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Come affrontare la malattia del figlio

di Stefano Padoan - 02.10.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
La malattia di un figlio è un evento difficile da affrontare: i consigli dell’esperta su come dirgli la verità, spiegargli la malattia e le terapie che lo attendono

In questo articolo

Quando un figlio si ammala

Non è raro che i bambini abbiano a che fare con la malattia fin dai primi anni di vita: un nonno, un parente, a volte anche un genitore. Quando però ad ammalarsi è un figlio, tutta la famiglia viene coinvolta in una situazione molto delicata e da gestire al meglio. Come comportarsi quando un figlio si ammala di tumore o di un'altra grave malattia? I consigli della psicologa Alessandra Portaluppi.

La “famiglia oncologica”

«Quando si ammala un familiare - premette l'esperta - i soggetti coinvolti nel contesto della malattia sono il malato e l'intera famiglia, che ha un ruolo significativo a maggior ragione se parliamo di un bambino perché è il luogo in cui il piccolo paziente conosce, vive e affronta la malattia. All'interno della famiglia il malato scarica il peso della sofferenza e dell'angoscia, manda in crisi le relazioni, altera gli equilibri consolidati». Per questo si parla di "famiglia oncologica", caratterizzata spesso da momenti di «spossatezza emotiva, stato di impotenza e incertezza del futuro, che va dalla speranza di guarigione alla paura di una ricaduta o della morte».

La malattia: un evento traumatico

Se un trauma, nel senso più letterale del termine, è una frattura tra un prima e un dopo, la scoperta di una malattia è certamente un evento traumatico: «Il percorso di vita finora fatto all'inizio subisce una brusca interruzione. Il vissuto del bambino si spezza in due tra la sua quotidianità precedente e quella attuale, che cambia in maniera percepibile: non potrà più fare alcune cose e ce ne saranno di nuove, probabilmente meno piacevoli».

In più questo stato di angoscia può far riaffiorare altre esperienze traumatiche del passato, sia nel bambino che negli altri componenti della famiglia: «Succede per eventi latenti, ma anche per quelli già ampiamente superati.

Ad esempio un lutto ("Mi succederà quello che è successo al nonno?"; "Non riuscirò a reggere se a mio figlio succederà ciò che è accaduto a mio padre") o la separazione dei genitori ("Ora che sono malato mi staranno vicino?"; "Il mio ex-marito riuscirà ad organizzarsi per essere presente?")».

Le tappe della malattia

Secondo la psiconcologia, il percorso della malattia consiste in diverse tappe, ognuna delle quali presenta sfide diverse per il paziente e la sua famiglia: «La fase pre-diagnostica, in cui di fronte ai primi sintomi si fanno gli accertamenti; la fase diagnostica, quando si scopre la malattia; la fase di ospedalizzazione, in cui il paziente si sottopone alle terapie; la fase di convivenza con la malattia e infine la guarigione». Ci concentreremo sulle prime due fasi.

La fase di pre-diagnosi

Della fase prediagnostica, soprattutto se parliamo di bambini in età prescolare e scolare, sono protagonisti i genitori, più consapevoli dei rischi legati ad alcuni episodi sospetti da approfondire con degli esami. «Inevitabile allarmarsi, ma è importante gestire la propria paralisi emotiva, la sospensione in attesa di scoprire di cosa si tratta. Gli adulti mettono in campo sia strategie di coping - modalità di adattarsi e reagire di fronte a un evento particolarmente stressante - che meccanismi difensivi, che sono influenzati dalle personalità dei soggetti e dai loro vissuti».

  • Coinvolgeteli e rassicurateli. È importante coinvolgere i bambini fin da questa fase, dicendo loro la verità senza però riversare su di loro quelle che sono solo ipotesi e paure: «Si può dire che si stanno facendo degli esami per capire se c'è qualcosa che non va e che il dottore è lì per scoprirlo. Ricordate poi che è controproducente tentare di nascondere la vostra preoccupazione (i bambini percepiscono gli stati emotivi degli adulti), quindi parlate delle vostre emozioni e spiegatele a vostro figlio. In assenza di informazioni certe, però, non entrate in dettagli che sarebbero solo speculazioni vostre e lo agiterebbero senza motivo».
  • Non minimizzate. Se è preferibile trasmettere una certa serenità al bambino, allo stesso tempo vigilate sui vostri meccanismi di difesa, che sono umani ma possono sortire l'effetto contrario: «Razionalizzare è un meccanismo difensivo valido, che però a volte vi può rendere troppo freddi e distaccati da vostro figlio. Anche minimizzare, che talvolta può essere utile, può scadere nella sottovalutazione o negazione del significato dei sintomi, che è grave perché può portare a una diagnosi tardiva».

La fase della diagnosi

La fase diagnostica è la più difficile, sia per il bambino che per l'intera famiglia, perché scoprire di avere una malattia apre a un futuro totalmente nuovo e diverso.

  • Non mentite. Ci sono genitori che pensano che non dire la verità a loro figlio lo faccia stare meglio, lo faccia affrontare in maniera più spensierata le cose: falso. «Invece di proteggerli, incappate nell'errore opposto di agitarli di più, perché i piccoli si accorgono lo stesso che qualcosa non va: da un lato perché percepiscono le inevitabili tensioni degli adulti, dall'altro perché vivono direttamente i cambiamenti nella quotidianità della famiglia e nel loro fisico dovuti al loro male».
  • Evitate i silenzi. Se le cose cambiano e nessuno gli spiega cosa stia succedendo, il bambino colmerà quel vuoto con sue teorie: «Cercheranno da soli delle spiegazioni, il mistero e il silenzio da parte dei genitori attiverà in loro un malessere e fantasie negative e catastrofiche. La parola d'ordine dunque è comunicare, altrimenti si sentiranno soli di fronte alle preoccupazioni e non si sentiranno considerati».

Come comunicare la diagnosi al bambino

Per evitare proprio i rischi descritti sopra, nei reparti di oncologia pediatrica c'è un grande lavoro di equipe che coinvolge medici, genitori e infermieri che riguarda la comunicazione della diagnosi e l'accompagnamento successivo. «Sorvolando sui primi 3 anni di vita, in cui la comunicazione della malattia avviene normalmente ai genitori, la psiconcologia suggerisce che dai 4-5 anni il bambino sia al centro del processo».

Spesso il medico comunica la notizia al bambino insieme ai genitori o chiede a loro di fare da tramite, ma dovrebbe in realtà essere lui a dirlo direttamente al bambino e non i genitori: «I motivi sono molteplici. Innanzitutto l'esperto è lui, e fa anche dei corsi per comunicare al meglio le diagnosi; secondo, perché i bambini sanno identificare i diversi ruoli: il medico ne sa più dei genitori e si aspettano dunque che le questioni mediche sia lui a dirgliele.

Ricevuto il consenso dei genitori, prima il dottore da solo con il bambino gli spiega la malattia e che cosa cambierà nella sua vita e risponderà alle sue domande. Poi il bambino va dai genitori a dire loro cosa ha detto il medico: si apre così il dialogo in famiglia e per il bambino è un processo importante in cui, tramite il proprio racconto, inizia a rendersi conto della cosa».

Come parlare della malattia a vostro figlio

La comunicazione della diagnosi non è una lezione di medicina, ma è un dialogo: «Il medico e i genitori devono entrare in sintonia con il bambino, modellando l'intervento in base al bambino e all'età. Se i genitori sono d'accordo, il medico può usare il nome della malattia: sarebbe meglio dare il nome vero alle cose, ma a volte può solo spaventare».

Usate le metafore. La chiave è parlare lo stesso linguaggio del bambino: «Gli strumenti più indicati per spiegare la dinamica della malattia sono le metafore, che non mentono ma rendono comprensibile e visibile la realtà. Disegni, cartoni animati, favole: "Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti" diceva lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton. Già dalla preadolescenza, invece, si può parlare in un linguaggio più tecnico perché studiano alcune cose a scuola e vogliono sapere tutto con precisione».

Per spiegare una leucemia è molto usata la metafora del giardino: «Fiori, piante ed erba rendono bello il giardino che c'è nel corpo (il midollo), ma le ortiche (le cellule cancerose) minacciano il giardino e crescono in modo spontaneo. Il giardiniere (il medico) dovrà estirpare quelle erbacce con alcuni medicinali».

Cosa dire sulla malattia a vostro figlio

La giusta metafora non vi metterà "al sicuro" dalle domande di vostro figlio, che anzi sono un buon segno.

«Si chiederà ad esempio se succede a tutti o solo ad alcuni, e se per caso lui ha fatto qualcosa di sbagliato che ha fatto arrivare la malattia. D'altronde in passato sarà capitato che si sia preso un raffreddore perché aveva giocato sotto la pioggia, e magari lo avevate ripreso. Rassicuratelo che questa cosa è diversa».

Preparatelo al fatto che la sua vita un po' cambierà: «Si passerà più tempo in ospedale, alcune cose non potrà più farle o per un po' non ne sarà in grado, potrà avere la nausea o perdere i capelli durante le terapie. Però questi cambiamenti saranno temporanei: ricordatevi che la gravità della situazione vostro figlio la dedurrà solo dal vostro stato emotivo».

Cercate poi di non essere iperprotettivi. Tendenza giustificabile, ma da evitare, quella di creare attorno al piccolo paziente una bolla: «La malattia di un figlio già di per sé porta a una inevitabile regressione del sistema familiare: il bambino avrà più bisogno di attenzioni perché dovrà essere seguito in tutte le terapie o in caso di difficoltà fisiche. Bisognerà però che i cambiamenti per lui si limitino a questo, per non farlo regredire troppo nello sviluppo e in quelle autonomie magari da poco conquistate. Spesso invece la mamma rischia di creare un rapporto simbiotico con il figlio malato che è disfunzionale, perché esclude il resto dei familiari e riporta il piccolo a uno stato di forte dipendenza».

Come comportarsi con il fratello di un bambino malato

Se la famiglia oncologica è composta poi da fratelli, è necessaria ancora maggiore attenzione di fronte al cambio di equilibri in casa: «Non è raro che, con i genitori concentrati sul figlio malato, i fratelli vengano un po' "dimenticati"».

  • Coinvolgete i fratelli. Gli adulti non devono disinvestire troppo sulle altre relazioni familiari, ma anzi coinvolgete i fratelli e spiegate loro la situazione: «Uno spostamento di attenzioni non ben spiegato e condiviso con gli altri fratelli può causare in loro rabbia ma anche senso di colpa: se i genitori "non mi vedono più e non mi considerano, forse ce l'hanno con me: per caso è colpa mia la malattia di mio fratello?"; mi è capitata la vicenda di un bambino che si metteva nudo sul balcone in inverno per tentare di ammalarsi e così poter ricevere le attenzioni che erano tutte per la sorellina malata».
  • Non iper-responsabilizzateli. Va bene dunque spiegare la malattia ai fratelli e coinvolgerli nella cura, ma attenzione a non indurre un eccessivo senso di responsabilità: «Se da un lato il figlio malato viene de-responsabilizzato e regredisce nella sua autonomia, ai fratelli capita invece che si chieda di cavarsela da soli o di aiutare il malato anche oltre le loro forze: ricordatevi che anche loro sono vostri figli e hanno bisogno di coccole e cure!».

Quando ad ammalarsi è un adolescente

Per la fascia d'età della preadolescenza e adolescenza le cose sono molto diverse. «In un momento di sviluppo e definizione di sé così delicato, una malattia comporta conseguenze che possono essere più complesse e suscitare nei ragazzi reazioni più sfaccettate: il corpo e la sua integrità sono infatti strettamente legati allo sviluppo della propria identità. Dopo la pubertà, per esempio, la paura della morte - prima assente - ora c'è. Anche le reazioni emotive sono meno trasparenti: la rabbia può essere un modo per nascondere quello che sente davvero. E, se da un lato vuole essere preso sul serio e trattato come un adulto, dall'altro vuole anche essere rassicurato: può volerci più tempo ad esempio affinché il ragazzo accetti la realtà.

Voi genitori dovete esserci, attendere i suoi tempi e offrire ascolto e sostegno quando lo vorranno».

Un consiglio di lettura: "Quando un figlio si ammala. Momcilo Jankovic e una filosofia di cura per bambini e adolescenti" della Franco Angeli, scritto da Paola Scaccabarozzi con l'aiuto di Momcilo Jankovic, pediatra onco-ematologo che da quarant'anni svolge il proprio lavoro con una vera e propria filosofia di cura che va oltre gli indispensabili consigli pratici.

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