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Figlio unico, i miti da sfatare

di Marzia Rubega - 10.02.2014 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
A ogni genitore con un solo pargolo sarà capitato, almeno una volta, di sentirsi dire che il bimbo diventerà più viziato, egoista o narcisista. Oppure che rischia di essere insicuro, timido e chiuso. D'altro canto, non manca neanche chi sostiene che il figlio unico viva un'infanzia migliore e sia destinato ad avere più successo nella vita. Chi ha ragione? Nessuno, la realtà è fortunatamente molto più complessa degli stereotipi. Che con l'aiuto degli esperti cerchiamo di scardinare una volta per tutte

Sulla questione del figlio unico è stato detto (e si dice ancora) 'di tutto di più'. A ogni genitore con un solo pargolo sarà capitato, almeno una volta, di sentirsi dire che il bimbo diventerà più viziato, egoista o narcisista rispetto a chi ha fratelli e sorelle ... Oppure che rischia di essere insicuro, timido e chiuso. D'altro canto, non manca neanche chi sostiene che il figlio unico viva un'infanzia migliore e sia destinato ad avere più successo in futuro.

Visioni opposte che toccano la maggior parte delle famiglie italiane visto che il Belpaese ha un tasso di natalità basso, pari a 1,34 figli per donna (dati Istat 2016). Peraltro la media sarebbe ancora più bassa se non ci fossero le madri straniere in Italia.

Ma che cosa c’è di vero negli stereotipi sui figli unici? E come devono comportarsi i genitori perché queste convinzioni comuni non rischino di trasformarsi in realtà? Nostrofiglio.it ha chiesto aiuto ad alcuni esperti.

1. Figlio unico = 'sempre' viziato

Il primo luogo comune (forse tra i più diffusi) è che il figlio unico sia 'sempre' più viziato o egoista. Non è vero. Innanzitutto non esiste uno studio o un'evidenza scientifica che possa dimostrare questa convinzione, dice Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, autrice del libro "E se poi prende il vizio?" (Il leone verde).

Il comportamento del bimbo cambia infatti in base alle sue relazioni e all'ambiente che lo circonda. Se un figlio unico è viziato non dipende, dunque, dalla mancanza di sorelle e fratelli. Piuttosto, quello che può fare la differenza è il tipo di relazione che il bimbo sviluppa con i genitori, le figure di riferimento e il contesto in cui vive.

In altre parole, per dirlo con una metafora: come in un grande puzzle, è l'insieme tra tutti i tasselli a comporre le sfumature del disegno, non un singolo pezzo.

Quello che conta è l'atteggiamento dei genitori verso il bimbo.

Essere presenti, amorevoli, rispondendo in modo adeguato ai suoi bisogni (prenderlo in braccio, rassicurarlo, capire i suoi segnali di disagio), non significa certo viziarlo. Su questo punto, ormai, tutti gli esperti sono d'accordo.

Diverso è il caso, per esempio, in cui l'adulto cede alle proteste del bimbo di tre anni e lo lascia fino alle 23 davanti alla tv. In questa situazione, abbastanza tipica, il termine 'viziato' (usato spesso in modo improprio), sembra, forse, un po' più adeguato, ma la 'colpa' non è del bimbo. La responsabilità maggiore spetta al genitore.

In questa fascia d'età, è indispensabile dare al piccolo 3 o 4 regole e stabilire delle routine quotidiane. Di sicuro, andare a letto a un orario 'giusto' - anche se è motivo di grandi lotte - non rientra in qualcosa di 'negoziabile'.

Più attenzioni e tempo, non significa più 'vizi'

“Se una famiglia ha un bimbo solo, investe tutte le energie affettive e sentimentali su quel bambino”, dice la psicologa. Ma questo non incide 'negativamente' sulla sua personalità: il figlio unico non riceve 'troppo' affetto rispetto a chi appartiene a una famiglia più numerosa.

La sfera emotiva non è qualcosa che si possa misurare a 'peso' o dividere, in modo diverso, tra uno o più figli. In realtà, infatti, se i bimbi in casa sono due o tre, “i genitori tirano fuori sempre altre energie”, dice Bortolotti.

Un vantaggio, invece, evidente, soprattutto a livello pratico per il bimbo è il tempo a disposizione di mamma e papà. “Certo, le opportunità per condividere esperienze e attività quotidiane sono maggiori se il figlio è uno”, dice la psicologa.

Sulla stessa scia, Barbara Fulva Bobba, neuropsichiatra infantile, che aggiunge: “Per forza, la gestione del tempo è diversa quando hai un bimbo o ne hai tre. Se, per esempio, molto banalmente, cade la palla, il genitore la raccoglie subito e continua il gioco con il bimbo. Ma questo non è un vizio.

Nel caso di due gemelli, invece, uno dei due, dovrà necessariamente aspettare”.

2. Figlio unico = insicuro e timido

Un altro ritornello sui figli unici ripete che siano più insicuri e timidi rispetto a chi ha fratelli e sorelle. L'atteggiamento più o meno sicuro di un bimbo dipende, invece, in larga misura, da come vive il rapporto con la famiglia, che sia unico o no.

Se un bimbo sperimenta il mondo intorno a lui serenamente, significa che percepisce il genitore come un porto sicuro da cui allontanarsi e poi tornare.

Secondo la teoria dell'attaccamento dello psicologo e psicoanalista inglese John Bowlby, una buona relazione con l'adulto (in inglese, il caregiver, chi si prende cura del piccolo) è indispensabile per avere una 'base sicura' nel percorso di crescita.

Secondo questa prospettiva, il genitore infonde sicurezza e 'nutre' l'autostima del piccolo, favorendo il suo graduale cammino verso l'autonomia. La funzione rassicurante dell'adulto non cambia in base al numero dei figli.

3. Figlio unico = sempre solo

La convinzione che il figlio unico cresca solo e isolato perché non ha fratelli e sorelle non ha nessun fondamento 'oggettivo' e universale. Una famiglia non dovrebbe certo sentirsi 'spinta' a fare un altro figlio per tenere compagnia al primogenito!

La vera questione è l'organizzazione familiare, il contesto in cui il bimbo cresce e la rete di relazioni che mamma e papà intrattengono con parenti, amici, conoscenti con figli (pur di età diverse).

A meno che il bimbo passi tutto il suo tempo chiuso in casa, davanti alla tv o a qualche giochino, le occasioni di incontro esistono. Basta, in qualche modo, crearle: al parco, in biblioteca o perfino nel cortile di casa.

All'asilo nido, alla scuola dell'infanzia se i genitori fanno questa scelta, ma anche prima durante una passeggiata o mentre gioca ai giardini, il bimbo può entrare in relazione con i suoi coetanei.

In età prescolare, quando il bimbo ancora non può 'uscire da solo', molto dipende dalla famiglia, dalla capacità di ascoltare e rispettare le esigenze del figlio. E non c'è neanche bisogno di fare 'miracoli', in genere quelli non servono, basta (quasi sempre) mettersi dalla parte del bambino e pensare ai suoi diritti (anche il gioco è un diritto, non dimentichiamolo!).

Che sia figlio unico o no.

4. Figlio unico = super protetto

Quando il bimbo è unico, la famiglia, spesso, tende a essere più protettiva: è un rischio abbastanza diffuso, tuttavia, anche in questo caso, non è una norma granitica.

Sembra che i bimbi siano costantemente in mezzo a mille pericoli ma in fondo non è così: ogni piccolo in età prescolare impara a 'muoversi' nello spazio e, proprio sperimentando, migliora, a vista d'occhio, le sue abilità psicomotorie.

Quello che conta, secondo Alessandra Bortolotti, è ricordare una famosa frase della Montessori: “Aiutami a far da solo”. Nel cammino verso l'autonomia, insomma, ogni bimbo cade... e poi si rialza e acquisisce una nuova competenza.

Il desiderio di proteggere un po' troppo il bimbo, rischia di limitare le sue esperienze, per questo la famiglia dovrebbe sforzarsi di stemperare l'ansia, dando spazio e fiducia al bimbo.

5. Figlio unico = più bravo

Ogni bimbo è unico e mostra, con il tempo, inclinazioni e talenti che il genitore dovrebbe assecondare, aiutandolo a esprimere al meglio le sue potenzialità. Ma questo non significa che il figlio unico sia più bravo di chi cresce in una famiglia numerosa o abbia più possibilità di successo.

Quello che invece, spesso, accade è che la famiglia 'spinga' molto il figlio a sviluppare quelle competenze che considera fondamentali.

Secondo la neuropsichiatra infantile Barbara Fulva Bobba, il figlio unico, spesso, si trova al centro di tutte le aspirazioni dei genitori e, in questo senso, deve rispondere a un bagaglio più pesante di aspettative da parte di mamma e papà.

“Se un genitore ha più figli, per esempio, è contento e si sente fortunato perché uno è bravo nello sport e un altro in matematica, cose che lui ritiene importanti, mentre se il bimbo è unico, le aspettative ricadono interamente su di lui”, afferma l'esperta.

In sostanza, l'adulto dovrebbe fare uno sforzo per riconoscere le caratteristiche del bimbo, sostenendolo nelle sue aspirazioni e abilità, ma evitando di passargli l'idea di 'essere il più bravo' in ogni cosa. Soprattutto in tutto ciò che pare interessare più a mamma e papà e non al piccolo.

Ogni bimbo è diverso e unico, che abbia fratelli o no

Alla fine, per Alessandra Bortolotti è importante tenere ben presente che il genitore si relaziona e si misura con 'quel' figlio, indipendentemente dal fatto che sia unico o no.

Ogni bimbo, che abbia fratelli o meno, tira fuori cose diverse dall'adulto, e manifesta la sua unicità, la sua natura irripetibile e diversa che andrebbe sempre rispettata e ascoltata.

Da mammenellarete, la storia: figlio unico, la mia scelta

La scelta del figlio unico per noi è quasi obbligata, ma comunque uno pensa ci siano altri fattori, che magari fanno pendere la bilancia dall'altra parte. Non è questione di egoismo, ma vorremmo che abbia un futuro degno e non sappiamo se a due figli riusciremmo, di questi tempi, a garantirlo.

Leggi sulla la storia sul figlio unico scritto da mamma Mony

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Aggiornato il 05.06.2018

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