Come spiegare la non violenza ai bambini
Celebrare la nonviolenza non vuol dire semplicemente ripudiare la guerra e ricordare le gesta del Mahatma Gandhi. Significa adottare un preciso stile di vita non aggressivo nei confronti dell'altro, che si costruisce giorno dopo giorno con piccoli gesti quotidiani. In occasione della Giornata internazionale della nonviolenza, ecco i consigli di Elisabetta Rossini, pedagogista dello Studio Rossini Urso, per educare i propri figli alla nonviolenza.
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Cos’è la nonviolenza
La nonviolenza non è un concetto astratto o una semplice presa di posizione politica e storica rispetto all'uso della violenza per risolvere conflitti sociali o tra Stati. È qualcosa di più profondo e estremamente concreto: «Ha a che fare con la gentilezza e il rispetto verso se stessi e gli altri» esordisce l'esperta. «Vuol dire sforzarsi a relazionarsi con gli altri senza sminuire o prevaricare, non attuando violenza fisica, verbale o psicologica, ricatti, provocazioni, atteggiamenti ostili. Questa è la violenza quotidiana cui rischiamo di abituarci, più subdola perché non ha effetti eclatanti o macroscopici come una guerra». È dunque un modo di approcciarsi alla vita e agli altri più gentile e in armonia; ma non vuol dire essere remissivi o non reagire di fronte a dei torti: «Il punto anzi è non fare violenza a noi stessi, reprimendo certe emozioni negative, ma nemmeno al prossimo mostrando disappunto, rabbia e nervosismo in modo inappropriato».
Come spiegare la nonviolenza ai bambini
Un modo di essere è difficile da spiegare ai bambini: molto più semplice, anche se richiede un impegno costante e attento, è mostrare loro cosa significa essere nonviolenti: «Va spiegato e educato piano piano, ogni giorno, trasmesso fin dalla nascita con i propri comportamenti. Dal rispettare la fila al supermercato a non reagire in modo sconsiderato se uno in auto ci taglia la strada, i nostri figli ci osservano sempre e introiettano il nostro esempio.
Devono vedere che rispettiamo le regole e che i furbetti non possono approfittarsi di noi, ma anche che c'è modo e modo di esternare le proprie reazioni. E essere nonviolenti vuol dire farlo nel modo più giusto, che non faccia male a sé e agli altri».
Come educare alla nonviolenza nella scuola dell’infanzia
Per educare alla nonviolenza, usate il metodo della genitorialità positiva: «Nell'età della scuola dell'infanzia, ma anche successivamente, i bambini hanno bisogno di domande guida di fronte a nuove situazioni. State loro accanto ma facendo un passo indietro rispetto agli episodi e intervenendo in modo interlocutorio: "Cos'è accaduto? Come ti sei sentito?". Iniziate da quando sono molto piccoli, quando non sono ancora in grado di dare una risposta compiuta: lo scopo è far partire in loro una riflessione cui si confronteranno nel corso del tempo».
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Educate alle emozioni. Per prima cosa è fondamentale un lavoro per riconoscere le emozioni. Prima concentrandosi su quelle che prova il bambino, e poi man mano che cresce aprendosi e interrogandosi sulle emozioni altrui. «I bambini hanno bisogno di vivere un momento dell'infanzia in cui si sentano liberi di mostrare tutte le emozioni che provano senza per questo sentirsi cattivi o sbagliati. Se censuriamo subito i loro scatti dovuti a rabbia o aggressività, tali emozioni diventeranno tabù e tenderanno a reprimerle. Invece ogni emozione è giusta, ma va trovata un'alternativa per manifestarla in modo socialmente accettabile. Il nostro ruolo di genitori e educatori non è evitare che le manifestino, ma far sì che le sappiano riconoscere e non ne siano sopraffatti».
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Regole e rispetto. Se i nostri figli con noi si abituano a una certa modalità di relazione, in futuro difficilmente agiranno atti di prevaricazione. «Se mi sento rispettato, lo faccio con gli altri: questo comporta che le regole che stabiliamo non siano imposte, ma fatte percepire come sentimenti buoni nei loro confronti.
Non "devi" essere gentile o bravo, ma "come ti senti quando ti trattano male?" I limiti servono dunque a vivere meglio con gli altri e tutelano il rispetto proprio e altrui: riconosco ciò che non va bene, non lo accetto e me ne difendo ma non mi comporto allo stesso modo». Per mostrare che le regole di comportamento siano naturali e non valgano solo per i bambini, dobbiamo però essere dei modelli: «Il modo in cui reagiamo se ci superano in fila vale più di mille prediche».
Come educare alla nonviolenza nella scuola primaria
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Lasciateli litigare. Sia da piccoli nella relazione asimmetrica educativa con i genitori, sia poi verso i 5-6 anni, quando imparano a giocare con i coetanei, accettiamo i loro litigi: «Nei litigi e conflitti non interveniamo in modo censorio o da giustizieri, decretando chi ha sbagliato e chi no. Questo è l'opposto della nonviolenza perché è impositivo e divide, dicendo che c'è un buono e un cattivo in quella dinamica. Invece i bambini litigano per scoprire che c'è un altro da sé con cui prendere le misure. Se interveniamo in modo brusco non capiscono che c'è un limite, perché glielo diamo noi. Facciamoli invece imparare sulla propria pelle e sperimentare le conseguenze delle loro azioni». Anche qui si tratta di porre le domande giuste: "Non gioca più con te, come mai?". «Alla scuola elementare i bambini devono pian piano smussare l'egocentrismo dei primi anni e dosare le proprie reazioni se vogliono interagire in armonia con gli altri. Non arrivate con una soluzione calata dall'alto e un verdetto: è una tentazione che gli adulti hanno molto di frequente, dato che loro per primi non sanno gestire il conflitto».
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Fateli mettere nei panni degli altri. Saper litigare bene passa anche da un lavoro che va fatto costantemente per tutta la scuola primaria per sviluppare l'empatia.
L'approccio pedagogico è sempre quello che apre possibilità di dialogo e aiuta a riflettere sulle dinamiche sottese a un episodio senza entrare nel merito, almeno non in prima battuta. «Il bambino, grazie alla presenza accanto a lui per anni di un adulto, impara pian piano a capire come si sente lui e poi inizia a riconoscere e rispettare anche le emozioni altrui. "Mi sembra che tu sia arrabbiato, cosa ne pensi?" è una domanda che lascia aperta la riflessione per focalizzarsi sui suoi stati d'animo e il punto di partenza per mettersi nei panni degli altri. Lo step successivo così sarà "Come ti saresti sentito tu, se ti avessero fatto questa cosa?" Ancora una volta, non la classica ramanzina ma il sintonizzarsi su regole universali e "naturali" per vivere meglio insieme».
Giochi sulla nonviolenza
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Scuola dell'infanzia. La fisicità non deve far paura e non deve essere censurata: i giochi violenti con le pistole o la lotta non insegnano la violenza, anzi permettono ai bambini di sfogare la propria aggressività in modi "accettabili" nel contesto giusto e protetto del gioco e del fare finta. «Certo talvolta esagereranno, ma vorrà dire che servirà a prendere le misure con il limite per non arrivare a far male agli altri».
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Scuola primaria. Anche iniziare uno sport di squadra insegna i limiti da non oltrepassare: «Se non si rispettano le regole, finisce il gioco; il rispetto dell'altro, pur in un contesto di "conflitto" perché si perseguono obiettivi uguali ma opposti, è ciò che definisce lo spazio oltre il quale non si può andare».
Libri sulla nonviolenza
Scuola dell'infanzia.
Concentriamoci su letture che parlano di emozioni e non necessariamente in modo esplicito di nonviolenza. «Possono essere libri sull'amicizia o il litigio. È importante poi non spiegare il significato della lettura, ma vedere in cosa si rispecchiano e come si sono sentiti nell'immedesimarsi in quella storia».
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"Scusa!" di Barry Timms e illustrato da Sean Julian (Sassi Junior, 2018)
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"Flon-Flon e Musetta" di Elzbieta (AER, 2004)
Scuola primaria.
Con i bambini delle elementari si può anche partire da situazioni concrete e suscitare discussioni su quello. «Diamo loro la parola e accogliamo ogni loro risposta: potrebbero non vedere il mondo come ci immaginiamo noi, ma non per questo le loro risposte sono sbagliate».
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"La nonviolenza spiegata ai bambini" di Elena Giordano e illustrato da Rosaria Scolla (Il Pozzo di Giacobbe, 2018)
Elisabetta Rossini è Pedagogista dello Studio Rossini Urso (assieme alla collega Elena Urso). È autrice di numerosi libri dedicati alla genitorialità, tra cui "I genitori devono essere affidabili, non perfetti" (Edizioni Edicart, 2015) e "Dudù e la torcia magica" (Edizioni Edicart, 2019).