«È normale che ogni bambino sperimenti una fase dello sviluppo in cui pensa che tutto sia di sua proprietà e che ciò che lui pensa lo pensino anche gli altri. In quel momento, non riesce a capire che ognuno ha un punto di vista diverso» spiega Sara Bruzzone, psicologa e psicoterapeuta, co-fondatrice di Mammechefatica.it.
Un esempio di questa dinamica è visibile quando un bambino gioca a nascondino e per farlo si copre il viso con le mani. «Fanno così perché pensano che se loro non vedono gli altri, anche gli altri non potranno vederli».
Come devono reagire i genitori
«Mamme e papà devono avere un atteggiamento positivo e tanta pazienza, senza pensare di essere dei cattivi educatori, ma riconoscendo che si tratta di una fase di sviluppo importante per i bambini, perché è così che rafforzano il senso del sé e si autodeterminano».
L’esempio degli adulti è però fondamentale: «Farsi vedere altruisti e generosi, favorire l’empatia e la condivisione spingerà i piccoli a comportarsi nello stesso modo».
Talvolta, si possono anche dare spiegazioni, che però devono essere molto brevi. «Ad esempio, se nostro figlio soffre perché ha invitato a casa un amichetto che vuole giocare con i suoi giochi, lo possiamo prendere da parte e dire che i giochi sono suoi, ma che per quel pomeriggio può condividerli».
Esercizi di condivisione
Ai bambini più piccoli si può proporre un esercizio che spesso viene messo in pratica dalle educatrici degli asili nido, dove devono per forza condividere i giochi. «Si può dare ciò che in quel momento li interessa e dirgli che lo possono usare finché la lancetta dell’orologio arriva fino a un certo punto. Dopo, dovranno dare quell’oggetto a un altro bambino».
Un altro consiglio utile per sviluppare la capacità di condivisione del bambino è quello di esporlo spesso a situazioni di socializzazione, fin da quando è capace di stare con gli altri.
«Evitare che sia sempre circondato da adulti pronti ad assecondare ogni sua richiesta svilupperà in lui la capacità di capire che non ci sono solo i suoi bisogni, ma anche quelli degli altri e che bisogna venirsi incontro per una serena convivenza».
Quando è il caso di intervenire in modo più serio
L’egocentrismo è una fase che può durare fino anche ai 6-7 anni. Inizialmente non c’è alcuna possibilità di condivisione. Poi, a poco a poco, il bimbo impara a condividere le cose soprattutto nei contesti di socializzazione, come la scuola, e a capire che gli altri hanno pensieri diversi dai suoi.
«Se dopo i 6-7 anni il bambino continua a pensare che tutto è suo, allontanando i suoi coetanei, allora vuol dire che c’è un problema. Bisogna cercare di capire perché sta facendo così e chiedersi che tipo di disagio sta manifestando con questi atteggiamenti».
In questi casi, è sbagliato dare punizioni eccessive: «Più che altro bisogna cercare di capire perché il bambino fa così soprattutto se prima non lo faceva. Il giusto atteggiamento è quindi quello di osservare il suo comportamento, parlarne con le insegnanti e poi affrontare il discorso con il bambino».