Come riconoscere i dolori cronici e ricorrenti dei figli? Come può un genitore valutare il dolore del proprio bambino e cosa può fare? Come gestire la situazione?
Alessandro Failo, psicologo psicoterapeuta, educatore sanitario e docente universitario, è autore del libro Mi fa ancora male. Riconoscere e gestire i dolori cronici e ricorrenti dei nostri figli (Erickson), che offre suggerimenti concreti per gestire il dolore dei figli attraverso indicazioni ed esempi semplici e precisi che illustrano comportamenti preventivi, pratiche di rilassamento e consigli per migliorare la comprensione e comunicazione dei sintomi, anche quando si tratta di bambini molto piccoli o con disabilità.
Il libro di Failo, il quale ha maturato la sua esperienza lavorando con bambini con patologie oncologiche e malattie rare, ha l'obiettivo di aiutare i genitori a individuare i dolori dei figli e a supportare i bambini e i ragazzi nell'affrontarli. Abbiamo intervistato l'autore per saperne di più.
Dolori cronici e ricorrenti nei bambini: che cosa sono?
Il dolore ricorrente
«Dolore cronico e dolore ricorrente sono due cose completamente diverse. Quando abbiamo un mal di testa che viene ogni tanto, che ci limita nel fare le cose e ci dà fastidio, ma poi scompare, allora abbiamo un dolore ricorrente, e c'è alternanza tra momenti in cui si sta male e momenti in cui si sta bene.
Un altro esempio: chi deve fare una terapia per una malattia specifica ed è necessario che si sottoponga a interventi specifici prova un dolore ricorrente. Quest'ultimo, in tali casi, dura pochissimo tempo ed è specifico. Dunque, il dolore ricorrente non ha una causa vera e propria (nel caso del mal di testa) o è dovuto a diverse specifiche terapie.
Il dolore cronico
Un dolore cronico è invece più subdolo, perché è un dolore che non ha un'origine chiara e precisa che è possibile indentificare.
Faccio un esempio: se si ha uno strappo alla schiena, quest'ultimo è curato dal medico e, conseguentemente, si fanno le dovute cure, la fisioterapia, ecc. Quest'ultimo mal di schiena dovrebbe risolversi, una volta curato. Se però, nonostante l'origine principale del dolore sia ormai esaurita, il dolore c'è ancora, allora può diventare cronico. Quest'ultimo non è un dolore immotivato, ma c'è ancora e persiste, nonostante la causa si sia esaurita.
Ciò è dovuto alla trasmissione delle vie del dolore, la quale, però, può essere limitata attraverso specifici farmaci o attraverso emozioni e comportamenti positivi. Spesso il dolore cronico ha più cause e non solo una: se non si viene creduti da amici o genitori, se sono create convinzioni sbagliate o il tono dell'umore è basso, ecc., il dolore persiste nel tempo. Il dolore cronico ha conseguenze variegate e spesso è una vera e propria sfida terapeutica».
Come si riconoscono?
«La fibromialgia, per esempio, è una sindrome che ha aspetti legati a vari punti di pressione del corpo, a un malessere generalizzato, a stanchezza, a difficoltà di sonno. Insomma, è un quadro molto complesso e non è facile trovare un unico motivo per cui esistono questi sintomi. In questo quadro il dolore cronico è contrassegnato da continua stanchezza, spossante fatica e insonnia tali, che durante il giorno ogni sintomo è amplificato e continuamente caricato. Dunque il dolore cronico è costante nel tempo, è un dolore che rode, schiaccia e opprime.
Invece, il dolore ricorrente non ha queste caratteristiche, può essere più acuto, ha una durata più limitata nel tempo, ma può presentarsi più volte durante il giorno. È faticoso, può essere lancinante. Ci sono però buone possibilità di gestirlo: esistono farmaci specifici che funzionano. Diversamente dal dolore cronico, per il quale spesso i farmaci non funzionano subito ed è necessaria una terapia integrata».
Come riconoscere il dolore nei bambini? Esiste una scala del dolore?
«Le scale di valutazione, i questionari, i disegni non dovrebbero essere soltanto di pertinenza dei medici, ma anche dei genitori. Poi, sì, ci sono molte scale per comprendere e identificare il dolore dei più piccoli. Per esempio, esiste la scala dei colori di Eland, utilizzata per i bambini dai 4 o 5 anni in poi. Si presentano quattro quadratini al bambino e gli si chiede di colorarli scegliendo una gradazione diversa in base all'intensità del dolore. Si va dal colore che indica un dolore poco forte a quello che invece caratterizza un dolore fortissimo.
Una volta che il piccolo ha attribuito i colori alle varie gradazioni del dolore, gli si chiede di colorare la figura di un bambino in bianco e nero. Così indicherà le parti del corpo che gli fanno male scegliendo colori differenti. Questa scala è molto intuitiva e utile, facilita la comprensione, da parte degli adulti, della localizzazione del dolore e della sua persistenza».
Genitori, come devono comportarsi
«Se i genitori prendono il tempo di guardare i comportamenti dei figli, di capire come esprimono le loro emozioni, come si tengono la parte del corpo che fa male, cosa cambia nella loro routine, se dormono durante la notte, ecc., possono arrivare dal medico (o psicologo, ecc.) con molte informazioni, con un quadro complessivo della situazione e con una consapevolezza maggiore, importante per aiutare il bambino.
Fondamentale è dunque l'osservazione dei propri figli, che non è solo di pertinenza dei medici, ma anche dei genitori, che, conoscendo tutte le sfumature, possono veramente fare la differenza nella cura del bambino. Anche gli indicatori fisiologici sono importanti: se il bambino suda, piange, la sua quantità di movimento, la respirazione, il battito cardiaco, ecc. Nel mio libro è spiegato anche come integrare insieme tutti questi elementi».
Quando preoccuparsi e rivolgersi al proprio medico
«Credo che ciò valga in modo particolare con i bambini che hanno Bisogni Educativi Speciali, che normalmente ci preoccupano di più per altri fattori come l'integrazione a scuola o, per esempio, relativamente ad atteggiamenti vari. Diamo meno peso all'aspetto del dolore.
Questi bambini hanno caratteristiche specifiche e esigenze particolari. Per esempio un bambino con lo spettro autistico ha una certa ripetitività nei gesti, chiusura, ciondolamenti, ecc. Di fronte al dolore queste caratteristiche si riducono paradossalmente, oppure il gioco da monotono diventa iperattivo o viceversa. Ci sono cambiamenti che sono ancora più importanti da osservare perché sono paradossali rispetto alla maggior parte dei bambini.
Per esempio, una cosa che è banalmente associata al dolore è il pianto. È bene sapere che ci sono bambini che non piangono anche se stanno male, anzi hanno un dolore cronico e magari, invece di piangere, vanno in un angolo a giocare per conto loro. Questo può essere un indice del fatto che stanno male e provano dolore».