Come disintossicare un bambino dai videogiochi
Oggigiorno tra le lotte quotidiane in famiglia c'è sicuramente quella della fruizione dei videogiochi. I bambini e i ragazzi non ne avrebbero mai abbastanza e i genitori non sempre riescono a porvi un argine adeguato. Nella fase dello sviluppo, però, l'esposizione eccessiva ai videogame ha degli effetti negativi a livello neurologico e psicologico e può causare dipendenza. Ecco alcuni consigli su come disintossicare un bambino dai videogiochi dello psicopedagogista Stefano Rossi, autore del libro "Mio figlio è un casino" (Feltrinelli, 2022).
Come è cambiata la funzione dei videogame
Ci sono almeno 4 fattori di novità nel videogaming di ogg, come ci spiega Stefano Rossi:
-
Portabilità. In passato si poteva giocare solo in casa e così il genitore era più facilitato a monitorare l'uso della console. «Oggi invece molti videogame sono fruibili anche sugli smartphone e fuori casa: ciò impedisce il monitoraggio sia della quantità che della qualità del loro utilizzo».
-
Immersività. La quantità di psicologia che abita i nuovi videogame ha l'obiettivo di renderli irresistibili non solo dal punto di vista della giocabilità, ma anche nel soddisfacimento di bisogni più profondi. «Più le neuroscienze avanzano, più i videogiochi ne sfruttano le scoperte a proprio vantaggio. In particolare gli studi sul funzionamento del cervello e della dopamina, implicata nei meccanismi di dipendenza di qualsiasi tipo. Questa molecola ci dà piacere e al contempo ci tiene attaccati a questo piacere».
-
Gli streamer. Da qualche anno ormai è nata una nuova figura di creator: lo streamer, ovvero un influencer del web che gioca ai videogame in diretta e intrattiene i suoi follower. «Qui oltre al piacere del gioco si va a creare un legame affettivo ed empatico con lo streamer, che porta a rimanere incollati allo schermo per ore non solo per giocare, ma anche per guardare altri giocare».
-
Violenza. Videogiochi particolarmente cruenti come GTA o Call of Duty premiano brutalità e aggressività e ciò ha un impatto sulla sensibilità dei ragazzi.
Gli effetti dei videogiochi, la desensibilizzazione
Per desensibilizzazione si intende un calo della capacità empatica, ovvero il diventare via via più indifferenti al sentire dell'altro. «Le ricerche che cito nel mio libro hanno osservato che l'eccessiva esposizione a videogame violenti e di nuova generazione causano una perdita di sensibilità. Non sanno ancora dire se sia un effetto a lungo termine». La spiegazione è che l'empatia è situata nella corteccia prefrontale, la parte più evoluta del nostro cervello ma anche quella che, per attivarsi, richiede maggior energia. Per metterci nei panni dell'altro, insomma, impieghiamo molte risorse mentali. «Si è visto che, giocando anche solo 1 ora e mezza a questi videogiochi, il cervello va "in risparmio energetico" e spegne il radar dell'empatia, che in più non aiuterebbe ad essere performanti nel gioco». Giocando, i nostri figli dunque dis-allenano la capacità di attivare quella parte di cervello, anzi si allenano ad escluderla.
Gli effetti dei videogiochi: la diminuzione delle capacità sociali
Un secondo effetto è la diminuzione dell'intelligenza sociale, l'arte che ci permette di stare in modo equilibrato e generativo insieme agli altri. «Una life skill che non si può che imparare con la corporeità, portando il proprio corpo nel mondo e confrontarsi gradualmente con il disagio che questo può provocare. Esporsi allo sguardo altrui non è semplice, ma è esercizio essenziale. Ripetere l'esperienza di incontro anche in presenza pian piano va a diminuire la mia ansia sociale e aumenta le mie capacità relazionali: di ascoltare, di essere assertivo, di mediare i conflitti, di collaborare». Il problema qui è in tutti quei videogame, come Fortnite, che permettono di giocare da remoto. Avere amici in ogni parte del mondo senza muoversi dalla propria stanza è, più che un arricchimento, un'illusione di socialità.
«Se infatti un ragazzo inizia a dedicare più tempo a questa cerchia di interazione, non allena le reali capacità relazionali che si sviluppano solo uscendo dalla propria zona di comfort e affrontando lo sguardo dell'altro sia nella sua bellezza che negli aspetti conflittuali, fino ad essere in grado di sostenerlo».
Come disintossicare un bambino dai videogiochi: il ruolo dei genitori
Per disintossicare un bambino dai videogiochi bisogna innanzitutto vigilare sulla nostra genitorialità. «Chiamo "genitore con l'auricolare" quei genitori che, mossi dalle migliori intenzioni di fare il bene del figlio, lavorano e sono iperconnessi perché questo la società oggi chiede e non sanno trovare alternative. Così facendo, però, anziché consegnare al figlio la profondità della propria presenza gli consegnano la drammatica verità della propria assenza. E in una vita accelerata in cui non c'è più tempo per nulla, i videogame e gli smartphone diventano i babysitter cui affidano i figli. Il bisogno fondamentale di bambini e adolescenti, però, è di essere nello sguardo dell'altro».
Come disintossicare un bambino dai videogame
Ci sono azioni e strategie che possiamo adottare affinché si possa riuscire nell'intento di disintossicare il proprio bambino dai videogiochi.
-
La giusta misura a casa. "L'uomo che non conosce la misura, tema il suo destino" dicevano i greci. Ed è un principio da applicare anche a casa. «Il mito di Dedalo e Icaro è una metafora perfetta. Icaro precipita perché esagera, attratto dall'appagamento della sua voglia e non sa controllarsi. I genitori di oggi sono novelli Dedalo, che non aiutano i figli ad autolimitarsi non limitandoli a loro volta. I genitori devono vigilare che il "drago digitale" non si allarghi, occupi tutto il suo tempo libero e infine rapisca il figlio, distogliendolo da quelli che sono i suoi compiti evolutivi: la scuola, la socialità (vera, fatta con il corpo), la corporeità di uno sport».
-
Educazione digitale a scuola. Alla scuola secondaria di primo e secondo grado i ragazzi dovrebbero essere educati sia emotivamente che digitalmente a saper stare nel mondo virtuale. «Un approccio troppo limitante agli strumenti digitali rischia di far perdere ai ragazzi una quota di competenze e di capacità di incontro dell'altro anche in questo contesto».
-
Sfruttiamo lo sguardo. L'educazione relazionale può recuperare proprio ciò che manca nei social e nei videogame, perché di mezzo c'è uno schermo o un avatar: lo sguardo. «L'attività "Riesci a sentire il sentire dietro i suoi occhi?" suggerisce, di fronte a un comportamento negativo di un ragazzo, di non fare una "predica". Si tratta di un approccio che parla alla testa del ragazzo ed è freddo e dissonante. Create invece un ponte tra i cuori, affinché il bambino provi a sentire il cuore altrui. "Hai reagito in modo aggressivo e ora il tuo fratellino piange ed è spaventato. Prova a guardare i suoi occhi: attraverso i suoi occhi quale pensi possa essere il suo sentire in questo momento?"».
Il “Taccuino dell’empatia” per disintossicare un bambino dai videogiochi
L'educazione all'interiorità e all'empatia aiuta ad allenare quelle aree del cervello che i videogame tendono invece ad atrofizzare. «A scuola si dovrebbe educare i bambini e ragazzi non solo a pensare e a riflettere (sul lato cognitivo), ma anche a sentire: sentire prima il mio sentire e poi quello altrui. Il Taccuino dell'empatia è uno strumento che utilizza la risonanza empatica. Si tratta di un quadernino che si può usare a casa o in classe per stimolare i bambini a mettersi in contatto con il proprio sentire, provando a scrivere quali pensieri, quali emozioni (gioie, paure, arrabbiature, tristezze, soddisfazioni, sogni, scoperte) portano nel cuore. Affinché noi possiamo creare connessioni emotive con gli altri, dobbiamo imparare a riconoscere le nostre emozioni prima e poi quelle dell'altro.
Allora abituarli a questa pratica è un modo per coltivare quell'interiorità che è messa ancora ai margini dell'ambito scolastico, dove dominano la misurazione delle performance e l'oggettività. L'interiorità punta invece alla soggettività e alla sensibilità».
L’Educazione all’ecologia per disintossicare un bambino dai videogiochi
In una società accelerata e prestazionale, anche quando siamo in mezzo alla natura non la vediamo. Il fenomeno della plant blindness è la tendenza degli esseri umani a ignorare le piante e quel verde che si prende cura di noi. «Per disinnescare questa continua immersione nel mondo digitale dobbiamo aiutare i ragazzi a rinnamorarsi del mondo, quello vero. Basta poco: ad esempio portando i nostri figli o studenti in un giardino, per riassaporare il gusto del sostare nella natura e riallenare il proprio sguardo a riconoscerne le bellezze, anche le più piccole, con tutti e cinque i sensi». Si tratta di un misto tra educazione ecologica ed educazione empatica, che può avere più step. «Potete chiedere ai ragazzi uno sforzo poetico, provando ad ascoltare la voce di un albero e immaginandosi cosa stia comunicando loro. Poi chiedergli un passaggio creativo: scrivere una storia, una poesia, una canzone o fare un disegno per descrivere l'incontro con questa pianta. Farli accorgere della natura vuol dire educarli a una cura del mondo di cui c'è sempre più bisogno».
L'intervistato
Stefano Rossi (www.