Come spiegare l’inclusione ai bambini
Siamo tutti diversi e di questo i bambini si accorgono ben presto. L'altro non è come me in tutto e per tutto, eppure saper stare insieme e non escludere nessuno è un insegnamento essenziale per la vita. Ecco i consigli della Pedagogista Elena Urso dello Studio Rossini Urso per spiegare l'inclusione ai più piccoli
In questo articolo
Cos’è l'inclusione per i bambini
«L'educazione al rispetto dell'altro comincia da piccoli, da quando i bambini iniziano ad osservare i comportamenti in casa e fuori casa delle persone vicine a loro» esordisce l'esperta. Ecco cosa significa educare all'inclusione a seconda delle fasce d'età:
- Asilo nido. I bambini molto piccoli non percepiscono tanto la diversità come un problema e tendono a concentrarsi sugli aspetti che li accomunano. Ciò non vuol dire che il tema dell'inclusione non si ponga, anzi: «È più in generale la presenza dell'altro in sé (e non specificamente del diverso) a metterli in discussione: l'inclusione a questa età è iniziare ad integrare l'altro da me in un orizzonte che è molto egoriferito».
- Scuola dell'infanzia. La negoziazione e la buona convivenza con i compagni è un obiettivo educativo che accompagna tutta la scuola materna, che lavora sulla definizione di regole, spazi e giochi comuni. «I bambini prima devono conoscere il proprio mondo interiore e poi che esistono anche gli altri, ognuno con le sue emozioni e forme di comportamento. E queste emozioni a volte combaciano, a volte sono diverse o addirittura opposte alle proprie».
- Scuola elementare. Alla scuola primaria si potenzia questo allenamento propedeutico alla vita adulta e a forme di inclusione più sofisticate (ad esempio rispetto a differenze di nazionalità e credo politico o religioso): «Fino alle elementari i bambini si affidano a insegnanti ed educatori nel processo di crescita e accettano con meno senso critico la regola dell'inclusione».
- Scuole medie e superiori. Alla scuola secondaria di primo grado invece aumenta la consapevolezza delle differenze che ci sono tra sé e gli altri: «I ragazzi cominciano a riconoscere sempre di più la diversità ed è qui che si tirano le fila del lavoro precedente: l'inclusione non è più un dettame da seguire ma qualcosa che deve far parte del modo di essere dei ragazzi».
Come educare all’inclusione in famiglia
La famiglia è fondamentale soprattutto per lo sviluppo emotivo del bambino, che comincia nei primissimi mesi di vita.
- Allenate la loro empatia. Parlate delle vostre emozioni per trasmettere che anche loro sono liberi di farlo con voi, e che voi prenderete sul serio quello che vi diranno e proveranno. «La classica comunicazione serale è perfetta per scambiarsi le emozioni e i sentimenti della giornata. "Cosa pensi che abbia fatto la mamma al lavoro?"; "Oggi ho litigato con un collega" è un ottimo esercizio perché è un modo molto pratico per mostrare la comunicazione dei sentimenti e a uscire dal loro punto di vista egoriferito, allenando così la loro empatia».
- Non abbiate paura delle emozioni negative. È in casa dunque che si impara a includere in sé tutte le emozioni, senza aver paura delle emozioni negative come tristezza, delusione e frustrazione che spesso bloccano più i genitori dei figli: «Non vivetele con ansia e non fategliele evitare. L'obiettivo è far capire a vostro figlio che tutte le emozioni che prova vanno bene, tutte le parti di sé vanno bene. Entrare in relazione con gli altri in maniera aperta e tollerante sarà così più facile».
- Non edulcorate le fiabe. Integrare in sé anche le emozioni faticose è un ottimo passo e le fiabe hanno la funzione di avvicinare i bambini nel giusto modo anche alle parti della vita più difficili e "scabrose". «Usate le fiabe, soprattutto quelle classiche, senza risparmiare ai bambini le parti più dure: ognuno di noi ha una parte cattiva che non bisogna rimuovere dalla mente e ignorare».
- Non buttate i giocattoli rotti. «Per un bambino un gioco rotto non è mai da buttare, ma diventa un'altra cosa e spesso se ne prendono anche maggior cura: anche voi dunque non buttateli, anzi provate a trattarli con maggiore attenzione. Per i piccoli è il modo migliore per accettare tutte le forme di diversità».
- Donate dei giocattoli insieme a loro. Educateli anche a donare qualcosa di proprio. «Fate scegliere a loro qualche giocattolo da regalare, perché lo scelgono e a chi vorrebbero donarli. Scegliete pochi giochi e accompagnateli nel percorso spiegando bene loro a chi andranno: questo è un modo di integrare nei loro pensieri, senza averne esperienza diretta, l'esistenza di altre persone».
Come insegnare l’inclusione ai bambini della scuola dell’infanzia e primaria
- Spiegate le cose con sincerità. I bambini osservano molto e riconoscono subito la diversità, ovvero qualcosa che devia dalla propria norma soggettiva. «Già uno con gli occhiali è diverso e in loro sorge spontanea la domanda "Perché?". A questi quesiti, non mettetevi sulla difensiva e non giudicatela discriminatoria: i bambini chiedono per sapere, per curiosità, senza giudizi di valore. Usate anche metafore come "La natura fa i fiori colorati in modo diverso e così i prati sono più belli. È così anche con le persone". I bambini registrano la differenza, la elaborano e vanno avanti tranquilli».
- Lavorate in gruppi eterogenei. Mischiate età, genere ed etnie per fare lavori di gruppo in cui ciascuno sia valorizzato per il proprio apporto. E non tenete i gruppi fissi.
- Usate il cibo. L'incontro tra culture ed etnie diverse avviene attraverso il cibo, un bisogno e un piacere che accomuna tutti gli uomini e le donne. «Assaggiare cibi diversi, apprezzarne il sapore e anche la cura che ciascuno ha messo per prepararli per gli altri è una splendida metafora di accoglienza».
- Libri e fiabe. Leggete fiabe di letterature diverse e arricchite l'angolo dei libri in classe e in casa. «È facile in questi scritti trovare differenze ed elementi simili. Suggerisco per le elementari anche la lettura de "Lo sguardo del lupo" di Giancarlo Ferron (ed. Biblioteca dell'Immagine, 2015)».
- Il gioco spontaneo. Tutti i giochi che hanno regole predefinite aiutano, perché i bambini tendono ad escludere l'altro, a non aspettare il proprio turno o mettersi in fila. «Il gioco spontaneo è però altrettanto importante, perché è necessaria la capacità di autoregolamentazione: i bambini sono costretti a lavorare in autonomia, senza direzione da fuori».
- I compagni che fanno più fatica non rallentano la classe. Sfatiamo il mito che gli alunni stranieri con poca conoscenza della lingua o i compagni con disturbi dell'apprendimento rallentino il programma della classe: «È un equivoco in cui cadono spesso i genitori, ma in realtà gli studi dimostrano che l'educazione tra pari è efficace: i bambini, se chiamati ad aiutare un compagno, apprendono loro stessi molto meglio e acquisiscono maggiori capacità di rielaborare i concetti e di spiegarli. Un bambino poi è molto più interessato se interagisce con un coetaneo. Ecco perché, a maggior ragione, la persona da alfabetizzare non va trattata come un problema ma come un elemento da integrare per lavorare insieme».
- Invitate i compagni a casa. Tutti i bambini hanno le preferenze e non dobbiamo insistere che siano amici di tutti, ma «sollecitiamoli ad avere una certa apertura nell'invito a casa, così facendo favoriamo un atteggiamento di accoglienza verso gli altri».
Come spiegare l’inclusione ai ragazzi delle scuole medie
- Attenzione al linguaggio. La scuola secondaria di primo grado è una tappa verso la maggior conoscenza del mondo e delle dinamiche sociali, ecco perché è importante porre l'attenzione sul linguaggio usato: «A questa età il linguaggio si fa più esplicito e aumenta la tendenza a commentare. Educateli ad evitare modi di esprimersi discriminatori e fate loro capire che peso possono avere le parole».
- Fate notare le conseguenze delle azioni. La capacità di mettersi nei panni degli altri è un processo lento: «Dagli 11 anni i bambini iniziano a capire cosa provano gli altri, ma questo ancora non li rende in grado di censurarsi e di modificare il loro comportamento in funzione di questa maggiore empatia: capiscono, ad esempio, che un ragazzo ci rimane male di fronte a un'offesa ma lo prendono in giro lo stesso. Lavorate su questa capacità di trasformare la loro percezione in un'azione concreta».
- Libri sull'inclusione. Far leggere i ragazzi affina i loro pensieri rendendoli più complessi. «È più facile parlare di sé a partire da libri o film. Consiglio la trilogia di Italo Calvino "Il visconte dimezzato", "Il barone rampante" e "Il Cavaliere inesistente" e il racconto di fantascienza "Sentinella" di Fredric Brown».
- Film sull'inclusione. «Oltre a "Wonder" consiglio "Jojo Rabbit" che parla di inclusione e discriminazione, ma anche la serie tv "Stranger Things", che parla di mondi diversi: la fantascienza è un modo per discuterne in modo non convenzionale, perché tratta i temi in modo abbordabile e ambienta le storie in un luogo indefinito che ci fa abbassare le difese rendendoci così più ricettivi».
L'intervistata
Elena Urso è Pedagogista dello Studio Rossini Urso (assieme alla collega Elisabetta Rossini). È autrice di numerosi libri dedicati alla genitorialità, tra cui "I genitori devono essere affidabili, non perfetti" (Edizioni Edicart, 2015) e "Dudù e la torcia magica" (Edizioni Edicart, 2019). Tutti i loro libri si trovano a questo link. L'8 marzo 2021 saranno relatrici all'evento online "Il talento delle donne" organizzato dal comune di Milano.