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Lo 'sharenting', i genitori che postano le foto dei figli: attenzione a quando la situazione sfugge di mano

di Giulia Foschi - 02.03.2018 - Scrivici

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Fonte: ipa agency
Non c'è niente di male nel pubblicare qualche foto dei propri figli su Facebook o su Instagram. Il problema sorge quando la condivisione diventa eccessiva, quando non si impostano i giusti criteri per la privacy e non si valutano i rischi che la condivisione di alcune fotografie potrebbe comportare. 

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Quali sono i rischi dello sharenting? Pubblicare le foto dei figli sui social, Facebook e Instagram in particolare, è una tendenza diffusa che divide l'opinione pubblica in due categorie: chi ritiene sia un'abitudine positiva e innocua, chi la valuta pericolosa e sbagliata. Esiste però una terza possibilità: pubblicare solo alcune fotografie dei bambini, in determinati contesti, con il consenso di entrambi i genitori, utilizzando impostazioni della privacy ben definite, e con una cadenza occasionale.

Due esperti del fenomeno, chiamato sharenting, ne inquadrano i termini e ci suggeriscono come comportarci: Alberto Rossetti, psicoterapeuta, autore del libro «Nasci, cresci e posta», e Silvia Demozzi, pedagogista, docente presso l'Università di Bologna.

Dottor Rossetti, pubblicare le fotografie dei figli sui social si può?

«Sì, non bisogna fare del terrorismo su questo fatto. Il problema sorge quando la condivisione diventa totalizzante e il mio profilo di genitore si trasforma in un profilo in cui condivido esclusivamente fatti che riguardano i figli, non solo attraverso le foto, ma anche attraverso parole e racconti: a quel punto quel profilo non parla più di me, diventa un profilo posticcio del bambino, ed è preoccupante. Non va bene né per il bambino, né per il genitore. Invece, non c’è niente di male nel pubblicare qualche immagine ogni tanto, con la giusta attenzione».

Se decido dunque di pubblicare qualche foto, qual è il modo migliore di farlo?

«Intanto, scegliendo le foto: non vanno condivise le immagini più intime (per fare un esempio semplice: le foto dei bagnetti), ma anche foto che potrebbero risultare in futuro imbarazzanti per i figli, da diversi punti di vista.

Volendo essere rigorosi, sarebbe meglio evitare fotografie troppo definite, del bambino solo, fuori contesto, mentre le foto collettive (in cui si è tutti insieme e l'attenzione non è interamente concentrata sul bambino) in linea di massima vanno bene. In ogni caso, è molto importante restringere le impostazioni della privacy: si può facilmente fare in modo che le immagini siano visibili solo a un ristretto gruppo di persone, ad esempio familiari e amici intimi, creando delle liste, o un album ad hoc».

Quali sono i rischi di una eccessiva esposizione?

«Esiste sicuramente il rischio che queste foto vengano prese da malintenzionati, ma il problema più diffuso riguarda in generale il senso che può avere lasciare traccia dei nostri figli sui social, indipendentemente dalla loro volontà: crescendo, il bambino potrebbe anche non essere contento di avere tutte queste sue immagini pubbliche. Nel dubbio, meglio evitare di decidere per lui.

Sono ormai noti i casi dei figli che hanno denunciato i genitori che avevano pubblicato le loro fotografie, ma senza arrivare a questo estremo resta il fatto che prima di tracciare mediaticamente una vita, prima di costruire un’esistenza virtuale ai propri figli, il genitore dovrebbe farsi qualche domanda. Spesso l’adolescente ha bisogno di staccarsi dall’immagine infantile: ricordiamocelo. Inoltre l’obiettivo di Facebook è fidelizzare i minori: meno pubblichiamo più li lasceremo liberi di scegliere in futuro».

Dottoressa Demozzi, quali sono le ragioni che spingono i genitori a pubblicare le foto dei figli sui social?

«Innanzitutto non bisogna puntare il dito contro i genitori: il contesto è molto più ampio, siamo inseriti in una cultura della condivisione, dunque si tratta di comportamenti in linea con i tempi, che chiamano in causa il rapporto con le tecnologie. Dalle nostre indagini sul tema, nella maggior parte dei casi sono emersi genitori che pubblicano foto dei figli solo in occasioni particolari per la semplice gioia di condividere dei bei momenti con amici e parenti.

Poi chiaramente esiste anche chi lo fa in modo compulsivo. Più pericolosi sono i gruppi, dove le mamme per scambiarsi pareri sulla salute dei figli pubblicano foto molto intime, oppure creano contest sul bambino più bello del giorno: in questi casi è intervenuta anche la polizia postale».

Perché è importante la tutela dell’identità del bambino?

«La tutela dell’identità fa parte dei diritti dell’infanzia, anche se rispetto a diritti come la salute, la famiglia, il gioco, è meno evidente. È un diritto al quale i bambini non possono provvedere da soli: i genitori hanno dunque il diritto e il dovere di tutelare l’immagine dei figli, anche se, sia chiaro, pubblicando le loro foto non stanno facendo nulla di illecito.

Quello che i genitori dovrebbero fare è cercare di pensare a lungo termine: quando sarà adolescente, mio figlio sarà contento di queste immagini? Potrà provare imbarazzo? Spesso, infatti, per gli adolescenti la costruzione dell’identità passa attraverso una relazione complicata con il proprio corpo. Un’altra cosa semplice e importante che si può fare è parlare con i bambini, che già dalla scuola primaria sono in grado di comprendere il fenomeno: alcuni bambini amano essere fotografati, altri no».

Quali consigli darebbe ai genitori?

«Di mettersi all’altezza dell’infanzia, di non chiedere ai bambini di fare cose da adulti, di cercare di capire di cosa hanno veramente bisogno, che solitamente non coincide con ciò di cui abbiamo bisogno noi, o che desideriamo noi. La condivisione delle foto sui social risponde a un desiderio dei genitori, non dei bambini. Assistiamo, in un contesto più generale, a un processo di adultizzazione dell’infanzia: valutiamone l’opportunità, usiamo gli strumenti a nostra disposizione con accortezza, e con lo sguardo rivolto al futuro dei nostri figli. Infine, è importante che i genitori parlino tra loro, e che l'eventuale pubblicazione di alcune foto sia una decisione comune».

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