini sani, con il duplice obiettivo di una precocissima e innaturale acquisizione degli apprendimenti e il miglioramento delle performance cognitive con la speranza di confezionare dei “piccoli geni”».
In questo modo, però è possibile che vengano trascurati gli aspetti emotivi del bambino e lo sviluppo di una “intelligenza sociale”. «Penso che sia più importante per i genitori domandarsi perché desiderino che i bambini riescano a imparare a leggere così presto. Personalmente, sono sfavorevole a questo approccio per i bambini che non presentano alcuna patologia».