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I “perché” dei bambini

di Silvia Ferretti - 30.01.2023 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
I "perché" dei bambini: quando iniziano? Come comportarsi? Come rispondere? Le risposte ai genitori ai perché dei bimbi

In questo articolo

I “perché” dei bambini

"Mio figlio mi sta mettendo un po' a disagio, non la smette di fare domande.

 Vuole sapere come si chiama questo, come si chiama quello, perché il gatto ha la coda, perché le mele hanno la buccia, e perché qui, perché là. Insomma, qualche domanda va anche bene, ma troppe mi riempiono la testa. Per esempio, perché le mamme vanno al lavoro? O perché oggi piove? Non lo so proprio neanch'io! Ma se gli dico che non lo so, ho timore di deluderlo".

Quando il bambino ha imparato a parlare ed è passato dalle parole isolate a vere e proprie frasi, sia pure brevi ma sintatticamente abbastanza ben strutturate, utilizza con vero piacere questa nuova abilità in parte già posseduta e in parte in via di formazione.

Parla con noi, parla con altri bambini, o con la bambola o l'orsacchiotto, e li fa parlare mettendo loro in bocca delle frasi.

Talvolta parla con sé stesso, raccontandosi delle storie o ripetendosi storie che ha sentito narrare.

E comincia a porci delle domande.

Come si chiama?

Alcune domande riguardano proprio le parole, e in particolare i nomi.

Dobbiamo tenere presente che, verso i due anni, un bambino si è ormai reso conto che esistono due realtà distinte: da un lato le cose, e dall'altro i loro nomi.

Certo, non si tratta ancora, come per noi adulti, di due realtà che hanno una natura nettamente diversa: una natura oggettiva le cose che occupano uno spazio, si possono vedere e toccare; e una natura soggettiva i nomi che sono nella nostra mente e che potrebbero essere cambiati, inventati.

No! Per il bambino queste due realtà sono ancora in parte fuse o confuse una con l'altra.

Un bambino di due o tre anni, benché faccia ancora fatica a tenere ben distinte queste due realtà, si va comunque rendendo conto che esse sono tra loro in rapporto, nel senso che a ogni oggetto corrisponde un nome, così come a ogni nome corrisponde un oggetto.

Una parte delle domande che ci pone riguarda questa corrispondenza.

Così, ad esempio, vedendo un oggetto nuovo, può chiederci: "Che cos'è?", intendendo dire "Come si chiama? Qual è il suo nome?"

O sentendo un nome nuovo, può domandarci "Che cosa vuol dire?", aspettandosi che gli si indichi l'oggetto corrispondente.

Che cosa può fare un adulto?

Come possiamo adoperarci noi adulti in questi casi?

Sta a noi coltivare questo interesse naturale per i nomi.

Se non rispondiamo alle sue domande, o rispondiamo distrattamente e in modo generico, ad esempio: "Come si chiama questo fiore?", "Eh, è un bel fiore, si…", o mostriamo fastidio, il bambino verrà scoraggiato dal farle e, a poco a poco, cesserà di porci domande di questo tipo.

Se, invece, rispondiamo impegnandoci anche di fronte a lui, a cercar di conoscere qualche nome che ci sia ignoto, come appunto il nome di certi fiori dei prati, e gli poniamo anche noi, di tanto in tanto, domande come "Lo sai come si chiama questa cosa? Lo sai che cos'è un…", questo suo interesse spontaneo resterà vivo e diverrà anzi più forte.

E resterà così aperta una delle vie più funzionali allo sviluppo, attraverso le quali il piccolo arricchirà via via il suo patrimonio di vocaboli.

I vari tipi di perché

Perché la neve è bianca?

Oltre alle domande che riguardano i nomi, il bambino elabora domande di altra natura.

Sono le domande che ci può fare quando, guardandosi intorno con occhi non ancora assuefatti alla realtà, scopre cose che per lui non sono ancora diventate scontate, come invece per gli adulti e, dunque, suscitano in lui molta curiosità.

Un esempio eclatante è il fatto che noi troviamo ovvio che la neve sia bianca, addirittura, ci sorprenderemmo se non fosse bianca, ma rossa o viola.

Invece, per il bambino nulla è ancora ovvio, pertanto nascono in lui domande come "Perché l'acqua è bagnata? Perché il cane ha quattro gambe e le galline solo due? Perché di notte non vediamo?"

Le domande di questo tipo sono forse ancor più importanti di quelle relative ai nomi delle cose. Esse stanno a indicarci che il bambino osserva la realtà in modo attento e compie i suoi primi tentativi di mettere in rapporto un oggetto con certi suoi aspetti.

Già trovare il nome di un oggetto significa stabilire un rapporto (nome-oggetto); ma lo è anche chiedersi perché la neve è bianca o perché il cane ha quattro zampe e cioè: che rapporto c'è tra la neve e il colore bianco? E tra il cane e il numero delle zampe?

Che cosa evidenziano nel bambino domande di questo tipo?

Questo tipo di domande ci dicono che il bambino non solo è diventato attento alle cose che lo circondano, ma ha avviato il lavoro di organizzazione della sua rappresentazione della realtà che proseguirà poi negli anni successivi.

Il bambino comincia dalla realtà che gli è vicina, che può osservare in quel momento, e cerca di stabilire dei nessi fra certi suoi aspetti e certi altri.

Dovrà passare del tempo prima che questo suo lavoro di mentalizzazione giunga a mettere in rapporto la realtà intorno a lui con altre realtà che sono altrove.

Se lo aiutiamo da subito a mettersi in cammino, se lo sosteniamo con la nostra presenza e la nostra vicinanza, se ci poniamo a sua disposizione non appena accenna a muoversi, non appena cioè ci pone domande, ecco che i suoi quesiti fioriranno con risposte centrate sui giusti passi della vita.

Un suggerimento?

Sedetevi accanto a un bambino che domanda "Perché?".

E lasciatevi incantare!

Sull'autrice

Silvia Ferretti, pedagogista, formatrice, titolare di un Centro per l'Infanzia 12/36 mesi e operatore formato nell'Approccio Touchpoints Brazelton. Mi piace seminare bellezza nei cuori dei bambini 

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Aggiornato il 15.02.2023

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