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Genitorialità positiva: cosa significa e come diventare un genitore positivo

di Zelia Pastore - 22.06.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Empatia, organizzazione educativa, attenzione alle piccole azioni di tutti i giorni. Cosa si intende per genitorialità positiva o positive parenting? Ecco 8 consigli per diventare genitori positivi

In questo articolo

Genitorialità positiva: cosa significa

Negli ultimi anni si sente parlare spesso della pratica che in inglese viene chiamata positive parenting, tradotta in italiano con genitorialità positiva. Ma di cosa si tratta esattamente? Giovanna Ambrosone, pedagogista e specialista dell'Approccio Touchpoint, ci propone una lettura pedagogica del concetto di genitorialità positiva.

Cosa vuol dire essere genitori positivi con i propri figli

«Essere genitori positivi - premette l'esperta - vuol dire mettere in campo degli atteggiamenti che fanno sì che il bambino si senta rispettato nella sua unicità, amato e protetto. Sono basi indispensabili affinché diventi un adulto in grado di muoversi nel mondo con fiducia e sicurezza». Le modalità principali con cui comunicare questi concetti al bambino sono 3:

  1. EMPATIA. «Genitorialità positiva vuol dire entrare in sintonia ed empatia con il bambino, cioè saper interpretare e rispondere ai suoi bisogni, sia fisici che emotivi».
  2. NON PUNIRE, EDUCARE. «La genitorialità positiva presuppone anche la capacità del genitore di trasmettere al bambino di essere lì per lui, per aiutare, educare, accompagnarlo nella crescita senza intimidazioni e punizioni. Atteggiamento fondamentale e da non sottovaluatre perché punizioni, coercizione e ricatti sono ancora strumenti usati in famiglia, come segnala anche un recente documento di Save the Children».
  3. PROGETTO EDUCATIVO. «Terzo elemento: i genitori devono avere un progetto educativo sui figli, un'idea a lungo termine su come vorrebbero che affrontassero la vita». Un cammino cioè che abbia l'obiettivo che un domani siano autonomi, sicuri.

La mappa della genitorialità positiva: 8 caratteristiche del genitore positivo

Ecco gli 8 elementi che compongono la genitorialità positiva, le 8 caratteristiche che ha un genitore positivo.

1 - Genitori, non amici

«Quando si diventa genitori, bisogna avere bene in mente che si entra in una relazione, cioè in processo in cui sono coinvolte almeno 3 parti: noi, il bambino e le altre persone». La relazione genitori-figli non è paritetica: «Sono diversi ruoli, bisogni e responsabilità.

Non esiste dunque l'idea dei genitori amici. Per molto tempo gli adulti saranno responsabili dei bambini e ad essi dovranno dare risposte adeguate, risposte che spettano a loro e non ai bambini». È una tendenza errata quindi far scegliere ai bambini su cose la cui scelta non spetta ancora a loro.

2 - L’organizzazione educativa

Essere una guida autorevole non significa né prevaricare sui bisogni dei bambini, né sostituirsi ad essi. Nella relazione deve esserci spazio e tempo per le esigenze dell'adulto e del bambino». Non è sempre facile però trovare il giusto equilibrio tra questi bisogni: ecco perché bisogna muoversi con una buona organizzazione educativa, che si basa sulla consapevolezza che è necessario avere un progetto di crescita educativa con obiettivi a lungo termine, anche quando le circostanze ci portano a rispondere a esigenze di breve termine. «Una giornata è piena di obiettivi a breve termine: vestirsi, fare i compiti, mangiare… se abbiamo una buona organizzazione educativa, tali momenti possono diventare occasioni per perseguire i nostri obiettivi a lungo termine».

3 - Attenzione alle piccole cose di tutti i giorni

«Nessuno di noi pensa che il modo in cui oggi - e ogni giorno - agiamo sulle piccole cose vada a influire su come i nostri figli saranno e agiranno domani». Dobbiamo evitare che i problemi e le scadenze quotidiane, tutti obiettivi a breve termine, distolgano dagli obiettivi a lungo termine, in altre parole facciano mettere in pausa ai genitori il loro progetto educativo. «Il modo in cui decidiamo di intervenire nel piccolo influenza molto il futuro approccio dei nostri figli. Ad esempio, se vostro figlio in prima media non si prepara lo zaino da solo perché preferite farlo voi "così siete più veloci e non dimentica il materiale", non state certo perseguendo l'obiettivo di renderlo una persona autonoma».

Certo le eccezioni ci possono stare, ma se si è fatto sistematicamente così il cammino sarà più arduo. «A fare lo zaino velocemente e in maniera precisa ci riesce il bambino a cui, pian piano, gli è stato insegnato. Se l'obiettivo è l'autonomia, devo dare a mio figlio modi, tempi e strumenti per poter cominciare a fare da solo. E al massimo se sbaglia si prenderà una nota».

4 - Non minacciatelo, incoraggiatelo

«Tante volte i genitori pensano che i propri figli non siano pronti. Così bloccano i loro processi di autonomia e si sostituiscono a loro, di fatto sminuendo i loro tentativi o mettendo in atto atteggiamenti coercitivi: "Faccio io altrimenti arriviamo in ritardo" oppure "Muoviti o noi andiamo e ti lasciamo qui". Proviamo invece a sintonizzarci su quello che sta provando il bambino: come mi sentirei se tutte le volte che provo a fare da solo mi viene detto che sono lento o non capace o che altri lo fanno meglio?». Se volete crescere adulti sicuri di sé, è importante stare attenti a come rispondete al loro bisogno di fare da soli.

5 - Il sistema di regole

Mettere in atto questi primi punti non è facile, e nessuno certamente vuole fare male di proposito. Ecco perché, per agire bene rispetto agli obiettivi a lungo termine, è importante avere un chiaro sistema di regole educative: «Non comandi o ordini, ma una mappa di orientamento che servono perché i figli possano crescere, diventare autonomi e in grado di regolamentarsi da soli. Sono norme su come comportarsi che riguardano l'intera famiglia». Ogni età ha le sue regole:

PRESCOLARE E SCOLARE. In questa età i bambini sono molto abitudinari, le regole devono essere chiare e avere una traduzione molto concreta: «Non è la fase in cui dilungarsi in spiegazioni, ma quella in cui essere chiari su cosa possono fare o non fare in certe situazioni.

"Quando si mangia, la tv è spenta": tutti, è una regola di contesto. "Si mangia con le posate"». Come vedete non sono ordini, ma mappe di orientamento il cui senso, se richiesto, certamente si può condividere con i propri figli. E sono in forma affermativa, perché «il cervello tende a negare le negazioni. Per cui se dite "qui non si corre", tendenzialmente il bambino correrà. Se dite "qui si cammina" è più facile che lo rispettino».

ADOLESCENZA. Il sistema di regole educative in questo caso ha una formulazione differente: «Devono essere ancora chiare e comprensibili, ma c'è una variabile: la negoziazione. I ragazzi non sono più abitudinari, ma anzi vogliono rompere lo schema familiare. Dobbiamo essere disposti a negoziare con loro spazi di libertà. Un esempio è l'uso dei videogiochi: se il tempo che possono passare è scelto dal genitore (1 ora poniamo), la collocazione nella giornata può essere scelta dal ragazzo. Se è bravo nell'auto organizzazione - perché vi è stato accompagnato negli anni precedenti - si può arrivare a definire terreni di autonomia più ampi: "Al mattino studi e se hai finito il pomeriggio è di svago"».

6 - L’importanza dell’educazione indiretta

Il sistema di regole deve valere per tutti perché i bambini apprendono tanto con l'educazione indiretta: «Ci guardano non solo quando agiamo nei loro confronti, ma anche negli atteggiamenti che abbiamo con le altre persone, con gli oggetti e con quello che ci circonda. Ci studiano per capire come stare al mondo. Apprendono per imitazione e con un processo di concretezza, per cui quello che facciamo ha più impatto di quello che diciamo. Se siamo i primi che si comportano in maniera adeguata nelle relazioni (non alziamo la voce, stiamo attenti ai turni di parola, empatizziamo con gli altri), loro lo interiorizzano.

Se invece siamo i primi che invece riporre le cose le lanciano, loro faranno lo stesso anche se intimeremo loro di non farlo». Il sistema educativo insomma assume valore se siamo i primi a stare in questo sistema.

7 - Fategli sentire il vostro affetto

Un'altra capacità che devono mettere in campo i genitori è quella di far sentire il proprio affetto ai bambini: «È qualcosa in più di semplici coccole e baci, ma è una protezione fisica e emotiva: quando un bambino vive in un contesto famigliare - ma anche extrafamiliare - in cui si sente bene e sa che anche se sbaglia non viene mortificato, questo lo aiuta a crescere meglio e apprendere meglio. Influisce sulla sua capacità di apprendimento e di raggiungere degli obiettivi nella vita. Ad esempio, se sta iniziando a mangiare con le posate, ma oggi c'è la minestra e si è sbrodolato possiamo scegliere se usare questo incidente di percorso per aumentare la nostra stima e fiducia verso lui o per abbassarla. "È difficile prendere il brodo, ma ti stai impegnando molto e posso aiutarti se vuoi " è diverso da dire "Finisco io di imboccarti perché altrimenti chissà cosa combini". Nel primo caso stiamo dando voce proprio a quello che sente e lo alleniamo a impegnarsi di più. Nel secondo caso instilliamo in lui la paura di sbagliare». A volte non è possibile mettere i bambini in condizione di esercitare le proprie capacità, ma l'importante (purché non sia la regola) è spiegarglielo e comunicargli di capire come si sente. «"Ora non puoi provare da solo, ma lo farai stasera a cena" per esempio è una frase che posticipa la possibilità di fare un'azione, ma non la sua condizione emotiva».

8 - Genitori positivi si diventa

Se vi siete resi conto che non avete tutte queste caratteristiche descritte qui sopra, niente paura.

«Ricordatevi che bambini si nasce, genitori si diventa. Nessuno ha tutte queste qualità in ogni momento della vita, sbagliare è umano. Non esistono genitori vulnerabili, ma solo genitori che affrontano momenti di vulnerabilità. Non abbiate dunque paura di perdonare i vostri errori e sappiate che non è mai troppo tardi per mettervi in cammino. La genitorialità positiva non è un tasto on-off, ma è un processo che si apprende. Impegnativo, ma vale la pena fare questa fatica!».

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