Come crescere figli emotivamente competenti
Si parla sempre più frequentemente di educazione emotiva dei bambini, eppure è ancora difficile applicarla con strumenti e consigli pratici. Eppure le neuroscienze dovrebbero venirci in aiuto: Davide Antognazza, pedagogista e ricercatore sull'educazione socio-emotiva e sulle life skills formatosi a Yale e ad Harvard, consiglia a genitori e insegnanti come crescere bambini emotivamente competenti a scuola e a casa.
Le emozioni sono educabili?
Tutti gli esseri umani sperimentano la propria vita emotiva e le emozioni sono le stesse per tutti: «Essendo dunque un'esperienza condivisa, con un terreno comune, le emozioni sono educabili» conferma l'esperto. «Questa idea intuitiva è supportata anche dalle neuroscienze, che dimostrano che alcune parti del nostro cervello sono principalmente deputate alla reazione emotiva e lavorano in collaborazione con la parte cognitiva. Se per secoli ci siamo distinti dagli altri esseri viventi descrivendoci come esseri principalmente razionali e in grado anche di sentire, sarebbe più corretto dire che siamo esseri innanzitutto senzienti che in più sanno anche ragionare».
Perché è importante educare le emozioni
Una società deve allenare anche questa parte umana perché le emozioni esistono e non possiamo prescindervi: «Prima di tutto, il mondo delle emozioni semplicemente esiste nei nostri bambini; e poi il sentire ha a che fare con i comportamenti e la vita concreta. Se non ti occupi delle emozioni, loro in ogni caso si occupano di te: permeano il nostro agire, ci abbiamo a che fare ogni giorno». Ma di fronte a un'emozione, che non è toccabile, cosa posso fare? «Fino a 20 anni fa si associava ciò che è intangibile all'irrazionalità. Nella società della logica, il pensiero deve dominare e controllare. Tuttora molti pensano che le emozioni debbano essere messe da parte nei processi decisionali, ma scelte come che lavoro fare, che persona volere al proprio fianco o dove andare a vivere hanno una grossa componente emotiva; nemmeno gli acquisti o la gestione del denaro.
Le checklist e i pro e contro lasciano il tempo che trovano».
Emozioni: cosa fa la scuola oggi e in che direzione dovrebbe cambiare
Le emozioni ci sono anche in classe, naturalmente. Sia perché è un luogo di relazioni umane, sia perché argomenti trattati, compiti e verifiche suscitano eccitazione, ansia, delusione: «La scuola è ancora orientata principalmente alla performance e allo sviluppo delle competenze cognitive più che emotive, ma è ormai consapevolezza generale che il mondo emotivo influenzi l'apprendimento. Se una materia piace o un docente è coinvolgente, i ragazzi stanno attenti proprio grazie a un aggancio emotivo e non alla loro capacità di adempiere a un dovere. A partire da ciò l'attenzione verso Soft skills e transversal skills è in forte aumento e questo sta portando a rivedere l'organizzazione delle lezioni, perché affrontare il sentire degli alunni richiede tempo».
Consigli di educazione emotiva per genitori e insegnanti
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Date un nome a ciò che provate. La prima cosa con i bambini è aiutarli a riconoscere ciò che provano, partendo dal presupposto che le emozioni non sono invisibili: «Avviene sempre un cambiamento: di espressione, di postura, di tono della voce. Per parlare di qualcosa devo dargli una definizione e questo è il primo passo per lavorare di pari passo su tre fronti: saper fare, saper essere e saper sentire. Interrogarsi su cosa si sta provando e perché aiuta a rendersi consapevoli di come si funziona, di come ci si relaziona con il mondo e che alcuni meccanismi sono costitutivi di sé. Se mi conosco, cerco di fare le cose che mi fanno stare meglio».
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Accogliete l'emozione, educate il comportamento. Tutte le emozioni sono accettabili: sono il prodotto della nostra evoluzione e anche le più brutte (come la paura) sono utili all'uomo. Non tutti i comportamenti però sono accettabili: anche la reazione più istintiva è un atto tangibile orientato da un'emozione.
«Non possiamo dire a un bambino "non ti arrabbiare" o "non essere triste": sta già provando quell'emozione e non c'è nulla di male. Certo ha senso non voler provare le sensazioni più negative, ma è impossibile che non capitino mai. Fate capire a vostro figlio che essere sballottati emotivamente non è un problema, lo è se quello stato dura giorni e le emozioni (a volte frutto di valutazioni veloci e per questo grossolane e non precise) diventano pensieri e idee strutturate».
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Trovate i momenti giusti. Nel momento di una grossa manifestazione emotiva limitatevi ad accettare e contenere, il bambino non è pronto a rielaborare ciò che gli sta succedendo. «Quando la spinta emotiva si placa, tornate sul tema: "Cosa è successo, come sei stato?"; "Come la chiamiamo questa cosa?"; "Dove ti ha portato la tua reazione?"; "Come si sono sentite secondo te le persone attorno?". Oppure, se l'emozione è altrui, chiedete a vostro figlio: "Ti sei accorto che era triste?". Riconoscere la situazione è iniziare ad affrontare ciò che siamo. Non create dei momenti forzati, ma trovate spazi nel flusso della giornata: non è detto che i momenti maggiormente educativi siano quelli più eclatanti o "solenni"».
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Sintonizzatevi con la classe. Prima di iniziare la lezione, dedicate qualche minuto a connettervi con il mood della classe: «Partire in quarta con i paraocchi, se la classe è agitata o distratta, è controproducente. Meglio chiedere loro come stanno, magari ogni tanto facendoglielo scrivere su un post it. Non solo è un momento di apprendimento puro e fornisce a voi informazioni utili sugli alunni, ma trasmette loro che anche l'altro sta provando qualcosa: lo sviluppo dell'empatia parte da qui».
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No all'ora di educazione emotiva. «Consiglio l'ora di educazione emotiva al massimo alla scuola dell'infanzia.
Poi il discorso sulle emozioni dovrebbe permeare la vita famigliare e scolastica: la letteratura, la storia hanno degli aspetti emotivi (pensiamo alle poesie o al morale delle truppe in guerra), l'ansia prima di una verifica di matematica può essere un ottimo pretesto di discussione». Se genitori, insegnanti, educatori e psicologi scolastici affrontassero i temi del sentire, sia con chiacchierate individuali sia con momenti meno strutturati, i ragazzi vedranno come naturale parlare delle loro emozioni: «Si tratta di dedicarvi più tempo possibile e offrire più occasioni da più lati possibile. Poi il lavoro lo deve fare il ragazzo».
L'intervistato
Davide Antognazza è pedagogista formatosi in psicologia cognitiva alla Yale University e in seguito alla Harvard University, presso la Graduate School of Education. Oggi è docente ricercatore senior presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di Locarno e docente della Scuola Francesco Berto. Per le Edizioni La Meridiana ha scritto 'Crescere emotivamente competenti' (2017), 'Dentro l'aula' (2020), 'Evermind. Educare all'attenzione e alla concentrazione' (2021) e ha tenuto i 3 webinar del Ciclo 'In principio c'è la E'.