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Disregolazione emotiva nei bambini: che cos’è e come aiutare i nostri figli

di Zelia Pastore - 05.09.2024 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Che cos’è la disregolazione emotiva? Quando e perché si manifesta? Quali consigli pratici dare a genitori ed educatori? Le risposte della pedagogista Laura Mazzarelli

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Disregolazione emotiva nei nostri bambini

Una fuga improvvisa, di corsa, per un rimprovero apparentemente molto banale; un attacco di rabbia che sfocia in grida e pianto per un'incomprensione facilmente risolvibile; un'aggressività verbale esagerata di fronte a semplici episodi di vita quotidiana: sono solo alcuni degli esempi di manifestazione di disregolazione emotiva che potrebbero mettere in campo i nostri figli.

Ma che cos'è la disregolazione emotiva? Quando e perché si manifesta? Quali consigli dare a genitori ed educatori? Abbiamo chiesto a Laura Mazzarelli, pedagogista specializzata in neuropedagogia e autrice del sito "Il cammino pedagogico", di spiegarci di cosa si tratta e come comportarsi per superare questo momento delicato nella vita dei nostri piccoli. 

Disregolazione emotiva: di cosa stiamo parlando?

"La disregolazione emotiva è una sorta di interruzione dell'equilibrio interno in relazione ad aspetti che riguardano la mente, il corpo e l'ambiente. E si manifesta con delle risposte comportamentali inadeguate per un determinato contesto. L'essere umano prima di arrivare ad autoregolarsi, un'acquisizione complessa che richiede parecchio tempo, deve passare da una regolazione che parta dalla relazione con l'adulto di riferimento. Perché il bambino, da solo, non è assolutamente in grado di equilibrare i suoi stati d'animo interni, ed è quindi proprio nella relazione con i grandi che il piccolo impara a regolare le sue emozioni".

Disregolazione emotiva: i segnali per riconoscerla

Quali sono le manifestazioni della disregolazione emotiva? E come possiamo accorgercene noi genitori? 

"Quando la disregolazione emotiva non è a livello patologico, si tratta proprio di aspetti che riguardano delle espressioni di emozioni in modo un po' esasperato: il bambino non comprende cosa gli sta succedendo quando l'emozione arriva e lo attraversa. E, non avendo ancora sviluppato una competenza verbale e razionale adeguata, utilizza il corpo come strumento per manifestare le emozioni. Per esempio urla, lancia gli oggetti

, si butta per terra, morde. Ma potrebbe accadere anche che la disregolazione si manifesti con uno stato di passività o di disconnessione: si può isolare, si può incantare, può muoversi in modo non fluido o bloccarsi a livello verbale. Queste sono proprio delle modalità che il bambino utilizza per attraversare degli stati emotivi troppo intensi, che non riesce e non ha ancora imparato a gestire da solo". 

Disregolazione emotiva nei bambini: le cause

Cause che generano stress per i neonati da 0 a 1 anno

"Sono tutte quelle cause fisiologiche come

  • la fame,
  • il cambiamento di temperatura corporea,
  • la percezione del caldo e del freddo,
  • il dolore,
  • il sonno.

Tutti questi aspetti generano nel bambino uno stress, che ovviamente lui manifesta con il pianto, agitandosi. In queste situazioni soprattutto nel primo anno, è importante la modalità con cui l'adulto riesce a sintonizzarsi e a gestire il bisogno del bambino: è tutto basato sulla qualità della relazione. 

Come tranquillizzarli

"Per aiutarli a tranquillizzarsi subito spesso basta lo sguardo della mamma o del papà che incrocia i loro occhi, una carezza, un tono di voce pacato ed empatico. Ricordiamoci sempre di non lasciare passare troppo tempo tra il pianto del bambino e la compensazione di quel bisogno: se piange, bisogna cercare di comprendere nel più breve tempo possibile che tipo di pianto è, se è il momento di dargli da mangiare o se si tratta di un pianto di dolore". 

Una base sicura

 "Questa connessione con l'adulto crea una sorta di danza interattiva tra espressione del bisogno da parte del piccolo e risposta della mamma o del papà a quel bisogno. Il primo anno, se agito in modo adeguato, responsabile e consapevole, genera nei piccoli la prima base della loro serenità.

I primi mattoni per quella che sarà il suo successivo sviluppo emotivo". 

Disregolazione emotiva nei bambini di 2 anni

La disregolazione emotiva a partire dai 2 anni. "Questa sorta di relazione deve adeguarsi a quello che è lo sviluppo del bambino: intorno ai due anni inizia quella che viene considerata la fase dei "terribili due". Un periodo molto complesso, perché il piccolo vive in quel momento l'emozione in maniera esasperata. Ha iniziato a parlare, a esplorare, a muoversi e fondamentalmente dice tre parole: io, mio e no. Il bimbo vuole manifestare la sua identità e lo fa sempre usando come "pungiball" l'adulto di riferimento. Vuole suscitare una risposta ai suoi bisogni, vuole ottenere delle cose, ma si trova davanti al fatto che non tutto ciò che lui desidera gli è permesso. Quindi entra in una frustrazione molto forte: lì iniziano le grandi crisi a livello emotivo. E l'adulto deve mettere in atto tutta una serie di altre strategie rispetto a quelle che metteva in campo con il neonato". 

Disregolazione emotiva nei bambini: come si supera quel momento delicato?

"Si accompagna il piccolo, e si attraversa questo momento insieme, lavorando sul proprio stato di calma senza prendere la questione sul personale. Perché se non lo si attraversa in maniera adeguata e, usando un termine tecnico, "sufficientemente buona", si rischia che il bambino metta in atto da solo dei meccanismi di compensazione. Meccanismi che però non sono funzionali e che, per esempio, possono portare a forme di chiusura, di autoconsolazione, o di "autolesionismo" come picchiarsi da solo o sbattere la testa contro una parete, creando così alcune problematiche, da cui poi nascono disturbi e fragilità. Dal punto di vista della complessità dell'essere umano, non si possono separare le emozioni dall'aspetto cognitivo: emozione e cognizione vanno avanti insieme.

Quindi teniamo conto che il cervello di un bimbo molto piccolo non è in grado di comprendere cosa gli succede, non è in grado di dare nome alle emozioni: sperimenta la rabbia, ma non sa che quella si chiama rabbia e cosa comporta; vive la gelosia, ma non è consapevole degli effetti che questa gli va a scatenare dal punto di vista comportamentale". 

Mamma e papà i "marcatori somatici"

"Quindi il ruolo dell'adulto diventa fondamentale per creare quello che, a livello neuroscientifico, si chiama marcatore somatico. Che è proprio una sorta di solco: cioè più l'adulto riesce a rispondere adeguatamente al bisogno del bambino, più il marcatore somatico che si crea diventa funzionale al suo sviluppo. Dunque è importante che il bambino, ogni volta che attraversa una crisi emotiva, riesca a risolverla in modo funzionale a quello che è il suo processo di crescita. Ogni volta che vive questa esperienza di positività, il bambino inizia a interiorizzare che può accadergli di vivere un'emozione anche forte, l'emozione ha delle manifestazioni, ma lui non è quell'emozione e la può attraversare senza frantumarsi interiormente. 

Solitamente qui gli adulti fanno una grande confusione: utilizzano strumenti per sedare l'emozione, ma non gliela fanno attraversare, perché ne hanno paura o perché quell'emozione entra in risonanza con le loro. Succede quindi che il bambino non riesca a comprendere che cosa sta accadendo dentro di lui. Questi marcatori somatici vanno poi a influenzare direttamente l'aspetto cognitivo: se io ho un'esperienza di superamento di un'emozione in modo positivo, anche le mie scelte future saranno condizionate dai criteri che ho interiorizzato".

Disregolazione emotiva: un esempio concreto

Come comportarsi quando si scatena la rabbia

"Un bambino non riesce ad eseguire un'azione che vorrebbe, ad esempio impilare dei cubi: dopo qualche tentativo fallito si arrabbia e lancia tutto.

A quel punto, l'ideale sarebbe che un genitore gli dicesse una frase tipo: «Ti sei innervosito tanto vero? Vieni, riproviamo insieme. Hai visto che ce l'hai fatta?». Che cosa accade al piccolo in questo caso? Rafforzerà la sua autostima, avrà di fianco un adulto paziente che lo accompagna, vivrà comunque quella frustrazione ma poi riuscirà a dire: "Ok, ce l'ho fatta". Così, la volta successiva, quando si troverà di fronte a un'esperienza simile, avrà sicuramente un moto di paura, ma quel "marcatore somatico" gli si riattiverà: gli riporterà alla memoria l'esperienza positiva già vissuta e gli ricorderà che ce la può fare. Quindi il bambino sarà portato a rimettersi in una situazione di difficoltà adeguata al suo sviluppo. 

Come NON comportarsi davanti ad un attacco di rabbia

"Davanti ad una pila di cubi caduti e al conseguente scatto d'ira del bambino il genitore potrebbe reagire anche con frasi tipo: «Sei troppo piccolo, lascia perdere, guarda che disordine che hai fatto». Che pensieri attraversano la mente del bambino? "Mollo tutto, lancio tutto, non faccio niente, non sono capace". Davanti ad un'altra situazione simile quindi il bambino riattiverà questo senso di paura e inadeguatezza, si bloccherà e scapperà.

"Qui si evince la responsabilità educativa e il ruolo educativo che ha l'adulto. Che è enorme, perché in base a come l'adulto si relaziona riesce a costruire, a plasmare il cervello del bimbo. La neuropedagogia dice proprio che c'è un impatto delle azioni educative, della relazione educativa che va a plasmare il cervello del bambino: le emozioni vanno ad attivare l'aspetto fisiologico e quindi il sistema nervoso. Per esempio, quando il bambino si arrabbia, diventa tutto rosso, aumenta la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, aumentano l'adrenalina e il cortisolo.

Poi però è importante che tutto ciò venga incanalato attraverso una buona relazione. E questo ruolo lo svolge il genitore, la figura di riferimento".

Disregolazione emotiva a scuola: come allearsi con insegnanti ed educatori

"Tra scuola e famiglia è fondamentale mettere veramente il bambino al centro della relazione ed è anche molto importante avere una buona conoscenza dello stadio di sviluppo del bambino: gli adulti di riferimento devono sapere come funziona un essere umano tra i 2 e i 6 anni. Perché è proprio la fase in cui il bambino vive nella massima istintività e corporeità, intorno ai 2 anni, fino ad arrivare ai 6 anni, in cui la maturazione del suo cervello lo accompagna ad autoregolarsi lentamente, a dare nome alle cose. Basti pensare che il bambino passa da giochi molto più fisici ad avere il controllo motorio della mano per imparare a leggere e scrivere. Quello che esteriormente vediamo come coordinazione della mano per la scrittura internamente si traduce anche in un controllo emotivo, ovvero la capacità di governare una frustrazione, di mettersi nei panni degli altri e capire il perché sono arrabbiati o hanno litigato con un altro bambino. Quindi il ruolo della scuola e della famiglia dovrebbe essere sicuramente quello di condivisione del processo di crescita del bambino".

Disregolazione emotiva, consigli per genitori ed educatori

Riportiamo qui di seguito una serie di consigli pratici di genitori ed educatori che possiamo sintetizzare in tre parole: accompagnare, guidare, non giudicare il bambino. 

  1. Presenza. "La prima cosa è la presenza: un adulto che è nervoso non può regolare le emozioni di un bambino. Deve essere consapevole, presente a sé stesso e centrato su di sé per governare l'emozione che il piccolo, di riflesso, gli crea, e conoscerla per poi aiutare il bambino a fare la stessa cosa. Quindi intanto suggerisco ai "grandi" di intraprendere un lavoro di saper stare, di connessione col bambino". 
  2. Utilizzo del corpo. "Dato che è un canale privilegiato del bambino, suggerisco di non trascurare l'utilizzo del corpo. Per aiutare mio figlio a conoscere la rabbia non posso dirgli solo: «Stai calmo». Devo lavorare sul suo canale privilegiato, il corpo, magari dicendo: «Guarda, sei tutto rosso, forse ti stai un po' arrabbiando. Proviamo a fare un bel respiro e a soffiare fuori l'aria». In questo modo aiuto il piccolo con molta calma a incanalare le sue azioni corporee, ad essere in contatto con quello che gli accade e a comprendere che se fa un bel respiro la rabbia può andarsene".
  3. Senza giudizio. "Altro aspetto da non dimenticare è quello di accogliere senza giudizio le emozioni del bambino. Questo è fondamentale perché il bambino è già impegnato a gestire la sua ondata di emotività, se poi vive anche il giudizio dell'adulto è ancora più complesso. Quindi evitiamo di dire frasi tipo: «Quando fai così sei cattivo» o «se non la smetti non ti do la caramella». Anzi, l'utilizzo dello stratagemma "premi e punizioni" è assurdo e controproducente".
  4.  Adulti, date l'esempio. "Poi ovviamente è importante l'esempio degli adulti: chi sa testimoniare una sua autoregolazione emotiva, sicuramente agevolerà il bambino. A livello neuroscientifico entrano in gioco i neuroni specchio, ovvero quelli che si attivano in un altro essere umano quando osservano qualcuno che fa qualcosa. Se io osservo un comportamento si attiva una parte della mia corteccia premotoria che si prepara a eseguirlo. E se io vedo un adulto che, quando si arrabbia, lancia tutto, farò la stessa cosa. Dare una spiegazione neuroscientifica ai comportamenti aiuta gli adulti a fermarsi e a pensare. Perché, altrimenti, si scivola nel «ma noi siamo cresciuti così, e siamo sopravvissuto lo stesso». E questo è un rischio". 
  5. Raccontare le emozioni. "Un altro punto importante è la verbalizzazione delle emozioni: siccome tu, che sei piccolino, non sei in grado ancora di dare un nome a quello che senti, ti racconto io che cosa ti è successo. «Oggi ti sei molto arrabbiato perché non volevi scendere dall'altalena. Poi la mamma ti ha preso in braccio e siamo andati via, abbiamo bevuto l'acqua, abbiamo sciacquato il viso». Ecco, raccontare al bambino, narrare che cosa gli succede lo aiuta a riconoscere. Anche se non è ancora in grado di parlare bene, il piccolo sente empaticamente quello che l'adulto gli sta dicendo".
  6. Dare un nome alle proprie emozioni. "Bisogna poi aiutare il bambino a dare nome alle proprie emozioni. Questo lavoro di alfabetizzazione emotiva è un processo che neanche gli adulti spesso fanno: solitamente classificano tutto con un unico nome, ma in realtà dietro a quel comportamento c'è magari una gelosia o una paura. Per esempio quando il bambino non dà la mano alla mamma per strada e scappa, può succedere che quando la madre lo riacciuffa gli dia anche una sberla sul sedere. Ecco, quella non è rabbia: si tratta della paura che qualcuno potesse investirlo. Paura che però si manifesta come rabbia. Quindi è importantissimo aiutare il bambino a discriminare le proprie emozioni. Ma, ovviamente questo lo deve saper fare in primis l'adulto".

L'intervistata

Laura Mazzarelli è pedagogista specializzata in neuropedagogia e autrice del sito "Il cammino pedagogico". Tra i suoi diversi corsi per genitori e insegnanti che trovate sul sito ne segnaliamo uno prezioso per la regolazione delle emozioni: "Educare con la Mindfulness" 

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