Le mamme e i papà “moderni” sono più presenti nella vita dei loro bambini rispetto a quello che hanno fatto i loro genitori, ma il paradosso è che li educano meno, come ha ricordato Daniele Novara (il fondatore del CPPP) in una recente intervista.
Come uscire da questo paradosso? E come potenziare i punti di forza dei genitori di oggi ma al contempo cercare di supportarli nei punti in cui vanno più in difficoltà? Ci siamo fatti aiutare da Paolo Ragusa, formatore, counselor e mediatore di comunità che sarà uno dei relatori del convegno “Dalla parte dei Genitori” previsto per il 13 aprile a Piacenza.
Genitori di ieri e di oggi
Partiamo dal considerare come sono cambiati i tempi, non per avere nostalgia del passato (non ce n’è motivo) ma per inquadrare meglio il presente.
«I genitori di una volta in linea generale erano genitori non interessati ai bambini: potrebbe sembrare un’espressione forte, ma sta a significare che non si occupavano della loro felicità, si prendevano solo cura del loro venire al mondo e del loro “stare” nel mondo, soddisfando i bisogni essenziali», spiega Paolo Ragusa.
Oggi, al contrario, madri e padri sono animati da un grande interesse e amore nei confronti dei bambini, «ma questi sentimenti devono essere gestiti con sufficiente consapevolezza. Oggigiorno ci sono molte occasioni di approfondire, conoscere e studiare il proprio ruolo genitoriale e c’è più possibilità di avere un dialogo tra famiglie su questi temi: sono opportunità che vanno sfruttate con intelligenza».
1. No all’educazione “alla pari”
Più empatici e connessi emotivamente con i loro figli quindi, ma soggetti anche ai rischi dell’altra faccia della medaglia: vediamo di identificare alcuni errori in cui possono incorrere i genitori di oggi.
«Madri e padri attualmente passano tanto tempo, sia fisico che mentale assieme alla loro prole, ma si tratta di un tempo che usano per esprimere il loro interesse nei confronti dei piccoli, un tempo che possiamo chiamare “espressivo”, indirizzato principalmente a far vivere ai genitori delle emozioni».
Cosa rimane però sullo sfondo? «La posizione di servizio e di autorità, ovvero quella di chi è presente per assumersi delle responsabilità nella crescita del bambino.
Il risvolto sul piano educativo di questo atteggiamento è che ci troviamo davanti ad una educazione “alla pari”, non volta a indirizzare il piccolo ma incentrata sullo scambio. Il compito del genitore invece è quello di educare, non di risarcirsi emotivamente di sue mancanze affettive».
La “regia” dell’educazione deve sempre essere in mano al genitore: «un bambino che non può contare sui limiti e la fermezza di un adulto è in una condizione drammatica» chiosa Ragusa.
2. Non confondere la propria vita con quella del figlio
Un altro aspetto su cui i genitori moderni devono fare attenzione è quello di non identificarsi nel proprio bambino, che, ricordiamolo, non è un altro sé in miniatura ma una persona distinta, con i suoi desideri e la sua individualità.
«Proviamo a pensare alla nostra vita come a un cantiere: ecco, la vita del figlio è un altro cantiere. A volte il genitore è come se chiudesse il proprio (ad esempio la vita di coppia, la realizzazione professionale, le relazioni con gli amici) e si trasferisse in quello del figlio».
Con un problema, ovvero che nel cantiere del figlio si tende a cercare di realizzare i propri progetti: «Ognuno di noi ha qualcosa che sta portando avanti e non può abdicare. Sempre stando dentro la metafora, un adulto non può chiudere il proprio cantiere». Lasciare che i figli abbiano il proprio destino non è un abbandono, ma un grande regalo.
3. A ognuno la sua età
Non bisogna perdere di vista neanche l’età specifica che hanno i bambini.
«Spesso mi trovo davanti genitori che mi descrivono bambini di 5 anni che “si comportano da adolescenti” ma anche ragazzi di 15 anni che “non ubbidiscono”: bisogna che gli adulti sappiano che il “no” di un bambino è diverso da quello di un adolescente, che deve definirsi e allontanarsi dai genitori».
Il mito de “il bambino sa cosa vuole” nella realtà non trova riscontro: «Un bambino ha una forte connessione con le sue emozioni ma non sa cosa desidera davvero, deve essere indirizzato e aiutato da un adulto.
L’importante è cercare di stare sempre sintonizzati sui bisogni evolutivi specifici di ogni età e cercare di capire ad esempio che cosa ha bisogno un bambino di 3 anni nei suoi 3 anni».
Uno sforzo da fare da parte dei genitori è quello di «assumere una distanza: far vivere ai figli delle frustrazioni che possono momentaneamente non essere comprensibili per loro, prendere in mano la regia dell’educazione e mettere in conto che ci si può anche sbagliare».
4. Un aiuto che viene dai rituali
Le doti di empatia e attenzione che hanno i genitori moderni possono essere convogliate nella creazione di rituali, tradizioni che ogni famiglia può fare proprie e personalizzare a seconda dell’indole dei vari componenti.
«Le abitudini sono profondamente regolative e rassicuranti - spiega Paolo Ragusa - creano prevedibilità, un fattore determinante per il bambino, che sa cosa lo aspetta e può adeguarsi. L’adolescente invece con le tradizioni e le regole entra in conflitto, ma se non c’è niente a cui ribellarsi farà anche fatica a costruire la sua personalità».
Ad esempio, chiedere ad un bambino cose come “vuoi fare colazione?”, “vuoi andare dalla nonna?” lo mette nell’angoscia della scelta: «Il fatto di fare colazione non si discute, poi nel rituale si potrà scegliere se usare la tazza blu o rossa o se bere il the o il latte».
Le regole altro non sono che buone pratiche di separazione: «se creiamo un rituale per la nanna (leggere un libro, mettere a letto l’orsetto, cantare una canzone e spegnere la luce, ad esempio) non perdiamo la bella componente di relazione ma insegniamo al bambino a fare da solo, gli diciamo sostanzialmente che se si attiene al rituale riuscirà ad addormentarsi senza bisogno del nostro aiuto. Lo renderemo autonomo, che è poi lo scopo dell’educazione».
5. Farsi aiutare
La maggior consapevolezza dei genitori moderni deve essere una leva che spinge a capire quando è il momento di farsi consigliare, magari per trovare una via d’uscita risolutiva e non “medicalizzata” a una situazione di stallo o di difficoltà che si vive in famiglia.
«Quando ci si accorge che qualcosa non funziona bisogna fare azioni concrete per fare manutenzione, capire che non si può risolvere tutto da soli: se come genitori ci accorgiamo che qualcosa ci sfugge, dobbiamo farci aiutare. In una situazione di difficoltà, invece di cercare chi ci certifica la straordinarietà di un bambino serve parlare con chi ci guida nel capire quali sono le mosse sbagliate del genitore».
Di fronte ad un problema: «non dobbiamo riferirci solo alle nostre percezioni: queste ci parlano di noi, non dei nostri figli. Se, ad esempio, vediamo un ragazzo che ha difficoltà nella gestione del tempo, dobbiamo aiutarlo a venirne fuori da solo e a riuscire a dire “ce l’ho fatta”, non fare le cose al posto suo ed evitargli la frustrazione».